lunedì 26 aprile 2010

"L'amore vince sull'odio"

Questa è una edizione speciale del post. Mi spiego. Le mie all’incirca 3600 battute settimanali – e non mi riferisco alle cazzate che sparo giornalmente, che sono molte di più e non fanno ridere– che trattavano, come sempre, di dee che cantano del Pelìde Achillel'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei e simili, erano già pronte per la pubblicazione del lunedì mattino. Tuttavia, gli eventi accaduti sabato notte mi hanno costretto a riconsiderare l’ordine delle priorità. Quello che leggerete ha dell’incredibile ma, vi assicuro, è tutto vero.

Tra il XVII e il XIX secolo andava di moda, tra i ricchi e giovani aristocratici inglesi – ma non solo –, il così detto Grand Tour, che era una specie di Inter Rail dell’epoca (l’Italia era una delle mete preferite) che aveva lo scopo di perfezionare l’educazione dei rampolli europei. Oggi, più che altro, il nome indica il peregrinare dei giovani e annoiati borghesi da un bar all’altro della città. In questo caso lo scopo del Grand Tour è nel non avere uno scopo o, se ce l’ha, è nella stessa parola ‘scopo’, ma come prima persona presente indicativo. Ed è proprio a questo girovagare alcolico eravamo dediti, la scorsa notte, L di L&L e io, anche se noi, uno scopo, ce l’avevamo eccome e si chiamava Zukunft, agorà contemporanea di chi ama essere avvolto per quattro o cinque ore da dense nuvole di fumo, adora farsi saltare i timpani con musica elettronica sparata con cannoni acustici e fa ritorno al sarcofago quando, all’incirca, in Nuova Zelanda hanno già cenato da un pezzo e, finito il film, tutti a nanna. Infatti, gonfi di birra e cuba libre, ci stavamo dirigendo verso la nostra meta quando, improvvisamente, notiamo un capannello di gente. Neanche tanto piccolo. Una vera e propria folla si sta concentrando in pochi metri quadrati. Avanziamo di qualche altro passo e vediamo una camionetta della polizia e quattro poliziotti in assetto antisommossa. Uno di loro sta parlando con un tizio pingue e dall’aspetto criminale che, deduco, sta dando informazioni. Un altro apre il bagagliaio della camionetta e tira fuori un fucile lancia lacrimogeni (a titolo informativo, questa è forse la zona a più alta densità criminale di Zurigo). Un fucile lancia lacrimogeni? Oh cazzo!!! Non faccio neanche in tempo a realizzare tutta la scena che dalla Langstrasse sbucano fuori altre due camionette che bloccano la strada. Ne escono una decina di agenti pronti alla guerriglia urbana. No, devo morire e non sono ancora riuscito a scoparmi Bar Rafaeli? Il bello arriva adesso. A pochi metri da noi, in mezzo a sbirri grossi come giocatori di rugby, ferma, immobile, viso carino ma espressione decisamente incazzosa, c’è una poliziotta, cattivissima, pronta a entrare in azione e creare puzzle di ossa a suon di manganellate. Oh, sì, picchiami, fammi male e ammanettami sul letto. Un ragazzo le si avvicina, le stringe la mano e sfodera un sorriso a tremila denti. Chissà se gli si cariano.

L di L&L: “Grande, guarda il tipo che ci prova con la poliziotta!”

Io me la rido, ma non ci credo affatto. Le starà chiedendo cosa diavolo succede. Intanto il ragazzo continua a parlarle. Poi, un ufficiale, probabilmente il capoccia, fa un cenno d’intesa agli altri con il testone da idrocefalo. Subito i picchiatori professionisti sciolgono le linee e si infilano tutti dentro le camionette. Emergenza rientrata. O quasi. Perché il ragazzo – che, ne sono quasi certo, non può essere svizzero – segue in scia la gendarme e cerca, anche lui, di entrare nella camionetta. Purtroppo, gli va male, ma lui non demorde: si avvicina al finestrino, proprio dove è seduta la pulotta carina, e inizia a mandarle baci con la mano. La camionetta si allontana e lui rimane lì, a mandarle baci con la mano. La poliziotta, divertita, ride. Forse sta ancora ridendo. O magari no, magarari è nata una nuova storia d’amore.

Ora, fatemi capire: ci sono una quindicina di poliziotti in assetto anti guerriglia, muniti di manganello, pistole e fucili lancia lacrimogeni. Potrebbe scoppiare l’inferno da un momento all’altro, sodoma e gomorra, il giorno del giudizio, il figlio di Bossi ministro dell’Istruzione. Tutto potrebbe succedere. E un ragazzo va dalla pupa in uniforme e cerca di rimorchiarla?!! Alcune considerazioni:


  • Il ragazzo è un genio, chiaramente

  • Non eravamo sotto effetto di allucinogeni

  • Dobbiamo conoscerlo

  • Bersani dopo le elezioni regionali e amministrative: “Non canto vittoria, ma non accetto neppure che si parli di una nostra sconfitta”. Non c’entra un cazzo, ma è la battuta più divertente che c’è in questo post

Purtroppo, il ragazzo si è dileguato in pochi secondi e non siamo riusciti a esaudire l’imperativo categorico espresso al terzo punto. Peccato.

Come definire la scena a cui abbiamo assistito? Surreale, ma sono proprio cose come queste che mi fanno pensare che, a volte, la vita può essere piuttosto divertente. Con L di L&L ho passato i successivi due giri di birra a ripensare all’accaduto e a farmi delle grandi risate. E non avrei ancora finito, perché avrei da raccontare di breakdancer e di calci volanti, ma in un prossimo post, perché adesso voglio farmi un giro per Zurigo e vedermi quella cosa che la domenica mi capita molto raramente di vedere e che, a volte, può essere così bella. La luce. Buona settimana!

lunedì 19 aprile 2010

Schizzo d'autore

Il nome Jackson Pollock vi dice qualcosa? No, quella che combinava guai era Pollon. Pollon combina guai. Questo, invece, è Pollock. Per chi non lo sapesse o per chiunque avesse passato gli ultimi dieci anni incollato al televisore rapito dai picareschi racconti dei protagonisti del Grande Fratello, eccitato dalle eroiche avventure dell’Isola dei Famosi o semplicemente perso in fantasie bucoliche evocate da braccia finalmente restituite all’agricoltura de La Fattoria, Jackson Pollock è – era – un pittore. Uno degli esponenti di quel movimento che il critico Harold Rosenberg – che dal cognome si capisce fosse una persona dotata di arguzia ed encefalogramma vivace – aveva chiamato ‘action painting’ – in realtà conoscevo solo questo termine, ma Wikipedia ha colmato la mia lacunosa ignoranza introducendomene un altro, ‘espressionismo astratto’, che ignoravo fino a oggi insieme al tedesco Lotosblüte e ai sette re di Roma, che non riesco mai a ricordare. Tarquinio il burino? Gli artisti che aderivano alla corrente non dipingevano come normali esseri umani, pennello, colore e mi raccomando, attenzione a porte, finestre e al parquet. No, preferivano lanciare direttamente il colore su delle tele giganti. Oppure, lo facevano sgocciolare. È così che è nato il testo di Rosch. Credo. Sperimentatori. Riflettevo su tutto ciò alcune settimane fa in compagnia di un bicchiere di birra e di tre loschi individui che chiamo ‘amici’ solo perché non mi ricordo i loro nomi. Riflettevo su quello e sulla ‘merda d’artista’ del Manzoni. Non di Alessandro, altrimenti si sarebbe chiamata merda di scrittore, che qualcuno avrebbe anche potuto pensarlo ai tempi del liceo, facendo un torto però alla letteratura italiana. Sto parlando di Piero, che negli anni Sessanta fece delle sue feci un’opera d’arte, inscatolando in 90 barattoli i suoi artistici escrementi. Rappresentazione delle decadenza dell’arte di quel periodo. Una merda concettuale. Fantozzi avrebbe detto ‘una cagata pazzesca’, ma non vorrei elevare troppo il tono di questo post. Ecco, ho scritto poche righe fa che stavo riflettendo in compagnia di tre loschi individui. In realtà, le cose non stanno proprio così. Intanto, io non rifletto, ma attivo automatismi cerebrali a me ignoti. In secondo luogo, non stavamo discutendo di arte, ma di sesso. All’arte, comunque, ci arriviamo a breve. La vacue chiacchiere orbitavano intorno al dotto argomento dei film a luci rosse – gli anglofoni li chiamano ‘blue movie’. Le traduzioni sono sempre un problema. Tutti si ricordano dei mitici porno tedeschi, che in genere avevano una trama del tipo: Driin! Suonano alla porta. Inga, biondona dalle tette nucleari, va ad aprire. Entra in scena il baffuto idraulico Hans. Trenta secondi più tardi lui le mostra il tubo telescopico e tappa la perdita, lei mostra di apprezzare ed esplicita questo suo stato interiore con una serie ininterrotta di mugolii e ‘ja, ja!’. Adesso, la maggior parte di questi film con scopate che durano quanto un’opera di Wagner sono prodotti in Ungheria o negli Stati Uniti. E allora mi sono domandato: ma in Svizzera? Voglio dire, ci sono dei porno svizzeri? E come potrebbe essere un porno svizzero? Altro che domandarsi - come fanno tutti, immagino, la mattina appena svegli - perché c’è l’essere piuttosto che il nulla. Già me lo immagino: Tram vuoto, a parte una ragazza, Heidi, a cui le caprette non fanno ciao e di pecore non capisce niente, ma se gli dici ‘pecorina’ … Sale il baffuto controllore Huber. “Grüezi!”. La povera Heidi e i suoi venti chili di tette sono, ahimé, sprovvisti di biglietto. Huber allora passa a controllare direttamente Heidi, dandole istruzioni dettagliate sul grado di apertura da mantenere e informandola che in un’ora venticinque minuti e dodici secondi il suo entusiasmo sarà incontenibile. Se Huber sgarra sul tempo, dopo mi si deprime e gli si afflosciano i mustazzi. E qui torniamo a parlare di arte. Sì, perché quel momento paradisiaco che ci rapisce un paio di secondi per restituirci come zombie per le successive dodici ore ha acceso in me una lampadina. A risparmio energetico, d’accordo, ma sempre una lampadina è. Freud parlava di sublimazione, ovvero dirigere una pulsione sessuale verso una meta non sessuale. L’arte, per esempio. E allora perché, invece che sublimare, non utilizziamo il sesso per creare arte? Ora vi spiego, è molto semplice. L’uomo, appena prima di contribuire al genocidio di milioni di spermatozoi, estrae il suo pennello – d’altronde, già anni fa lo raccontavano quegli intellettuali meneghini, gli articolo 31, ‘lo uso proprio come fossi un vero artista, e con il mio pennello sono un gran professionista!’. La donna ha una grande responsabilità, quella di afferrare e reggere la tela rigorosamente nera che, a seconda del periodo di astinenza maschile, può variare da un semplice formato A4 a un 200x425 cm stile ‘Ninfee blu’ di Monet. Ogni secondo è vitale. Davvero. A quel punto, all’uomo non resta che aggiustare la mira e procedere con la creazione artistica. Come vedete, siamo tornati all’action painting. Purtroppo, ci sono alcune problematiche aperte e che meritano, magari in un futuro non troppo lontano, di essere approfondite:


  • L’eiaculazione precoce. Un problema non solo artistico
  • Il blocco dell’artista. Un problema non solo artistico
  • La mancanza di talento.
In conclusione, se hanno fatto arte con la merda, perché non provarci con lo sperma che, come direbbe Aristotele, in potenza racchiude la vita? Allora, dalla ‘merda d’artista’ a quella forma più nobile di espressionismo astratto che, perdonatemi la banalità, non potremo chiamare altrimenti che ‘schizzo d’autore’. Buona settimana!

lunedì 12 aprile 2010

La lingua salvata


Il 17 febbraio del 1992 io avevo sedici anni. Non rammento cosa facessi quel giorno. Probabilmente niente, come al solito. Forse stavo studiando il manuale del perfetto asino. Forse fantasticavo su seni giganti, chiappe marmoree e tutto quello che aveva a che fare con la parola ‘sesso’. O forse pensavo a quando, in un lontano futuro, sarei diventato un adulto. Già, quando? In ogni modo, la mia travagliata adolescenza , quel giorno – e quanti ne sono passati da allora. La lancetta non si ferma proprio mai, mio Dio -, non era di alcun interesse nelle vicende dell’Italia di diciotto anni fa. Quello che invece aveva catalizzato tutta l’attenzione dei media era stato l’arresto a Milano del presidente del Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa, un esponente del partito socialista italiano. Come ben sapete, a meno che non siate nati in quegli anni e in questo caso, se mi state leggendo, la vostra adolescenza è certamente più terribile della mia, quello era l’inizio dell’inchiesta giudiziaria passata alla storia come ‘Mani Pulite’ che si abbattè come uno tsunami sulla politica e la finanza del nostro Paese. Il Pool di Milano diresse il requiem, tutto in minore, della prima repubblica. Non so chi coniò il neologismo – L di L&L? -, ma il periodo di furto istutizionalizzato viene anche ricordato come ‘Tangentopoli’. Abbandoniamo ora gli anni Novanta con un salto temporale in avanti che la fisica ci nega, ma non la scrittura. Sesso, soldi e potere. La storia dell’uomo in un bigino concentrato. Ecco quindi Moggi e compagnia bella. Calciopoli. Corona e compagnia bella. Vallettopoli. E qui ci fermiamo, perché dal requiem della prima repubblica siamo finalmente arrivati al requiem della lingua italiana, celebrato, purtroppo, ormai quotidianamente. Infatti, tanto geniale fu l’inventore della parola ‘Tangentopoli’, quanto completamente idiota e cerebralmente amebico chi, sull’onda, diffuse in tutto lo stivale i termini ‘Calciopoli’ e ‘Vallettopoli’. ‘Tangentopoli’ non vuol dire altro che città delle tangenti. È l’unione, forzata, di ‘tangenti’ e del suffisso greco ‘poli’ che deriva da ‘polis’, città. Chiaro, no? Il suffisso, in questo caso, denota e non connota. Non ha nessuna valenza ulteriore al fatto di significare la parola ‘città’. I nostri fini intellettuali, principalmente giornalisti, menti illuminate che a stento riconoscono un congiuntivo da una congiuntivite, hanno deciso invece di dare a quel suffisso una valenza connotativa. Un peggiorativo. Calciopoli, quindi, non sta a significare la città del calcio, ma indica un sistema di illeciti volto a manovrare il campionato italiano. Vallettopoli non sta a significare la città delle vallette, cosa che farebbe gola a molti e che tutti salverebbero come indirizzo preferito in google maps. No, Vallettopoli sta a significare un sistema moralmente deprecabile fatto di agenti e agenzie che mercificano il corpo di avvenenti ragazze promettendo loro soldi e carriera nel mondo dello spettacolo o che utilizzano scatti di vita rubata a personaggi più o meno famosi come mezzo di ricatto e riscatto. Non c’è che dire, un grande applauso alla sovranità dell’ignoranza della lingua italiana. Non avrei scritto un post del genere se l’inchiesta di Calciopoli non fosse tornata prepotentemente alla ribalta. Calciopoli… Prendiamoci cura della nostra lingua, perché dentro di lei c’è il nostro mondo, la nostra storia, il passato, il presente e il futuro. La nostra cultura. Le dieci parole di Dio – quello era ebraico, ma Dio aveva degli ottimi traduttori simultanei. Dante. Ci sono i sogni e le parole che ci faranno sognare. Ci sono le parole con cui abbiamo amato, amiamo e siamo stati amati. C’è l’infinito a cui aneliamo e l’immortalità in cui ancora, almeno un po’, crediamo. E allora, vaffanculo a Vallettopoli e pure a Calciopoli. Buona settimana a tutti. Vi lascio con chi sì che, la lingua, sapeva usarla veramente: “With love's light wings did I o'er-perch these walls;/ For stony limits cannot hold love out,/ And what love can do, that dares love attempt.”. W. Shakespeare, Romeo and Juliet.

martedì 6 aprile 2010

Dio le fa e poi le accoppia


“Cosa bevete?”
Io non sono neanche a metà della mia birra, il farmacista, quello bello, ha appena iniziato ad aspirare dalla cannuccia un sano cuba libre, ma il barattolo pettinato, moderno babbo natale con un sacco pieno di free drink, insiste.

“Cosa bevete? No, perché tra un’ora il bar chiude

Sia mai che non riusciamo a raggiungere la quota di alcol stabilita dal governo per rendere i propri cittadini degli onesti alcolizzati.

“L’ultima volta che sono venuto qui”, mi dice il farmacista, riferendosi al locale della Milano bene dove i giovani della Milano bene, per dimostrare quanto sono Milano bene, si divertono prendendosi a bottigliate in testa e a cazzotti in faccia, “è stato forse un anno fa, quando ti sei presentato un paio di migliaia di volte con quella mia cliente, E., ti ricordi?”

E come faccio a non ricordarla? Si sa che a parlare del diavolo, spuntano le pentole. O le corna? Dal nulla di una Milano svuotata dall’esodo pasquale, ecco comparire lei, E., accompagnata dall’ombra della sorella. Gemelle siamesi di neurone. Il farmacista fa gli onori di casa e lo spacciatore di consumazioni alcoliche e io dobbiamo, a fatica, mentre ci presentiamo, mantenere un certo contegno, evitando di cadere vittime di risate isteriche che potrebbero causare letali attacchi apoplettici. Purtroppo, le emozioni regalate non sono paragonabili a quelle del maggio scorso. A far la parte del leone, però, oggi tocca alla sorella.

“Ah, vivi in Svizzera?”
“Sì, a Zurigo”
Noiosa la Svizzera
“Be’, ma Zurigo non è esattamente come il resto della Svizzera”
“Ah, sì, però la Svizzera è noiosa. Bella ma noiosa. Almeno, si dice, no?”

Annuisco con la testa. Già vivo nel terrore di dovermi ripresentare almeno un altro paio di volte, preferisco assecondarla.

“E cosa fai a Zurigo?”
“Lui è un nuotatore professionista, non vedi il fisico?”, risponde con un sottile velo d’ironia il pettinato dei pettinati.
“Ah, davvero?”

Reggo un po’ il gioco, poi confesso: “No, sono lì per lavoro”
Ah, pallavolo?!”

Signore, ti prego, liberami dalla terra d’Egitto e rendimi sordo per la prossima mezz’ora… Le sorprese non sono ancora finite. Alcuni minuti dopo il nano da giardino di Versailles è impegnato a conversare con una ragazza mai vista prima. Da sobrio, intendo, perché ben presto scopro di averla conosciuta diversi cuba libre fa a una conferenza tenuta al The Club da preti, rabbini e imam sul tema ‘Google maps e il lungo cammino verso Dio’.

“Ma tu sei quello che lavora a eBay? Sei un mito!!! Sei quello con il cognome strano. Aspetta, com’è che era? Z… Za… Zovirax!”

Zovirax?

“Tipo, no? Com’è esattamente il tuo cognome?”
“Ro.......g”

Ammetto che in entrambi c’è una ‘r’ e una ‘o’, però sarebbe come scambiare Ahmadinejad per un essere umano solo perché ha una scatola cranica. Voglio dire, non mi sembra abbastanza.

“Sì, Zovirax, e i virus se li porta tutti via”

Certo, il medicinale preferito dalle casalinghe disperate.

“Comunque, da sobrio non sei affatto male”

Eh, lo so. Trasformazione. Eravamo in due ad avere lo stesso problema. Hulk, però, è diventato molto più famoso di me. Buona settimana a tutti.