lunedì 25 ottobre 2010

Ciao, sono Tina, Nico Tina e brucio di passione ovvero la vita a Zurigo, l'amore e le vacche di Hegel


Ah, il mio ficino rumorossso!”

Questa è l’accoglienza che mi riserva, con quell’inconfondibile accento così difficile da riprodurre sulla carta e che mi fa sempre sbellicare dalle risate – non di meno, un italiano perfetto che mi fa vergognare del mio tedesco sbiascicato -, il mio vicino di casa, quello che abita sotto di me e che si innervosisce quando suono il piano con le cuffie e, percuotendo i tasti, provoco delle vibrazioni che si propagano nel parquet, si insinuano nel soffitto sottostante e, per la nota legge della palla di neve che rotola giù per il pendio nevoso, giungono alle sue orecchie così amplificate da poter essere scambiate per l’intera sezione ritmica di un concerto dei Sepultura. Abbozzo un sorriso e mi infilo in bocca una tartina enorme che mi tiene occupato per qualche minuto. La festa, però, è degli altri vicini, quelli della porta accanto che, dopo una lunga permanenza di 7 anni, hanno deciso di trasferirisi ad Argau, o qualcosa del genere, allegro paesotto di 600 anime a una mezz’ora di treno da Zurigo. Lui, E., irlandese di razza, non pare tuttavia particolarmente eccitato di trascorrere il resto della sua vita in un posto in cui sanno quante volti caghi durante il giorno e si consola scolando una birra dietro l’altra - il fatto che io volessi presentarmi con un paio di birre come gesto di ospitalità denota chiaramente, a parte le dotte nozioni apprese dai Padani con fazzoletto verde, la mia ignoranza sulla natura della stirpe celtica: nel balcone sono stipate casse su casse di birra. Sarebbero troppe anche per Argau. K e io non abbiamo niente per cui consolarci ma decidiamo di tenergli compagnia in questa staffetta alcolica e nicotinica che si protrae per alcune ore. Vi riassumo brevemente gli accadimenti per evitare di richiedere alla vostra attenzione, catalizzata ogni due minuti dagli status di Facebook, uno sforzo sovraumano. Ecco cosa è successo in quell’arco temporale compreso tra le otto di sera e mezzanotte circa:


  1. Bevuto una discreta quantità di birra

  2. Fumato una discreta quantità di sigarette

  3. Parlato per la prima volta con una coppia di svizzeri. Svizzeri veri. Non ho ancora scoperto il senso della vita, ma ora sicuramente so cosa non è

  4. Individuato la ragazza più carina ma, a parte chiacchiere di circostanza e grazie ai punti 1 e 2 che hanno il potere di rendere i tuoi discorsi una somma sgangherata di frasi senza senso, la cosa è finita lì

  5. Congelato. Letteralmente. Nessuno mi aveva avvertito che l’inverno a Zurigo iniziava a metà ottobre. Dopo quattro ore passate sul balcone in maglietta e gilet il dottore ha constato il rigor mortis. Qualcuno a un certo punto deve avermi appeso addosso anche la giacca

Verso mezzanotte e mezza ci tocca salutare la ciurma perchè per altri mari dobbiamo navigare. Infatti, a dieci minuti di tram, in quel posto esotico chiamato Valman, ci aspetta L di L&L. E anche l’altro. Mandate a letto i bambini.

Il locale è già gremito. Ordiniamo due cuba libre. Il tempo di servircelo ed ecco comparire dal nulla, in successione:




  1. L di L&L

  2. L di L&L, l’altro

  3. M, quello del mal di piedi, in compagnia di due ragazze. La prima è l’amore della sua vita. O almeno, così vorrebbe lei, giovane ma neanche tanto sciampista di Schaffausen. Ora si dice assistente parrucchiere, ma la sostanza non cambia: me la immagino, lì, sotto le cascate, mentre la forza delle acque si abbatte sulla chioma della cliente portando via tutta quella meravigliosa schiuma, duro frutto delle sue laboriose mani. La natura è crudele. L’altra, l’amica, uscita dal pennello di un cattivo pittore, è un pessimo ritratto di ragazza. Qualcuno potrebbe definirla una cozza, ma ho troppo rispetto per le cozze per azzardarmi a paragoni così arditi. In compenso è simpatica. Se tace.


Il numero di bicchieri e brindisi si moltiplica vorticosamente, mentre le nostre menti, piano piano, si offuscano. Prima che le tenebre calino sulle mie sinapsi e sopraggiunga la notte nera in cui tutte le vacche sono nere – e devo dire che mai citazione fu più azzeccata di questa –, decido di esibirmi in una girellite improvvisata. Individuata la preda, allungo il braccio e cerco di afferrarle il metacarpo. Lei sfugge alla presa, schifata. E in quel momento succede qualcosa che non mi sarei mai immaginato: la fanciulla, sotto gli influssi di una bizzarra maieutica, compie due giri su se stessa. Sto assistendo al primo caso di girellite elettrolitica, ovvero al processo mediante il quale l’elettricità contenuta nel mio corpo si abbatte su quello più armonioso della cavia che, una volto scomposto nei suoi elementi costitutivi, produce una reazione chimica che culmina in una girellite primordiale e autoreferenziale. Per un istante mi sento come Dio davanti a un balbuziente Mosè elvetico: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti fece uscire dalla terra di Valman, dalla casa degli schiavi. Non avrai altro Dio all'infuori di me e non pronuncerai mai invano la parola ‘Assolutamente sì’”. Non appena mi riprendo dallo stato di onnipotenza, mi accorgo di essere ubriaco ma non ci faccio più di tanto caso, la normalità mi fa sbadigliare. E giunge l'ora che volge il disio ai navicanti e 'ntenerisce il core. Tutti allo Zukufnt tranne le due signorine – di cui ce ne infischiami, non avendo nessun ruolo in questo post – che preferiscono l’apparire all’essere (ubriachi) e si involano per lidi più convenzionali e noiosamente svizzeri. Prima di salire in taxi, spettacolo improvvisato di L di L&L – lui o l’altro? –che, con una tovaglia rubata da non si sa dove, si lancia in un’improbabile imitazione di Antonio Rezza. Una volta tributatogli i giusti applausi, ci facciamo portare a Helvetia Platz perché i portafogli necessitano di rifornimento. Fortuna che ho sempre dietro i passamontagna. Intermezzo giocoso con sottofondo musicale raveliano Jeaux d’eau: io che innaffio L di L&L alla fontana e lui che, pochi minuti dopo, ispirato da una musa non particolarmente sagace, se ne va in giro trasportando un carrello colmo di bottiglie di plastiche pronte per il riciclo. E io che pensavo che in Svizzera si riciclasse solo il denaro. Mancano pochi metri alla nostra Mecca dei divertimenti, ma le sorprese non sono ancora finite: L di L&L, colpito da Boltite fulminante e senza neanche aspettare lo start, scatta e cercando di battere il record mondiale dei 100 metri entra nel Kiosk – versione elvetica dei nostri tabaccai – arriva al bancone, si ferma, si volta ed esce camminando con nonchalance. La persona alla cassa, pietrificata, mostra un’espressione di stupore misto a terrore che scomparirà dal suo volto solo dopo una settimana. È ancora lì a chiedersi il significato della misteriosa apparizione: un cliente insoddisfatto? Un rapinatore estroverso? Un folle che protesta contro il caro prezzo delle sigarette? E mentre il dubbio attanaglia la mente del negoziante, noi siamo al bar dello Zukunft impegnati in una serie massimale di cuba libre. Intanto qualcuno fa conoscenza con un gruppetto di sudamericane discretamente carine. Una di loro cerca di farsi offrire da bere da K che, con garbato tatto, la manda a quel paese. Prego, in fondo a destra. L di L&L, non so se l’uno o l’altro, coglie l’occasione al volo e, con ardore italico, ordina sei shot di Jagermaister. Io, nel frattempo, vago senza meta per la pista e mi fermo solo quando mi convinco di poter essere in grado di coordinare i miei movimenti con il ritmo della musica elettronica sparata a tutto volume . Convinzione, ahimè, che si infrange subito alla prova dei fatti. Il risultato è più o meno quello che si osserva su un essere umano colpito in pieno da un fulmine. Le ore passano, i miei sensi si ottundono. Una ragazza mi si avvicina.

“Esco a fumare una sigaretta!”

Le do la mia approvazione e le consiglio anche di non esagerare perché è risaputo che fumare fa male. Essendo oramai un infuso di alcol, nemmeno mi domando come mai una ragazza che non ho mai visto nella mia vita senta il bisogno di comunicarmi la sua impellente necessità di aspirare nicotina. Si vede che chiedere il nome non si usa più. Quando torna, si lancia in una sfrenata lap dance di cui io sono il palo. Qualcosa, dentro di me, inizia ad animarsi e non sono i neuroni. Sorrido, ebete, in preda a fantasie sessuali indicibili. La realtà prende nuovamente il sopravvento: per quanto possa desiderare un lieto fine dove tutti vivono felici e contenti almeno per un paio d’ore, questo potrà avverarsi solo nel migliore dei mondi possibili, perché in questo, purtroppo, ho più rum che anima e il mio encefalogramma sessuale indica la cessazione di ogni attività. Sconsolato, mi allontano e, come i leoni quando intuiscono che il loro momento è giunto, raggiungo l’angolo più nascosto del locale e, faccia al muro, esaurisco le ultime energie in danze tribali dal profondo quanto oscuro significato rituale. Non ho più molti ricordi se non quello di una pista vuota, le luci accese, silenzio. Qualcosa dentro di me mi dice che è ora di tornare a casa.

Il giorno dopo, ancora a letto, in una stanza in penombra, fisso il soffitto e ripenso alle occasioni mancate della mia vita. A cosa sarebbe potuto succedere se quella volta avessi agito in modo diverso. Al bivio. E poi, dal nulla, ecco uscire fuori la voce di Enrico Ruggeri che mi dice “Per me è un no”. Eh no, Enrico, dai, hai sbagliato programma! Buona settimana a tutti!

lunedì 18 ottobre 2010

Un fastidioso silenzio

Mi piace il silenzio. Come il tempo, anche il silenzio, sopraffatto dalla cacofonia del quotidiano, è diventato ormai un lusso: le nostre città sono diventate un vociare continuo, una fucina di decibel che non si ferma mai. E se questo già non bastasse, ci si sono messi pure quei maledetti quattro corvacci grassi come maiali – ma come fanno a volare?!! – che con il loro funereo ‘cra cra cra’ ammorbano quel momento della giornata in cui i miei parametri vitali rasentano lo zero e necessitano di un’assoluta assenza di rumore che altro non fa che eccitare i miei istinti omicidi: il risveglio. ‘Cra cra cra!’. ‘Cra cra cra!’ ‘Cra cra cra!’. Ogni volta, con gli occhi ancora chiusi a doppia mandata, incollati, muovo la mano nella vana ricerca di un fucile a pallettoni. Una bomba a mano. Qualsiasi cosa possa servirmi a eliminare i tenori piumati da un mondo crudele e indifferente. Ore dopo, rinsavito, mi vergogno amaramente di pensieri così abominevoli. Le armi da fuoco lasciamole ai soldati, ai poliziotti e ai miei amici che così sanno farmi capire quando il tempo concessomi per le battute è terminato. Meglio una bella fionda: d’altronde, io mi chiamo David e vi assicuro che quei panzerotti alati sono davvero enormi, altro che Goliath. Perciò, mi rimane un solo posto dove poter godere appieno del silenzio e rigenerare il mio logorato spirito. Lo spogliatoio della palestra. Oltre, c’è solo il cimitero. Perché qui, a Zurigo, il boudoir è un tempio sacro. Appena varcata la soglia, te ne stai lì, immobile, colpito dalla ieraticità del luogo. Calma. Quiete. Pace. Tutto così lontano dall’atmosfera che si respira in Italia: gente che urla, canta, battute e battutacce e i discorsi che vertono tutti sempre sullo stesso argomento tanto caro al maschio italico medio. E non sto parlando del calcio. A Zurigo, invece, non vola una mosca e se volasse, verrebbe sicuramente multata per disturbo della quiete pubblica. Qui, la gente è muta. Bisbiglia al massimo. Si sente solo lo scrosciare dell’acqua delle docce, ricordo forse delle cascate di Schaffhausen. Ammetto che la cosa, a volte, possa inquietare. Mi guardo intorno e scruto queste salme in pantaloncini e scarpe di ginnastica alla ricerca di una risposta. La domanda, però, mi sfugge. Quando poi sono scosso dai tremiti dell’horror vacui, fischietto garrulo, provocando violente tempeste emozionali tenute a bada solo dalla proverbiale educazione elvetica. Non che le cose cambino particolarmente nello spogliatoio della piscina, quella di Oerlikon, la più importante della città, dove si svolgono le gare ufficial, dove si possono incrociare i nuotatori della nazionale, dove tutti i vostri sogni possono diventare realtà e allora, forza, gente, chiamate, alle prime 100 telefonate in omaggio il manuale su come diventare una testa di cazzo svizzera sniffando raclette per tre giorni. A Oerlikon si allenano molte squadre agonistiche e master. Finita la tortura in acqua, quando vedi queste ciurme di baldi giovanotti uscire con la lingua di fuori, il fiatone e il tipico colorito violaceo che segnala esplosione imminente, pensi, bene, adesso inizia il divertimento. Invece, niente. Sì, c’è un vociare più sostenuto e scappa pure qualche risata, ma il livello dei decibel è ancora risibile. Niente a che fare con quello che succede a Milano, quelle rare volte che riesco ad allenarmi con la mia cara, affezionata squadra. Non ci sono parole per descrivere l’uragano sensoriale che si abbatte in quella zona compresa tra docce e armadietti. Posso solo dire che, se in quel momento qualcuno di voi aprisse la porta per dare una sbirciata, perderebbe istantaneamente fiducia nel genere umano e si ritirerebbe nella più sperduta delle grotte, in un eterno e funereo silenzio. E siamo così tornati da dove eravamo partiti, in questo eterno ritorno dell’uguale, che, come direbbe Nietzsche, mi ha rotto l’escatologico. Mi piace il silenzio. Però, fatelo almeno un urlo in quel cazzo di spogliatoio, zombie! Buona silenziosa settimana a tutti.

lunedì 11 ottobre 2010

L'insostenibile leggerezza dell'etere

Lo sappiamo, sottile è la linea che separa la vita dalla morte. Un colpo di sonno mentre si guida a fari spenti nella notte. Flirtare con la ragazza di quell’australopithecus gigantesco che si esprime solo a monosillabi e a colpi di mazza ferrata. Citofonare la domenica mattina per portare la parola di Geova. La nostra esistenza è appesa a un filo e se il filo si spezza, ci sfracelliamo al suolo e dopo non potremo mai più pronunciare parole come supercalifragilistichespiralidoso, sternocledomastoideo e precipitevolissimevolmente. Ne sa qualcosa una donna di Avion, piccolo paese del nord della Francia, che qualche giorno fa... Ma andiamo con ordine. Davanti al computer, do un’occhiata alla versione online francese di 20 minuten. Ci tengo a essere informato sul nuovo calendario sexy delle contadine svizzere e ai morbosi casi di cronaca nera che appestano il paese. Infatti il giornale è lungo due righe e mezzo. Comunque, la mia attenzione è fagocitata da un titolo che si insinua nel mio labile cervello come un imperativo categorico. Devo leggere l’articolo. Siamo ad Avion, che Wikipedia dice trattarsi di “un comune francese di 18.298 abitanti situato nel dipartimento del Passo di Calais nella regione del Nord-Passo di Calais.”. E basta. Non deve essere molto eccitante vivere ad Avion: qualche voilà, un po’ di parbleu e tutti a seguire Second chance su TF1. E quando l’oscurità cala su Avion, be’, non succede niente. Si va a letto. E infatti il dramma di cui voglio raccontarvi si svolge tutto all’interno di una camera da letto. Lui e lei. Lui me lo immagino sulla cinquantina, un pancione irsuto dedito a quella nobile arte che è lo sfregamento delle gonadi. Utilizzare però luoghi comuni per agire sull’immaginario collettivo è tristemente banale. Diciamo che lui è un intellettuale che, vestito di tutto punto con il suo pigiama di seta se ne sta da una decina di minuti comodamente sdraiato a leggere la proustiana À la recherche du temps perdu. Ha quasi finito una frase. Lei, accanto, cerca di dormire sfinita dopo una intensa giornata passata a studiare L’arte della fuga di Bach. Una coppia come tante altre. Forse nottambula visto che 20 minuten riferisce che erano circa le 5 del mattino, ma il post è il mio e ci scrivo quello che voglio. All’improvviso, la pace coniugale viene minata da un evento a dir poco terribile. L’uomo emette una flatulenza dall’odore particolarmente nauseante. In gergo tecnico, una loffa: silenziosa e micidiale. Non resta che la fuga. Ora, io ritengo che chi produce gas di tale nocività senza almeno avvertire e concedere ai presenti una possibilità di sopravvivenza dovrebbe essere perseguibile penalmente. Ve lo dice uno che sul volo di ritorno da Istanbul, lo scorso capodanno, fu sottoposto dal vicino areofagitico a questa tortura per tutta la durata del viaggio. Quattro ore di allucinazioni visouditive. Perciò, ben capiamo la moglie che, asfissiata, fa quello che tutti noi avremmo fatto: si allontana dal luogo mefitico e spalanca la finestra, prendendo grandi boccate di aria e decontaminando l’area. Il problema è che il marito non la prende affatto bene. Anzi, la prende come un’offesa. Forse era la loffa perfetta. Non essendo riuscito a eliminare la consorte con questa tecnica fatale, decide di portare avanti l’intento criminale strangolandola direttamente. Ma non abbastanza. Insomma, tragedia sfiorata ma evitata e, come scriveva Shakespeare, tutto è bene quel che finisce bene. La notizia mi ha fatto tornare in mente, e non chiedetemi perché, il tizio che l’altra sera, nello spogliatoio della piscina, inondava le sue ascelle con uno tsunami di deodorante. Niente di male, ci mancherebbe, vorrei solo capire perché lo facesse prima di entrare in acqua. Buona settimana a tutti!

p.s: per chi non lo sapesse, Avion, in francese, significa aereo. Piuttosto azzeccato con il protagonista di questo post. Post anche loro, in fondo, aerei, eterei, impalpabili e che svaniscono alla prima finestra spalancata.

Ora chiamatelo Lord-enzo (parte seconda)

Riprendiamo da dove avevo lasciato. Il grande buco nero dell’Amber, parte seconda. Dicono che avremmo continuato a bere, infischiandocene della leggi della fisiologia umana che vorrebbero che, parlando di liquidi, nel corpo umano la quantità di sangue fosse superiore a quella alcolica. Eppure testimoni oculari giurano averci visto fare avanti e indietro al bancone reggendo bicchieri che di certo non contenevano solo coca cola. Dicono che avremmo intrattenuto amabili conversazioni con simpatiche signorine. Dicono. Se solo mi ricordassi qualcosa. Dicono che all’entrata dello Zukuft avremmo convinto altrettante simpatiche signorine che se ne stavano andando a casa a tornare in pista e a ballare insiema a noi. Dicono che queste signorine fossero molto più che carine del normale e che dopo un po’, visto che noi viaggiavamo sullo Shuttle in direzione di galassie sconosciute, si siano arrese davanti all’evidenza e abbiano imboccato la via d’uscita. Dicono che, anche lì, i brindisi non siano mancati. Dicono un sacco di cose, ma la verità è che davvero io non riesco a ricordarmi niente. Non so come e quando sia tornato a casa. So solo che sono uscito dal coma verso le due, quando mi sono svegliato con la testa che andava in frantumi e, dopo aver vegetato per più di un’ora, ho dovuto impiegarne altre due a zonzo per Zurigo per farmi passare quella sensazione di morte che mi attanagliava la mente e lo stomaco. Finito? Niente affatto, contando che questa è l’ultima serata ufficiale di L di L&L da italiano a Zurigo con permesso B. L’appuntamento è verso le 11 al Talacker, una specie di bar radical chic dove potersi bere caraffe da un litro di birra e osservare fauna locale che non balla al suono della musica messa su dal DJ spaparanzato sui divanetti. Grazie al concerto degli U2, che ha intasato tutti i tram trasformandoli in saune su rotaie, mi devo fare tutta la strada a piedi. Prendo il microfono, ringrazio i fan e impreco per i restanti quindici minuti. Al Talacker si ricompatta il gruppo. K, tornatosene a Milano – l’ho incrociato nel pomeriggio che, in condizioni disperate, scendeva le scale e pregava Dio di concedergli la forza necessaria per arrivare in stazione –, viene sostituito da M, amico di L di L&L, l’altro, in trasferta nella cittadina svizzera per questioni legate al cuore. O a qualcosa situato più in basso. L di L&L mette subito le mani avanti:


“Ragazzi, io massimo a mezzanotte e mezza vado a casa”

Risata generale.

“No, dico sul serio”

Noi tre, in coro greco: “Scusa?!”

“Devo ancora finire di fare la valigia”

“E poi?”

“E poi devo mettere a posto l’appartamento, sistemare alcune cose burocratiche, salvare il mondo e calibrare i miei poteri di super eroe”

Un po’ vago. Noi annuiamo e cinque minuti dopo siamo seduti di fianco all’entrata con una caraffa da un litro di birra davanti a noi. Si abbassano le luci, inizia lo spettacolo. La giuria italica, grazie alla tecnologia moderna – il cellulare – giudica le graziose e meno fanciulle che ci passano accanto. 5. 7+. 3, non ci siamo. 8/9, ovazione generale. Neanche ce ne accorgiamo e stiamo finendo la seconda caraffa. Io mi dimeno al ritmo della musica, almeno come può dimenarsi qualcuno sprofondato in una poltrona. Sono un criceto sulla sua ruota. Gli altri tre apprezzano e vengono contagiati dalle mie movenze epilettiche. Qualche signorina si fa trasportare dall’entusiasmo – il nostro – e abbozza tiepidi sorrisi, mentre il gruppo di sfingi svizzere osservano la scena e, come al solito, se ne rimangono immobili, mummificate, confidando nel loro enigmatico carisma. Senza speranze. Tempo di cambiare aria. Valman? E Valman sia. L di L&L non ha nulla da obiettare e, pur essendo già ora di rincasare, ci concede ancora l’onore della sua presenza, sacrificando così tempo prezioso per piegare mutande e calzettoni. Ma si sa, la vita non è un parco giochi e richiede sacrificio. Così, andiamo a tastare il polso della situazione. Quello che tasto io e che appartiene a una biondina in pantaloni di pelle che faccio turbinare verticosamente non è affatto male. La donzelletta vorrebbe approfondire l’argomento ma la girellite è effimera e non concede deroghe a nessuno. Magari più tardi, prima dobbiamo esaurire le scorte di alcolici e applicare la girellite con metodo chirurgico fino a quando non incomincia a girare anche il locale. Ci buttiamo nella mischia e apriamo le danze. Una nipponica esteticamente interessante si divide tra due baldi giovanotti e, infilatasi in testa un casco da speleologo, ne esplora le cavità orali. Squinzie della Zurigo bene ammiccano e sculettano, esacerbando il mio lato più prosaico: se potessi, mi metterei a quattro zampe e inizierei a ululare alla luna. Non è detto che non l’abbia fatto. Quando la tensione diventa insostenibile, bisogna prendere una decisione radicale. Zukunft. L di L&L, però, non ci sta.

“Vado a casa”

Fosse una persona come tutte le altre, potremmo anche prenderlo in parola, ma con lui la Lorenzata è dietro l’angolo. L’angolo dove il taxi ci lascia, tutti e quattro, e da dove ci incamminiamo per raggiungere il nostro santuario. L’ingresso ce lo fanno sudare un po’, ma tanto sudiamo alcol e ci fa solo che bene. Veniamo accolti al ritmo di musica balcanica che ci accompagnerà per tutta la notte. Impossibile non farsi trascinare. Trenta minuti di danze di quell’intensità – che io ballo, ignorandone il motivo, a metà tra il klezmer e lo ska – mi riducono a una spugna imbevuta di sudore. Fortuna che al bancone è possibile fare rifornimeto di energetici. Altri trenta minuti e siamo costretti a prenderci una pausa. Noi, alla salute, ci teniamo. Saliamo al fumatoio dello Zukunft, dove possiamo ordinare qualche bicchierino. La cameriera ci guarda stupita, visto che non riesce a capire dove sia l’altra settantina di persone con cui, evidentemente, dobbiamo essere usciti stasera. Mistero. Ne discuteranno nella prossima puntata di Voyager. Si abbassano le luci, inizia lo spettacolo. Il secondo. M, che avevamo perso, torna tra noi, ma è ufficialmente perso e, incapace ormai di intendere e volere, tiene in mano il bicchiere di coca e rum solo per darsi delle arie. Distrutto, sussurra un “Ho male ai piedi”. Ho male ai piedi?! Ce ne facciamo una ragione e ricominciamo con la diffusione del virus della girellite: scoliamo l’imbevibile e facciamo l’impensabile. Per uno svizzero. Esauriti i numeri circensi, scendiamo di nuovo in pista. Appena varcata la soglia, mi trovo davanti a un sinuoso essere dalla lunga chioma bionda e che, lo dico per evitare fraintendimenti, non è K, a quest’ora già da un pezzo a letto nel milanese. L’occasione è ghiotta, l’agguanto e la faccio subito ruotare intorno al suo asse, provocandole una deviazione dell’orbita ormonale che sortisce un effetto devastante. Dopo averla introdotta agli L&L, che le riservano la stessa terapia d’urto, l’empatica figliola, posseduta da spiriti demoniaci, mi rapisce per un’oretta, dandomi dimostrazione intanto dell’esistenza di una giustizia divina e della mia trasformazione in uomo ogetto, nel senso che, una volta stufatasi della situazione, mi o-getta via – come direbbe Heidegger, o-gettato nel mondo - e se ne va, lasciandomi con un senso di incompiuto che stenta a svanire. Ma non è finita qui, the best is yet to come. La mente diabolica di L&L, sempre in ebollizione nonostante lo aspettino mutande e calzettoni da infilare in valigia, ne escogita una delle sue. Armato del suo inseparabile drink, scatta come Bolt, passa sotto a un bancone che serve solo da cimitero dei bicchieri vuoti, e poi si getta a volo d’angelo sopra ai divanetti. L’altro L di L & L raccoglie la sfida ma fa di meglio: una volta passato sotto al bancone, si tuffa in perfetto volo d’angelo e scaraventa con violenza il bicchiere che aveva tra le mani, bicchiere che va a schiantarsi contro il muro producendo il classico effetto Pollock. Non c’è il due senza il tre, però, non si dice a caso. Sbuffo dalle narici e sono pronto all’incornata finale, aga David! Prendo la rincorso e senza neanche versare una sola goccia del mio inseparabile cuba libre, passo sotto al bancone, punto la ragazza seduta e lasciata ingenuamente da sola che sta sorseggiando il suo cocktail e…

“Cin cin!”

Mi volto e sarei pronto anche a tornare indietro come se nulla fosse se la ragazza non attaccasse discorso. Essendo particolarmente carina, decido che tutto sommato vale la pena fare conoscenza e scambiare due chiacchiere con la pupa. Dopo circa un minuto il mio ego riempie completamente il locale. Dopo due minuti, viene subito ridimensionato dagli amici: mentre sono lì che parlo, vengo portato via di peso dai due L di L&L che, prendendomi sottobraccio da una parte e dall’altra, mi trasportano dalla parte opposta della sala accompagnandosi con urla guerriere mentre la ragazza ci fissa allibita e io muovo i piedini penzolanti. Sono due gran bastardi, ma mi hanno fatto ridere e perciò li perdono. Dopo una roba del genere, niente è più come prima, come quando dall’adolescenza si passa improvvisamente all’età adulta. Come quando si passa dal pannolino al vasetto al cesso e poi si regredisce di nuovo al pannolone. Come quando si resta incollati al televisore a guardare Buona Domenica. Insomma, è ora di tornare a casa. Baci, abbracci e un altro giorno sta per iniziare. Buonanotte.

Il giorno dopo mi ci vogliono due ore di pedalate per riprendermi. Perso in qualche paesino di morti viventi, arranco con la lingua fuori. E penso. Penso allo Zukunft, nel senso del futuro. Il mio. E alla vita. E allora capisco. La vita è come una bicicletta. Non importa quanto pedali e se la strada è in salita o in discesa. No, quello che importa è quanti cazzo di cuba libre ti sei bevuto la sera prima, ed è sempre uno di troppo, capito? Io no, perciò non mi resta che augurarvi una buona settimana, ciao!