lunedì 20 settembre 2010

Ora chiamatelo Lord-enzo (Parte prima)

L di L&L se ne va. Ci abbandona. Destinazione Londra. Niente più cioccolato, rösti e orologi a cucù, lo aspettano fish and chips, porridge e il Big Ben. E allora, bisogna festeggiare, ed è proprio quello che facciamo. Alla nostra maniera. Venerdì sera ci troviamo a casa di L di L&L, l’altro. A cena, tanto per incominciare. Il quartetto è al completo: L di L&L, L di L&L, K e io. A darci man forte, M ed E, una simpatica coppia di meranesi, e H, pazzoide tedesca che si adatta perfettamente al clima vagamente demenziale del gruppo. La cucina di L di L&L è, come sempre, una manna per il palato e della pasta che straborda dalla pentola non rimane più neanche il ricordo. Come contorno, cinque bottiglie di vino che vengono svuotate fino all’ultima goccia. Si mangia, si beve, si ride. Intanto, la bottiglia di rum e di vodka attendono, pazientemente. Non per molto. Il livello alcolico incomincia ad alzarsi, vertiginosamente. M ed E, bevuto il bicchiere energetico, ringraziano, salutano e se ne vanno, avendo già previsto tutto nei minimi dettagli. Noi continuiamo nella maratona alcolica fino a quando non tagliamo il traguardo delle bottiglie vuote che mettono sempre profonda mestizia. Lacrime. Poi, qualcuno tira fuori la scatolina rossa infernale: il generatore di effetti sonori. Da lì inizia il delirio il cui epilogo… o forse non l’ha mai avuto un epilogo? Insomma, mentre L di L&L, o forse K, schiaccia il tasto che riproduce il suono di una molla – BOING! BOING! BOING! –, L di L&L, l’altro, parte con una serie di salti da record tipo astronauta sul suolo lunare che vengono presto imitati dal gruppo. Saltiamo sul pavimento, sui divani, sul letto. Qualcuno salta la cena, ma ignoro chi sia. La simpatica inquilina del piano di sotto, quella che a metà tirava delle gran scopate contro il soffitto in una riproduzione elvetica del codice Morse che significa all’incirca mi avete rotto i coglioni, è in stato di choc ed è stata portata via oggi dai pompieri che l’hanno trovata ancora con la scopa in mano, catatonica e bavosa. Poco soddisfatto della prestazione da canguro, L di L&L, al suono armonico della molla, incomincia a far saltare in aria quadri, specchi, vasi Ming, un Ming in carne ossa un po’ ammuffito e puzzolente, bombe e petardi che io prontamente agguanto al volo con tecnica prodigiosa, ebbro catcher in the Rye. Ridiamo divertiti, anche se al padrone di casa scendono copiose gocce di sudore freddo. Dotati ancora di quel minimo di padronanza neuronale, intuiamo che è il caso di abbandonare l’appartamento prima di creare una piccola Beirut nel condominio. Tutti all’Amber a ballare! Tutti meno H, che si diverte ma come ci si può divertire quando si va allo zoo a vedere le scimmie urlatrici. Questa non l’ho capita, ma volevo infilarci le scimmie urlatrici perché mi fanno ridere. Ah ah ah! Gentilmente, ci mette a disposizione i suoi servigi da taxista. Prima di montare in macchina, il gran finale della molla, che vede L di L&L saltare con perfetta tecnica Fosbury e sprofondare in una siepe, seguito subito a rotta dall’altro L di L&L e dal sottoscritto. Qualche braccio che penzola inerte, per il resto siamo ancora vivi. Il viaggio verso la discoteca è un parossismo alcolico: cori da stadio, grida, latrati, molle, salti. H si diverte e molto, ma come ci si può divertire quando il tuo aereo sta precipitando e poi, miracolo, il pilota riesce a farlo atterrare. Una volta basta e te lo ricordi per sempre. Giunti davanti all’Amber, sento robe tipo ‘saltiamole sul cofano’, che è alla prima pagina del manuale ‘I cento modi per entrare subito in discoteca e saltare la fila’. Lasciamo perdere, anche se l’idea aveva un suo fascino. Perverso. Cerchiamo di darci un contegno e ci fiondiamo verso l’entrata. Il buttafuori ci guarda e, non so se terrorizzato dallo sguardo psicotico dei quattro o semplicemente perché fiuta grandi affari al bancone del bar, ci fa entrare. Immediatamente. Neanche un secondo di attesa. Incredibile, qui non ci era mai successo, neanche quando arrivavamo con il brandy in mano declamando, in un inglese dal perfetto accento oxfordiano, tutta l’opera di Shakespeare. O forse un semplice ‘Can we enter?’, non ricordo. Prima che cambi idea, accettiamo il cortese invito e ci infiliamo dentro al club. Da quel momento in poi… Avete presente il film Una notte da leoni (Hangover)? È la storia di 4 amici – guarda caso – che decidono di celebrare l’addio al celibato di uno di loro a Las Vegas. Se non l’avete già visto, fatelo. Quello che mi è successo è molto simile, a parte la tigre in bagno e il cinese nel bagagliaio della macchina, ma solo perché non ho una macchina. Amnesia totale. Il grande buco nero. L’ultima cosa che mi ricordo è il biglietto di ingresso, 25 franchi senza consumazione, ladri! E un panino, nel bel mezzo della notte, nel tentativo disperato di riprendere coscienza. Quella umana. Ora, incrociando le testimonianze, ho cercato di riempire quel lasso temporale consegnato all’oblio e che mi costringe a passare dal reale al possibile. Gran maestro di cerimonia, il condizionale. Dicevamo, pare che, dopo aver lasciato le giacche in guardaroba… ma questo ve lo racconto nella prossima puntata, anche perché c’è ancora un sabato che merita da raccontare. Come sempre, buona settimana a tutti!
p.s: stiamo degenerando. Aiutateci!

martedì 14 settembre 2010

Zio si nasce, non si diventa

Tre settimane di vacanza. Molte o poche, questione di punti di vista. Al mio ritorno mi sono portato dietro una valigia piena di sbadigli. Dormire non è stata di certo l’attività più praticata. Tre settimane di vacanza. Il mio taccuino è pieno di appunti, di storie da raccontare e di fatti che, forse, è meglio non vengano troppo pubblicizzati. Davanti al foglio bianco, crocevia di ansie pseudo letterarie ed euforie creative, mi domando da dove iniziare, quali ricordi trasformare in parola. Non devo attendere molto. Mercoledì 18 agosto. Una vita fa, ma a me sembra molti di più - sarà l’aria estiva e vacanziera che si respira tutto l’anno a Zurigo. Ibiza, meta scelta scrupolosamente con l’intenzione di rilassarmi dopo dodici giorni di pazze feste a Tel Aviv. Città di Ibiza, meta scelta scrupolosamente con l’intenzione di infilare qualcosa nello stomaco e lanciarsi poi in pista, su le mani fino alle otto del mattino. Per chi non lo sapesse o avesse fatto ultimamente un frontale con il Frecciarossa, perdendo temporaneamente l’uso dell’emisfero sinistro del cervello, Ibiza e Zurigo non sono esattamente simili. A Ibiza si parla spagnolo – o catalano –, c’è il mare e gli orari sono quelli tipici mediterranei, cioè niente cena prima delle undici e mezza. A Zurigo, invece, si parla qualcosa che dovrebbe essere una lingua, anche se, secondo il mio modesto parere, assomiglia di più a una serie di sputi gutturali, il mare sembra non ci sia e gli orari sono quelli tipici della svizzera tedesca, cioè a letto senza cena dopo le nove e mezza, anche se hai fatto il bravo tutta la settimana. E infatti eccoci seduti a tavola a mezzanotte e mezza mentre ordiniamo in un tipico ristorante francese che nella carta dei vini ha solo quelli spagnoli. La globalizzazione. Vi chiederete, eccoci seduti chi? Come sapete, però, i nomi degli amici, nei miei post, non li rivelo mai, non per una questione di privacy, ma semplicemente perché conoscere una persona che scrive robe del genere è già motivo di onta, meglio non perseverare – che è diabolico – con la gogna mediatica. Vi basta sapere che la compagnia è quella delle migliori e delle più pazienti, visto la tolleranza a una settimana di mie battute continue. Poveri, vi voglio bene. Verso le due, satolli, alziamo i nostri reali culi e decidiamo di andare a berci una schifezza, cosa che facciamo senza troppa fatica, non senza prima essere passati per la zona omosessuale della città, pieni di simpatici individui travestiti da marziani in lattice che amano prendere a frustate il didietro dei baldi giovanotti di belle speranze. Il popò mi duole ancora. Terminati brindisi e chiacchiericcio, siamo pronti ad affrontare il vero scopo della nostra peregrinazione notturna: trovare i biglietti per l’Amnesia, tempio dedicato al ballo – o meglio, movimenti a caso indotti da abuso di dopanti che solo a volte, per congiunzioni astrali particolari, rispecchiano il nome con cui vengono chiamati - che conta migliaia di adepti. La serata si chiama La Troya – nessun riferimento alle rispettabili professioniste del settore – ed è internazionalmente conosciuta perché alle sei, nella sala principale, chi vuole e non si lava da settimane può usufruire dell’ottimo servizio di schiuma sparata a chilate da un paio di cannoni. Insomma, roba da intellettuali. Così, per non perderci anche noi la nostre dose di Badedas mattutino, ci mettiamo alla ricerca del Santo Graal del discotecaro. Che troviamo, passando tra i vari locali pre tunz tunz della cittadina. Infatti, notando il tipico atteggiamento dell’esploratore, vengo avvicinato da un ragazzo dal marcato accento lombardo.

Giovane: “Italiano?”
Io: “Sì”
G: “Ah, di dove?”
Io: “Di Milano”
G: “Ah, Milano, tantarrobba!!!”

È un topos. Lo trovi anche sul vocabolario, “Milano, definizione: tantarrobba”. Finchè ce n’è.

G: “Io sono di Cinisello”. Cos’è non lo fanno entrare a Milano? “No, io Milano? Mai vista. Non ho il timbro per entrare”. D’altronde, è sempre un problema. “Eh, no, volevo, ma mi è scaduto il bollo del passaporto”.
Io: “Stiamo cercando i bilgietti per l’Amnesia”

Il futuro premio Nobel – per come ha pronunciato tantarrobba – ci fa segno di seguirlo, scende le scale del locale accanto e urla come un pescivendolo al tizio pingue e barbuto seduto dietro a un bancone:

Oh, zio, ti mando giù cinque zii, sono amici, dagli i biglietti per l’Amnesia!”

Ci ho riflettuto un attimo e sono giunto alla conclusione che è bello essere degli zii. La ziitudine è una proprietà importante e ci rende tutti fratelli. Essere zii ci rende fratelli anche se il fatto di essere fratelli non ci rende per forza degli zii. Per esempio, non è detto che vostro zio sia uno zio. Magari, invece, vostro cugino lo è. E agli zii piace Milano perché c’è tantarrobba. Bella zio. E così, noi cinque zii, siamo scesi, abbiamo fatto l’acquisto, ci siamo scolati cinque shot offerti dallo zio ma solo perché siamo degli zii, abbiamo raggiunto la macchina, siamo partiti in direzione Amnesia, abbiamo trovato il parcheggio degli zii, siamo entrati e ci hanno lasciato passare per l’ingresso del privè perché lo zio aveva visto che eravamo degli zii e quando ha capito che venivamo da Milano deve aver sicuramente pensato “tantarrobba”. E, dentro, sì che ce n’era, di robba. Tanta. Che ballava con micro bikini sculettando a destra e a sinistra. Ho cercato di capire, inutilmente, se erano delle zie. Forse no. Poi, quando la gente in pista ha finito con le abluzioni, ci siamo diretti verso l’altro lato del privè. Da lì si dominava una pista completamente diversa. Piena di uomini grandi e grossi gonfiati con l’aria compressa e semi nudi. Forse loro erano degli zii. Quando li ho visti però tutti appiccicati con le lingue che mulinavano all’impazzata, mi sono reso conto che c’era ben poco dello zio, molto più della zia. Alle sette e un quarto si è spenta la musica e si sono accese le luci. Come dire, andate a casa che è meglio.

Il risveglio, sei ore dopo, ha un che di traumatico. Mi trascino verso il bagno, piscio, e mi guardo allo specchio, la faccia scavata, le occhiaie, i capelli arruffati e lo sguardo decisamente ottuso. Profondamente ottuso. Alla mia età mio padre aveva due lauree in tasca e e due figli a casa, io ho solo un gran mal di testa post sbronza. Poi, però, continuando a guardare, è incominciato a cambiare qualcosa dentro di me. Ho incominciato a capire. E alla fine, come un fulmine che squarcia il cielo, l’illuminazione è arrivata: “Minchia”, mi sono detto “ma come faccio a essere così zio?!!”. Buona settimana a tutti, zii, e tantarrobba!

p.s: un saluto speciale ai coinquilini di Ibiza, era da tempo che non ridevo così tanto. Almeno da quando non mi sono rimesso a seguire la politica italiana...

lunedì 6 settembre 2010

Anno che viene, anno che va

Di nuovo sul treno, di ritorno verso Zurigo. Sarà la domenica , ma oggi mi sento particolarmente malinconico. E mi manca Milano. Più del solito. So che ci sono mille ragioni per odiarla, forse di più, ma quella cosa che a fatica pompa il sangue nel mio corpo se ne frega. Tra qualche giorno, quando, munito della mia fidata lancia alcolica di rum e cola, scenderò sul campo di battaglia pronto al singolar tenzone, penserò tutt’altro. Oggi, però, è così. Venerdì scorso ho compiuto 34 anni. Non saranno ancora un’eternità, ma ho amici che conosco da più di vent’anni e questo fa impressione. Almeno un po’. E il torcicollo che ho avuto come regalo di compleanno non è stata una ventata di ottimismo. Allora, cosa è successo in questo anno? In parte lo sapete, se mi avete seguito nei deliri del lunedì: viaggi di lavoro; sbronze epiche; chilometri macinati in piscina; ragazze conosciute e poi mai richiamate, ragazze chiamate e da cui non ho mai ricevuto risposta; nuove amicizie; libri che mi hanno fatto sognare, incazzare, riflettere; musica ascoltata, suonata e pensata; buoni propositi rimasti chiusi nel cassetto; soldi inutilmente sperperati; stupidamente; risate, pianti, gioie, delusioni, felicità fugaci e dolori che ancora mi accompagnano. La lista è piuttosto lunga, ma non voglio tediarvi più del dovuto. Qualcuno non c’è più. Si dice che così è la vita, ma in questo non ci trovo nulla di consolatorio. Si dice che il tempo sia il rimedio, ma io invece lo considero il più feroce serial killer di sempre. Il tempo ci seppellirà tutti e invece di stare tanto a capire il come e il perché facciamolo giudicare da un tribunale internazionale. Niente attenuanti. E io? Sono cambiato? Difficile rispondere. Probabilmente sì, ma non saprei in cosa. Più pessimista, può essere. Ho perso fiducia in molte cose e a volte mi sembra che nulla, di quello che viviamo, rimanga, ma scivoli via, come quando prendete della sabbia nella mano e i granelli incominciano a uscire, uno a uno, poi tutti insieme, fino a quando non rimane più niente. Per il resto, mi sento il solito idiota di sempre. Proprio oggi, poco prima di uscire di casa, mi ha chiamato mia nonna. “E allora, quando te la trovi una fidanzata?”. Già, quando? Ma la fidanzata non è un obbligo. Crescendo, poi, sono diventato molto più selettivo. A volte penso che sarà più facile raggiungere la pace in Medio Oriente. Certo, ogni tanto mi sento solo e mi piacerebbe avere in casa qualcuno con cui parlare. Penso che mi comprerò un pappagallo, almeno non soffre della sindrome dei piedi ibernati. E poi? E poi, domani è un altro giorno, un altro giorno che finirà e poi domani sarà un altro e così via. Intanto, continuo a sognare a occhi aperti e mi domando ancora cosa farò da grande. Già, ma quando si diventa grandi? Forse quando smetterò di farmi questa domanda, anche se è più probabile che, quel giorno, non sarò grande, ma solo un vecchio dentro a una bara. Strano, per uno che pensava una volta di essere immortale, invece ha poi scoperto che di immortale, a questo mondo, c’è solo Silvio. Tutto sommato, nonostante il mio pessimismo cosmico, amo la vita, e preferisco essere vivo che morto anche se ammetto che, da morto, hai alcuni vantaggi, come smettere di pagare le tasse e non essere assillato dai programmi della De Filippi. Io, per esempio, adoro fare colazione e da morto questo sembra sia molto più complicato. So che è una cosa stupida, ma la mattina, quando mi alzo, sono contento perché so che in dieci minuti mi siederò davanti a una bella tazza di latte e cornflakes, fette biscottate, marmellata e deliziosi biscotti di burro con cioccolato belga. E in quel momento sono felice. E allora, che cos’è la felicità? Dove si trova il senso della vita? Non lo so, forse in un biscotto al burro e scaglie di cioccolato o, come diceva il filosofo Bertrand Russell, nel fatto di andare due volte al giorno di corpo, con regolarità. Non pensavo di essere tanto felice! Insomma, godiamoci la nostra finitezza e godiamocela infinite volte. Intanto, voi godetevi il fatto che anche questo post è giunto alla sua fine. Mi spiace avervi deluso, vi aspettavate qualcosa di più ameno. Be’, oggi ne ho fatto a meno, ma vi prometto che da lunedì prossimo proverò di nuovo a strapparvi qualche sorriso. Vi lascio con una poesia molto bella di un autore che io amo particolarmente. L’autore è mio papà e la poesia è scritta in occasione del mio compleanno come ormai, da consuetudine, fa da una vita. Buona settimana a tutti!

Il Vento


Il vento soffia via il mese di
agosto; finisce presto l’affanno
con piccole trombette un lunedì
a mezze tinte da Capo d’Anno

Echeggia settembre con temperati
miti modi il vento del deserto
che brusco porge agli antenati
i corni del dilemma aperto

fra essere e apparire: sfinge
turbinante, fenomenale
che il clima fresco non restringe

a pura idea essenziale.
Solo con alfabeto che Mem comprime
fra Alef e Tav il soffio esprime.

אמת Emet