lunedì 22 febbraio 2010

Questo post nuoce gravemente alla salute dei vostri neuroni


Il contenuto di questo articolo è altamente demenziale. Si declina ogni responsabilità nel caso di seri e permanenti danni cerebrali dovuti alla lettura del post.

Ahmadinejad ha ricevuto il nobel per la pace. Il grande statista iraniano ha tenuto un discorso bello e struggente in cui auspica al più presto l’eliminazione fisica di tutti gli ebrei, tranne Woody Allen che lo fa ridere a crepapelle, pur non riuscendo mai a capire le sue battute. La platea si è commossa, sciogliendosi in un pianto a dirotto che è stato possibile arginare solamente con l’intervento di Bertolaso, che si trovava in zona per dei rilevamenti sulla popputa Ingar. Per la teoria della relatività, infatti, il movimento tettonico della bionda svedese potrebbe spiegare la causa delle terribili scosse sismiche che hanno devastato l’Abruzzo.

La lobby ebraica, che notoriamente, insieme ai massoni, complotta per dominare il mondo e anestetizzare i nostri cervelli con “Porta a Porta”, si è indispettita. Dopo una riunione fiume tra i massimi esponenti delle comunità ebraiche in cui, tra l’altro, si è parlato della difficoltà di reperire bambini cristiani da sacrificare per l’imminente Pasqua, visto che i preti irlandesi non se ne vogliono separare, è stato deciso di fare ricorso al Mossad.

Il temibile servizio segreto israeliano ha ideato un piano malefico ai danni del povero Ahmadinejad. Fortunatamente, il segretissimo piano è stato scoperto da un brufoloso sedicenne di Casalpusterlengo che, navigando su internet alla ricerca di porno con cui masturbarsi per un paio di ore, ha sbagliato pagina ed è finito sul Wall di Facebook del Mossad. Il disegno era quello di inviare a Teheran una cinquantina di agenti con passaporti della Namibia travestiti da assicuratori, rapire il presidente e costringerlo a seguire il festival di Sanremo. La ferocia israeliana è davvero senza limiti.

Intanto, a Gaza è scoppiata la rivolta dopo che è stato annunciato il secondo posto di Pupo, del principe Emanuele Filiberto e del tenore Canonici. La folla si è riversata nelle strade gridando slogan anti israeliani, citazioni da pogrom come “Morte agli ebrei” e aforismi di Oscar Wilde. Israele ha dichiarato di essere completamente estranea alla vicenda e di non avere avuto alcun ruolo nel televoto finale. L’ONU, per tutta risposta, ha approvato una risoluzione di condanna dello stato ebraico per questo ennesimo atto di umiliazione del popolo palestinese.

La risoluzione ha creato un terremoto politico e Berlusconi, ripresosi da poco da un trapianto di altezza, ha subito inviato in Israele Bertolaso, escortato da Adi, Esther, Ruth, Tal, Yael, Sarah e Myriam. Il suo aiuto non è servito a un cazzo ma in compenso il capo della protezione civile ha trovato un’interessante connessione tra lo humus e i cicloni, anche se nessuno ha ancora capito bene quale sia.

Pare, intanto, che Emanuele Filiberto sia il padre di Mozart, ma la cautela, in questo caso, è d’obbligo. Viva l’Italia!!!


lunedì 15 febbraio 2010

Roncopatico e rincopatico

Sei del mattino. Mi sveglio piangendo. Solo un incubo, ma il dubbio cartesiano mi punzecchia. Cambio posizione, ancora qualche ora di sonno. “Ronf, ronf, ronf. Ronf, ronf, ronf”. Cos’è questo rumore?! “Ronf, ronf, ronf. Ronf, ronf, ronf”. Ma… ma… ma questo è un trattore! “Ronf, ronf, ronf. Ronf, ronf, ronf”. Un momento, cosa ci fa un trattore alle sei del mattino nel mio condominio? Rifletto un attimo. Un altro attimo. No, l’ipotesi è vagamente demenziale. E allora? “Ronf, ronf, ronf. Ronf, ronf, ronf”. Qualcuno sta russando, ma chi? O è la mia vicina, o il suo fidanzato o è il tizio che abita all’appartamento di sotto. Un ringraziamento sentito alle pareti di cartapesta. Be’, prima o poi smetterà. Un’ora dopo il ‘prima’ lo accantono: non solo la russata persiste, ma aumenta anche di intensità. Chiunque sia ha dei grossi, grossi problemi. Perché avere al posto del naso una turbina che produce inquinamento acustico è un problema. Perché un martello pneumatico attaccato tra occhi e bocca che ritmicamente scandisce le ore notturne è un problema. “Ronf, ronf, ronf. Ronf, ronf, ronf”. Tappi nelle orecchie, subito. Niente, “Ronf, ronf, ronf. Ronf, ronf, ronf”, barriere di difesa abbattute. Stremato, perdo i sensi una mezz’ora più tardi. Non pensavo che una cosa del genere potesse succedere a Zurigo: possibile che non sia stata ancora vietata dalla legge?




Parliamo del fumo, quello senza arrosto. Intanto, fumare come turchi è una cazzata. Sono stato di recente a Istanbul e non è vero che i turchi fumano così tanto. Piuttosto, gli zurighesi fumano come turchi. Qui, si fuma ancora nei locali. Si esce come portaceneri deambulanti. Quindi, gli zurighesi fumano come dei turchi, ma i turchi non fumano come turchi. Quindi gli zurighesi non fumano come turchi. Se no sarebbero turchi, ma i turchi non fumano come turchi. Lapalissiano. E ora a noi. Che il fumo non faccia bene, si sa. Prima fase. Seconda fase, il fumo passivo. Il fumo passivo fa male? Pare. La scienza medica così ha stabilito. Se tu mi fumi addosso per vent’anni e poi mi trovano un tumore grosso come il testone di Mashiro Tamigi – ma Lippo Lippi e Cippa Lippa che fine hanno fatto? –, è il fumo passivo. E tu hai sicuramente dei problemi, a fumarmi addoso per vent’anni. Il fumo passivo fa male agli stessi fumatori. Se fumi 14 sigarette al giorno, con il fumo passivo è come se ne fumassi 16,6. Perciò, possono diminuire la quantità di sigarette contenute in un pacchetto. Arriviamo all’ultima fase. Notizia recente. Il fumo di terza mano, ovvero “quello che si deposita su qualunque superficie di ambienti interni in cui si fuma, mobili, scrivania, letti, tende, e anche sui vestiti.”. Il fumo di terza mano fa male. Quindi, consiglio: se siete ospiti, evitate di fumarvi il divano.



Un ambasciatore arabo ha fatto annullare le nozze dopo aver scoperto che la sposa, una volta toltasi il niqab, sfoggiava una barba mica da ridere. E poi dicono che donna barbuta sempre piaciuta. Buona settimana!

lunedì 8 febbraio 2010

L'inquisizione


“Signore?... Signore?!... Signore?!!!”

Apro un occhio. L’altro lo segue, piano piano. Davanti a me, tre individui in uniforme. Li scambio per i Village People, ma il loro accento spiccatamente ticinese fa vacillare la mia iniziale certezza. Sono guardie di confine.

È sua la valigia?”, mi domanda uno di loro, indicando il trolley infilato nel vano sopra il mio sedile.
“Sì. Anche lo zaino”
“Le dispiace se le diamo un’occhiata?”

Sì. Mi dispiace molto. Sono troppo stanco per sbattere le palpebre, figuriamoci per alzarmi e tirare giù la valigia. Sono troppo stanco perché prima mi ha svegliato il controllore italiano “Biglietti, prego!”, poi anche quello svizzero ha pensato bene di dare il suo contributo con un misterioso “Pig-lietti, preko!”. Sono troppo stanco perché questa è la quinta volta che mi fanno aprire la valigia sulla tratta Milano-Zurigo. La quinta. Sono troppo stanco perché sono sempre l’unico passeggero della carrozza sottoposto alla minuziosa analisi della biancheria intima – questa volta sono in buona compagnia, una signora filippina che, però, se l’è cavata con una stretta di mano e tanti saluti alla famiglia.

Qual è il mio problema? Ho i tratti troppo mediterranei? Sono troppo circonciso? Ho l’alito pesante? Le gengive infiammate? Le unghie incarnate? Sono troppo magro? Basso? Alto? È il meteorismo? La sindrome di Tourette? Il cerume che fuoriesce dalle orecchie? La fame nel mondo? Il buco nell’ozono? È perché non ci sono più le mezze stagioni? È colpa di Israele? Il crollo dei mercati? Il comunismo? I panda che non si riproducono in cattività? Dio che è morto? I film di Muccino? Bruno Vespa? Il Cavaliere? La crisi del PD? La mascella a forma di ferro da stiro di Ridge? Gli alieni? Gli alienati? Morgan l’aspirapolvere? Ditemi qua-le caz-zo è il mi-o pro-ble-ma!

Bello scrivere. Inventare. La realtà, purtroppo, è ben diversa. Mi alzo e, in piena crisi da privazione acuta di sonno, afferro la valigia, la tiro giù facendomi uscire un paio di ernie e la adagio sopra un tavolino.

Ha un documento?”

Cheppalle.

“La patente va bene?”
“Perfetto”

Adesso chiamerà non so chi, farà la compitazione di nome e cognome “Rosen che?!!” e gli risponderanno “Ah, sì, è sempre lui. No, no, è solo un idiota, dagli uno zuccherino così è contento”.

“Dove sta andando?”
“A Zurigo”
“A fare?”

Il domatore di cinghiali, come Guarino ha scritto sulla mia pagina di Facebook.

“Ci vivo. Lavoro”
“Capisco”. Il che è già un enorme passo avanti.

Intanto, gli altri due, muniti di guanto salvafreschezza, stanno esplorando i meandri del trolley. Ecco la maglietttina, le calzettine, la mutandina, la camicina. La camicina?!!

Mi raccomando, le camicie…”
“Sì, sì, non si preoccupi”

Mi preoccupo eccome.

L’esplorazione va avanti. Stalagtiti, stalagmiti, delle mummie, un attaccapanni, qualche centinaio di cinesi che lavorano, maglioni, libri. Tutto nella norma.

“E questo?”, con aria inquisitoria.
Bresaola. E parmigiano

Apre il sacchetto, tanto per essere sicuro. Forse abbiamo messo le mani su un pericoloso trafficante di grana. Invece, niente: richiude – alla cazzo – il sacchetto e richiude –alla cazzo – la valigia.

“Grazie. Buon viaggio”

Sì, come no. Sprofondo nel sedile, deciso fermamente a dedicare le due ore che mi separano da Zurigo a quell’attività che mi è stata fino a ora negata. Chiudo gli occhi e… e l’annuncio del capotreno me li fa tosto riaprire – notare il ‘tosto’ che ottocentizza la mia vacua prosa –:

“Kausa intcitente del treno che tci precete, fiacceremo kon un ritarto di almeno un’ora. Il treno farà una zosta di metzz’ora a Bellinzona. Ci scuziamo molto per il tisatcio”

Quando si dice la fortuna.

Un migliaio di sbadigli più tardi, che dalla regia mi dicono corrispondere a mezzanotte e mezza dell’ora solare, arrivo a casa. Distrutto. Apro la valigia. Metto bresaola e parmigiano in frigo. Calze, mutande, magliette e maglioni nei rispettivi cassetti. Poi, prendo le camicie. Le camicie sono stropicciate. Molto stropicciate. Troppo stropicciate… STRONZI!!!

lunedì 1 febbraio 2010

Apriti sesamo!


Sembra che, quando si starnutisce, sia impossibile tenere gli occhi aperti. Bene, negli ultimi giorni ero così raffreddato che, quando starnutivo, ero il mio vicino a chiuderli, gli occhi. Comunque, venerdì sera, imbottito di medicinali, decido che il tempo della mestizia è finito, perché come è scritto nel Qoelet – l’Ecclesiaste -, c’è un tempo per ogni cosa, e così me ne vado a una festa che racconta di ruscelli di vodka, fiumi di rum e torrenti di birra. “Mangiate, amici, bevete/inebriatevi, o cari.”. Anche a quei tempi già lo sapevano che un bicchiere tira l’altro e così mi ritrovo verso le cinque del mattino davanti al portone di uscita. O a quello di entrata, ma non vorrei scomodare Frege per niente. Con fatica afferro la maniglia e tiro. Niente. Allora spingo. Niente. Tertium non datur, quindi c’è un problema. Il mio è l’alcol, e quello del portone? Alla mia sinistra, sul muro, in bella evidenza, noto un campanello. Ah! Con aria trionfante lo premo. Tiro. Niente. Spingo. Niente. Un’espressione corrucciata si dipinge sul mio volto. Schiaccio di nuovo il pulsante, tiro, spingo, schiaccio, tiro, spingo, mollo un calcio. Non succede assolutamente niente. La battaglia è persa. Andrò a chiedere delucidazioni. Mi volto e, esattamente dalla parte opposta, vedo un altro portone. Mi giro a destra, portone. Sinistra, portone. Destra, portone? Sinistra, avanzo. Spingo. Il passaggio si apre davanti a me. L’uscita. I tratti del viso si rilassano, lasciando spazio alla tipica espressione dell’idiota. Esco. Il portone di entrata è il portone di uscita e settimana prossima mi rileggo Frege. Domanda: a chi cazzo ho suonato per cinque minuti?!

Il risveglio è pessimo. Mal di testa, stomaco in subbuglio. Sono ancora ubriaco. Pilotato da un appetito che necessita di agnello sacrificale per essere placato, mi alzo e barcollo fino al frigo. Non potete capire il dolore che ho provato nel constatarne l’esiguo contenuto. Mi armo di tutto il coraggio possibile e parto in missione spesa. Dopo cinque minuti passati a fissare dei barattoli di cetrioli, mi si avvicina un dipendente del supermercato e, vomitandomi addosso dei suoni gutturali, mi chiede se ho bisogno di aiuto. Gli sorrido e mi smuovo per qualche istante dalla sosta catatonica. Non credo di aver mai passato così tanto tempo in un supermercato. Sfiancato dallo sforzo epico, finalmente arrivo alla cassa. Inserisco il bancomat e… nulla, anche lì. Lo inserisco una seconda volta. Non riesco a pagare. Alla terza mi accorgo che quello che stavo infilando non è il bancomat, ma la tessere dell’assicurazione sanitaria: per forza non riesco a pagare, con tutta la spesa ipercalorica che ho fatto! Questa volta tiro fuori la mia bella carta gialla. E il codice? Non me lo ricordo, cazzo! Ce l’ho segnato sul cellulare, ma ovviamente il cellulare giace sul comodino di camera mia. Intanto la fila dietro di me, che arriva al casello di Melegnano, incomincia a dare segni di impazienza. La cassiera, che non si capacita del fatto che tutti i drogati del quartiere debbano sempre capitare a lei, mi fissa allibita. Una cosa così, in Svizzera, non la vedono dai tempi di Zwingli. Esploro i meandri più reconditi del portafoglio e, accartocciate in modo indegno, trovo le banconote che mi salvano dal linciaggio. Sorrido, torno a casa, mangio, sto ancora più male e vengo abbattuto sul letto da un mal di stomaco canaglia che mi lascia privo di sensi per altre tre ore. Una merda, certe volte, ha più dignità.


Vi ricordate il Woody Allen di “Hollywood ending” che interpreta un regista colpito da cecità psicosomatica? Mi è tornato alla mente leggendo un articolo su un film che stanno girando a Tel Aviv e interamente pensato, diretto e recitato da non vedenti: regista, attori, tecnici. Non so quanto sia passata la notizia. A me, lo confesso, ha fortemente impressionato. All’inizio avevo pensato di scriverci sopra qualcosa di divertente, ma poi mi sono ricreduto. Lo trovo in qualche modo eroico e romantico. So che non c’entra niente con la logica di questo post, ma volevo accomiatarmi non con l’immagine di un me sbavoso sopra un materasso, ma con l’idea che i sogni, il talento, la passione, ci rendono ancora più umani e così, più vicini all’Assoluto - “Siamo fatti della stessa materia/con cui sono fatti i sogni”. W. Shakespeare -. Buona settimana.