lunedì 28 febbraio 2011

Scusate ma... essere o non essere?

“L’Eterno, il Signore, chiamò l’uomo (Adam) e gli disse: Dove sei?”. Questo passo tratto dalla Genesi ha fatto incanutire per secoli le barbe degli esegeti biblici: Adam pensava realmente di potersi sottrarre al Grande Fratello? Oppure Dio non conosceva le Yahoo! Answers, il servizio messo a disposizione dalla società della Silicon Valley e che permette di trovare una risposta ai grandi quesiti della vita? Il primo utilizzatore sembra sia stato Amleto, che con la sua domanda ha dato origine a un thread chilometrico che non si è ancora esaurito. Se volete sapere che figura esce fuori unendo tutti i nei di Bruno Vespa, se i trentatré trentini che entrarono in Trento trotterellando erano veramente trentatré o perché la sinistra non scende mai in piazza per manifestare contro il quotidiano genocidio di batteri... be’, allora cosa aspettate?

Domenica scorsa, mentre stavo scrivendo il solito post del lunedì, sono stato colpito da amnesia fulminante. Non mi veniva in mente la parola ‘espettorare’. Una parola fondamentale dell’italico vocabolario. Così, ho googlato ‘come sputare catarro’ e il mio occhio è caduto su uno dei link delle Yahoo! Answers. Ci ho cliccato sopra. Mi sono imbattuto in tale Frank che, credo, non deve avere avuto una vita facile. Infatti, tale Frank domanda: “Come faccio a tirare su il catarro x sputare?..è da qnd ero piccolo ke non riesco...?”. Deve essere un problema terribile che, come potete vedere, gli impedisce anche di scrivere correttamente. Non potevo non condividire questa perla su Facebook. Ed è quello che ho fatto. Pochi minuti dopo il mio amico I., a cui non sfugge niente, mi fa notare che quello in cui sono incappato è niente in confronto al dilemma di Tear’s Rain: “È matematicamente possibile calcolare l'area di un pene?”. Non mi ricordo di aver mai dovuto affrontare un problema del genere sui banchi del liceo e a casa, in genere, usavo un semplice righello. Over the knee non si è lasciato spaventare dall’arduo compito e ha fornito una risposta articolata in complesse formule matematiche che vi invito ad andare a leggere . Ora è in lizza per una medaglia Fields. Genio assoluto. A quel punto mi sono incuriosito. Volevo sapere. Volevo sapere di più. Così, ho incominciato a fare ricerche qua e là. Per esempio, vi eravate mai chiesti perché le bambole gonfiabili hanno sempre un’espressione così stupida? Qualcuno sì. La teoria più accreditata sostiene che l’espressione ebete è dovuta al fatto che le bambole gonfiabili non possono studiare ad Harvard. Ha una sua logica. Qualcun altro si domanda se quando si fanno gli esami del sangue ti chiedono il numero di cellulare. Certo, poi ti chiamano per dirti se lo hai passato o ti devi presentare nuovamente al prossimo appello. Mariossi vuole sapere quale sia il valore nutritivo di una caccola. Vero che ci sono caccole più grosse di quel soufflé che ho mangiato l’altro giorno al ristorante di nouvelle cuisine, tuttavia non mi sembra un’informazione essenziale. A meno che non costituisca l’unica forma di nutrimento e allora forse sì, sapevatelo. Una ragazza soffre di acne sulle natiche e chiede consigli sulla cura. E il consiglio non si fa attendere: ‘Fondotinta’. E mentre un utente è terrorizzato dalla possibilità che mangiarsi le unghie faccia male allo stomaco – mai quanto le caccole, che sono sicuramente molto più caloriche –, un altro è assalito da un dubbio atroce che gli attanaglia letteralmente lo stomaco: “Perché scorreggio sempre?”. Fossi in lui, non mi preoccuperei troppo, la flatulenza è stata sdoganata da secoli grazie al dantesco ‘Ed elli avea del cul fatto trombetta’. In alternativa, potremmo presentargli Roberta, che desidera ottenere informazioni sugli esercizi ginnici più utili per combattere il meteorismo. “Cosa succede se un individuo ingerisce una supposta?”. E chi lo sa. L’Apocalisse? “Perchè continuo a sognare di fare sesso con il gatto di mia zia?”. Sarà forse un gatto molto ben dotato. Concludiamo con l’ultima domanda. La più geniale. Menzione d’onore. Applausi. Ovazione generale. Bacio accademico:

“Come faccio a fare domande su yahoo answer?”.

E anche per oggi abbiamo finito. È lunedì, sono stanco, stressato, ho una tendinite che mi impedisce di suonare la chitarra da novembre, una fastidiosa tallonite, le ragazze mi danno numeri di cellulare a cui poi non rispondono e non ci sono più le mezze stagioni. A Zurigo non ci sono mai state perché è sempre inverno – ma che freddo fa?!! Meno male che ci sono le Yahoo! Answers, almeno mi faccio due risate. Adesso vi saluto: devo andare a calcolare l’area del mio pene. Buona settimana a tutti!

lunedì 21 febbraio 2011

Siamo tutti fritti-g

Odio il lunedì. Il martedì, anche di più. Il lunedì, infatti, quando suona la tanto odiata sveglia, mi alzo e, con rassegnazione, mi preparo ad andare in ufficio. Ma quello che, poco dopo, è seduto davanti a un computer, non sono io. È un automa. Un essere privo di coscienza. Di volontà. Un vegetale con il pollice opponibile. Uno zombie con gli auricolari nelle orecchie. Un ectoplasma appesantito da excel e microsoft project. Il martedì, invece, è tutta un’altra storia. Il martedì, è il risveglio, nel senso buddhista. Il martedì, cade il velo di Maya. Il martedì, c’è la presa di coscienza. È solo martedì. Devo scalare montagne di mail, esplorare progetti abissali, sopportare torrenziali meeting. E sono due anni che devo mettere le tende in camera, maledizione! Poi uno si domanda perché la gente si droga o guarda ‘Uomini e donne’. Prendiamo martedì scorso. Uno come tanti altri. Il suono di ‘Sunday morning’ dei Maroon 5 mi ricorda tre cose: uno, che non è domenica mattina, perché l’ultima volta che mi sono alzato di domenica mattina è stato quando mi hanno tolto l’appendice a cui ero molto affezionato e credetemi, era un sacco di tempo fa; due, che la sventola che mi spupazzavo, ahimé, era solo un sogno; tre, che è ora di cambiare sveglia. Il lunedì, quando mi alzo, sono distrutto. Il martedì, in genere, necessito di un defribillatore. I soliti dieci minuti per trovare il coraggio di alzarsi. Le ciabatte sono sempre un mistero in casa mia. Una è sotto il pianoforte, l’altra è data per dispersa. Evacuazione della vescica e abluzione mattutina stando sempre ben attento a evitare lo specchio delle mie brame che non mente mai. Passaggio rifocillatore in cucina, spazzolata a incisivi e canini e via, pronti a farsi nobilitare da quell’attività che richiede dedizione, impegno e una certa dose di talento. No, non è il sesso. Prima di uscire, prendo le camicie che giacciono abbandonate nel cesto della roba sporca da ormai più di un mese. Missione lavanderia. La lavanderia è gestita da due simpatiche vecchiette zurighesi affette, ipotizzo, da avanzata demenza senile. Entro. Dlin dlon! Il campanello automatico riattiva per qualche secondo i miei neuroni assopiti.

“Grüezi!”

Per chi non lo sapesse, questo è il tipico saluto in svizzero tedesco. Il loro gutturale ‘Salve’. Per pronunciarlo alla perfezione, bisogna prima fumarsi un paio di sigarette, espettorare e fare uscire con impeto la parola. Non è facile credetemi. Ricambio il saluto e appoggio le camicie sul bancone. La signora si curva pericolosamente e con l’aiuto di un pallottoliere inizia a contare. Poi mi guarda.

“Foif”, declama con veemenza – credo si scriva füf, o qualcosa del genere. Io la guardo a mia volta. Del terrore è dipinto sul mio volto.

“Foif?”
“Ja. Foif”.

Ah be’, se la mettiamo così, io non ho nulla da obiettare – più tardi, in ufficio, scoprirò che ‘foif’ sarebbe il ‘funf’ in svizzero tedesco. Cinque. Al momento, però, sono indeciso se si tratti di un insulto o di una specie di mantra svizzero apotropaico. Andiamo avanti. La signora, sempre più curva, inizia a scrivere su un bigliettino.

“Frittig!”, e lo deve urlare, perché è talmente curva ormai che, ripiegata su se stessa, scrive infilata nel cestino sotto al bancone. No, guardi, il fritto a quest’ora lo trovo piuttosto indigesto. Magari dopo. Lei, però, è irremovibile. “Frittig!”. Solo un boccone, sono anche di fretta. “Frittig!”. Ma cos’è, la supercazzola prematurata? Sconfitto, sbiascico uno ‘Ja’ poco convinto – più tardi, in ufficio, scoprirò che ‘Frittig’ (si scrive ‘Fritig’) sarebbe il ‘Freitag’ in svizzero tedesco. Venerdì. Niente fritto. Peccato.

La signora, soddisfatta, prosegue nel suo interrogatorio monosillabico.

“Der name?”

Ah, questa è facile, questa la so! Schiaccio il pulsante.

“R.....erg!”

La signora fa cadere la penna e si tira su. No, non lo faccia! Sul suo viso compare quello che la mattina a Zurigo è impossibile vedere. Come a Milano. Un sorriso. No, no, ho già capito. Non lo faccia, la prego. Gradualmente, passa dal sorriso a una fragorosa risata che le provoca movimenti tellurici alla dentiera e uno sconquasso epilettico al seno giunonico. Lo so che lo sta per dire, ma non lo dica. Non anche questa volta. La prego! Lei, però, proprio come lava incandescente che cola dalle pendici di un vulcano in eruzione, è ormai inarrestabile. E allora mi preparo.
“Ahahah! R......erg?! R......erg?! Wie das Restaurant hier in der Nähe, R.....org!!!”. Come il ristorante qui vicino, R.....org. “Wussten Sie?”. Lo sapeva?

No. Come potrei. Sarà solo la decima volta che mi ripete la stessa battuta e con tutto l’alcol bevuto negli ultimi vent’anni la mia memoria ha qualche falla. Siccome i miei genitori hanno provato, con poco successo, a darmi quel minimo di educazione che ti serve per andare fuori a cena ed evitare, tra un piatto di spaghetti e una tagliata al sangue, di infilarti le dita nel caso e appiccicare il prodotto interno lordo sotto la sedia, rido a mia volta e ringrazio l’arterislerotica per la perla comica donatami. Amo però i miei post perché posso far lavorare la fantasia e scriverci quello che vogliò. Perciò, rido, dopodiché estraggo una pala e gliela percuoto sui denti, ottenendo una curiosa riarmonizzazione di ‘Fra Martino campanaro’. Saluto e, dopo aver visto l’autobus arrivare alla fermata, scatto come un centometrista sotto effetto di cannabis e mi accascio, poi, inerme, nella fila di sedili in fondo.

Be’? Niente, è lunedì. E con buona pace di David Hume, direi che è molto probabile che domani sarà martedì. Sempre che prima non mi cada in testa un meteorite, il che non toglie che in ogni caso domani sarà martedì e, al massimo, io sarò alto quindici centimetri e avrò un sacco di problemi per rifarmi un guardaroba. Perciò, cosa volete che vi dica? Di pazientare, che presto sarà di nuovo Frittig. Buona settimana a tutti!

lunedì 14 febbraio 2011

Viaggio al complemento termine della notte

A volte, durante una conversazione, ti capita di imbatterti non si sa come in un argomento che pensavi sepolto per sempre nel cassetto chiuso a chiave dei ricordi, quei ricordi polverosi che sembrano appartenere a un mondo ormai dimenticato.

Casa del farmacista. Quello più bello di Milano. Sempre secondo lui. Tra una fetta di salame e una forchettata di lasagna arroventata – da quella sera ho perso l’utilizzo di alcune consonanti. Pronunciare il mio codice fiscale, un’impresa ormai insormontabile – troviamo spazio per della sana favella. E di cosa favelliamo? Per esempio, del fatto che scrivere ‘di cosa favelliamo’ fa molto ridere, ma siccome le considerazioni metalinguistiche nei miei post mi rendono narcolettico, procediamo. Tedesco. Sì, proprio la lingua, quella prodotta dalle corde vocali di una nazione che affronta coraggiosamente i torridi meriggi estivi degli italici litorali sonnecchiando sotto ombrelloni perennemente aperti, le facce rubizze, i calzini bianchi ancora ai piedi e i sandali infilati nella sabbia. O forse questo sono io al ritorno da una serata? Tedesco. Sì, proprio la lingua che cerco invano di studiare da un anno e mezzo e che, per lo più, mi fa latrare come un Dobermann. Insomma, avete capito su cosa verte il discorso. Immaginatevi il grado di sollazzo. Perché disquisire sul tedesco non può essere divertente. C’è una regola esplicita del tedesco che lo vieta. È il quinto caso, dopo nominativo, genitivo, dativo e accusativo: nel caso si parli di tedesco, si deve essere il più noiosi possibili. Soporiferi. Non chiedetemi il perché, il per come o l’indirizzo esatto di Marte che ignoro, ma improvvisamente le nostre menti sopraffine si ritrovano impelagate in qualcosa che risveglia improvvisamente la nostra ottusità. Saranno le sigarette. Gli effluvi alcolici. L’aria viziata. Forse Daria viziata, che però io non conosco. La faccio breve: analisi logica della proposizione. E che cos’è l’ analisi logica della proposizione? Quella cosa che nessuno si ricorda quando abbia studiato. Alcuni sostengono alle elementari. Altri sono convinti alle medie. Qualcuno sostiene al liceo. Pochi, ammetto, all’università. Il farmacista ammette di non averla mai studiata e, gliene do atto, si vede. Prendiamo la seguente frase: ‘Ieri sera le due poppute conigliette di Playboy sono venute a letto con me’. Ora, a parte l’evidente dimensione ottativa dell’enunciato – le due conigliette continuano a messaggiarmi ma io, per il momento, sono irremovibile –, è possibile analizzare singolarmente i diversi elementi che compongono la frase.

Ieri sera: complemento di tempo determinato
le due poppute conigliette di Playboy: soggetto più grandi attributi
sono venute a letto con me: nessun coplemento ma sicuramente tanti complimenti

A grandi linee... Dal nulla, a rovinare la festa del sintagma, sopraggiunge una mefistofelica domanda: che cos’è il complemento di termine? Un adolescente brufoloso ci darebbe subito la risposta, ma non avendone uno a portata di mano, ci dobbiamo pavoneggiare solo con la nostra ignoranza. Il quesito ci lascia a lungo con delle espressioni meditabonde che mettono a dura prova le nostre mimiche facciali. Andiamo per esclusione. Non è il nome di una malattia. Non è un insulto, o per lo meno non è nato come tale. Non ha i baffi nè gli occhiali, quindi è Frans. Il metodo, però, ci pare eccessivamente lungo e tedioso. Inutile l’aiuto del pubblico. Tento la telefonata a casa, ma sbaglio numero e mi risponde Sara Tommasi: “Ti faccio escludere da Obama!”. Per il complemento di termine?! E lì, è arrivata l’illuminazione. L’eureka. Il bodhi. Everybodhi say yeah. Yeah! Leggete attentamente:

“Sara Tommasi è una ragazza altruista e generosa e la da a tutti”

Allora, il complemento di termine è quel ‘tutti’. Avete capito? No? Ve lo spiego meglio: in questo caso, sfortunatamente, non sarò mai un complemento di termine. Chiaro? Buona settimana a tutti!!!

domenica 13 febbraio 2011

Il demone e l'indemoniata

Quando vedo L di L&L venirmi incontro – Lord-enzo –, so già quello che mi aspetta. Lo so perché è venerdì sera. Lo so perché sono a Londra. Lo so perché uno degli invitati alla cena di L&L è Mr X, raggiungibile sempre e dovunque al +666. L’appartamento londinese di L di L&L è molto simile al precedente zurighese, eccezion fatta per gli ancestrali graffiti sul muro della camera da letto che costituivano una delle principali attrazioni elvetiche. I libri accatastati di fianco al divano sono il segno di un recente trasloco. Al desco sono attesi, oltre al padrone di casa, al biondo satanasso e al sottoscritto, tale V., avvocato con una storia alle spalle di maestro di sci a Sankt Moritz, una ragazza di Milano e, per far felici tutti, una di Roma.

Il primo a presentarsi, puntualmente, alle otto e qualcosa, è V, fiorentino trapiantato a Milano, spostato a Sankt Moritz, spedito a New York e ricevuto impacchettato a Londra. Mi presento. Lui mi guarda e...

“Ci conosciamo già?”. La domanda mi getta nel terrore. In effetti, la sua faccia non mi è nuova. Seguage del metodo socratico della maieutica, brachilogico quello che basta, in poche decine di minuti raggiungo la carrambata perfetta con tanto di Carrà starnazzante. Sì, ci conosciamo. Sì, il mondo è piccolo. E sì, non ci sono più le mezze stagioni, ma se fossero state così importanti, Vivaldi ci avrebbe scritto su un altra serie di concerti. Intanto suona il citofono. Sento gridare le anime dei dannati. La porta si apre ed eccolo: dentro al suo lungo cappotto di cachemire umano, la versione moderna di Belzebù. Privo come sempre di ogni pudore, ci mostra un messaggio che ha ricevuto poco prima da una misteriosa lei: “È ancora valido l’invito per andare fuori a bere qualcosa?”. Stiamo parlando di un invito di due settimane prima. La sua risposta non si fa attendere: “Ciao, non mi ricordo di te, ma sono sicuro che se sono venuto a conoscerti devi essere per forza una gran bella ragazza”. E con l’espressione di quello che l’ha combinata grossa, esce a fumare sul balcone e si mette a messaggiare una escort. Ah, l’amore! Nel frattempo, L di L&L inizia a preparare la cena. Si incomincia con delle bruschette con avocado. Forse anche del formaggio, ma non ricordo esttamente. Stappiamo una bottiglia di rosso. Tra un brindisi e l’altro, si sono fatte le 10 meno un quarto, ma delle due ragazze – in ritardo di un quarto d’ora – nessuna notizia. Tic tac, tic tac, girano le lancette, ma delle due ragazze nessuna notizia. Ci accomodiamo a tavola e allettiamo le nostre fauci con prelibate mozzarelle di bufala, pomodorini e dell’ottimo vino portoghese. Tic tac, tic tac, girano le lancette, ma delle due ragazze nessuna notizia, e siccome sono le dieci e mezza passate, a furor di popolo decidiamo di buttare la pasta. E arriva la chiamata. Scuse di circostanza poco chiare. Insomma, non vengono. Peccato, perché Mr X aveva in mente, nel bel mezzo della cena, di aggrovigliarsi alla gamba di una delle due – la milanese, una ragazza che, a quanto mi è stato riferito, eccede in umiltà, ed è per questo che a volte le capita di ricordare, en passant, che lei ha conseguito un paio di master. Un paio. Non si sa bene in cosa. Ma un paio –e strusciarvisi sopra come fa un cane in presenza di cuscini. Lo ammetto, è un pazzo, ma è davvero esilarante. Se i vostri canoni morali sono quelli del marchese De Sade. Una volta chiusa la pratica delle due cafone, siamo pronti all’attacco del vassoio ripieno di pasta fumante. Ciarliamo spensierati, di quella spensieratezza che vorresti durasse per sempre. L’immortalità non è la nostra più grande illusione? Oh, quanto è bella giovinezza che si fugge tuttavia, del diman non c’è certezza. E allora, divertiamoci, e anche tanto – Samuel Butler diceva che il mondo, più che per essere conservato, è fatto per essere goduto. E quale più grande goduria c’è, a fine pasto, dopo esserci scolati una bottiglia di vino a testa, di riempire i nostri calici con dell’ottima vodka inaffiata con un po’ di redbull? Spensierati, ragazzi, spensierati. Con questa spensieratezza alticcia usciamo e ci infiliamo dentro al primo taxi che riusciamo a fermare. Una mia amica mi manda un messaggio. È con alcune persone in un club di Soho e mi chiede di raggiungerla. Seee... Rispondo che sto andando da Nozomi – bar e ristorante giapponese con la puzza sotto il naso in Knightsbridge, frequentato da calciatori e menti affini e che di nipponico ha forse solo qualche macchina parcheggiata lì nella zona –. Se vuole, mi trova lì. Mi dice che arriva. Neanche il tempo di varcare la soglia del locale e mi ritrovo con un cuba libre tra le mani, mentre Mr X, che lì è di casa, intraprende una serie infinita di salamelecchi – presentandoci tra l’altro una bella ragazza che ci allunga il braccio e posiziona il carpo in modalità baciamano, procurandoci un istantaneo shock anafilattico da snobismo – e tenta il numero dell’aggrovigliamento e dello struscio sulle gambe di chiunque si aggiri nei paraggi. Ridiamo molto, fino a quando non si incolla alle nostre, di gambe. Poi lo lanciamo all’attacco di una colonna, sulla quale si trastulla anche con un certo trasporto. Intanto un nero di due metri con la faccia di P Diddy ma l’espressione ancora più ebete – e ce ne vuole –, grande tifoso del Chelsea, mi rompe le palle sul Milan per un quarto d’oro mentre la mia concentrazione in quel momento è tutta focalizzata su un paio di coppe dei campioni che una signorina poco più in là espone con orgoglio. Non so come, ma viene accompagnato all’uscita da uno dei premi pulitzer che abbaiano davanti alla porta. Il mistero più grande è come riesca a rientrare cinque minuti più tardi ma si sa, per alcune persone, neri e gialli, tutti uguali sono. L’energumeno avrà pensato che si trattava sicuramente di un’altra persona. Il problema è che Jimmy, ribattezzato così da noi per motivi del tutto ignoti e che verranno analizzati al più presto durante una delle puntate di Voyager, non ce lo riusciamo più a levare dei piedi. E dopo mezz’ora che nessuno gli rivolge più la parola, qualcosa dovresti riuscire a intuire, a meno che il tuo cervello non sia stato ultimamente infilato per sbaglio dentro a un forno a microonde e successivamente frullato con un paio di banane. Ancora indecisi sul da farsi, usciamo a fumarci una sigaretta. Pure Jimmy, anche se non fuma. Tra un’aspirata nicotinica e l’altra facciamo conoscenza di Anastasia, banker russa con i lineamenti da modella che versa lacrime amare sopra la sua tragica vita di ricca annoiata del venerdì sera: lei vorrebbe andare a ballare, ma le amiche pare siano intenzionate ad andare a casa. Certa gente è di una crudeltà inumana. Noi, ragazzi dal cuore d’oro e di nobili intenti, le facciamo una proposta che non potrà rifutare. Lei ci pensa su e mentre il suo cervello si contorce sul da farsi, la carichiamo di peso dentro al primo taxi. Anche Jimmy cerca ospitalità ma noi, che siamo già in cinque, gli facciamo ciao ciao con la manina. Il povero Jimmy rimane lì, immobile, conscio che dovrà trascorrere tutta la notte in compagnia solo della sua imbarazzante espressione. Intanto avviso la mia amica dell’improvviso cambio di programma. Ci facciamo portare al Maddox, fighetta discoteca londinese nel cuore di Mayfair. Quando arriviamo davanti, veniamo accolti da un nero nerboruto – grande amico di Mr X nonostante quest’ultimo lo colpisca con un taser ogni volta che l’amichetto tira fuori un metro di mucosa linguale tentando di limonarlo pesante – parla come Platinette, ma in inglese. Entriamo e uno di noi non paga: indovinate chi? No, è la russa. Depositiamo le giacche, svuotiamo le vesciche e siamo pronti a buttarci in pista. Un’occhiata veloce e mi rendo conto di essere finito nella villa di Hugh Hefner. O almeno, così sembra, tant’è che il mio testosterone esplode e ne ritrovano alcuni residui al bancone del bar. Mi batto il petto come un gorilla, grugnisco come un cinghiale in calore e dico delle frasi prive di significato alle conigliette che mi girano intorno. Sul più bello, ricevo un messaggio. La mia amica. Fuori. Devo farla entrare. Mr X parla con Platinero. Platinero mi guarda e fa alcuni apprezzamenti.


“Fumi?”
“Sì”
“Peccato”.

Insomma... Alla fine, anche se il mio alito nicotinico gli castra ogni fantasia speleologica su di me, decide di venirmi incontro. Senza doppi sensi. Apre la porta e... la mia amica è lì. Ci sorride. È DA SOLA! E io ho già capito. La prendo per la mano e, più o meno come farebbe un primate di medie dimensioni, la trascino nella sala di sotto direttamente al bancone e senza passare dal via. Inizia la serie massimale di vodka red bull. Lei, con la camicetta mezza aperta, mi gira intorno sensualmente facendomi regredire allo stato di spermatozoo. Per cercare di riprendermi e raggiungere almeno la fase adolescenziale, semino le mie tracce e raggiungo L di L&L e V, incagliati nei pressi della procace slava, che subito afferro e faccio puntualmente turbinare, ottundendole i sensi. Certe tradizioni vanno rispettate. Sempre. Terminata la rotazione, me ne torno al bar. La fatica vale ben un bicchierino, diamine! E mentre ordino, vedo alla mia sinistra, sopra il cubo, la mia amica che si agita come una indemoniata e dietro di lei, avvinghiato come un polipo, Mr X. Quel ragazzo non posso lasciarlo solo neanche un secondo. Armato del mio vodka redbull che mi rende invincibile, mi appropinquo alla scena del misfatto e ristabilisco con ignoranza gli ordini gerarchici del maschio alfa dominante. Colpito da attacco di ansia ormonale, mi si prospetta l’incubo della profumiera, traditrice di milioni di virili speranze. Esorcizzo il timore parlandone con L di L&L, che però pare parteggi per la tesi di fondo. La teoria, con buona pace di Popper, viene falsificata pochi minuti dopo quando la mia amica decide di appiccicare la sua faccia alla mia, con tutto quello che ne consegue. Inutile che vi stia a raccontare il seguito, siete sicuramente dotati di buona immaginazione. Il giorno dopo è una corsa a non perdere l’aereo: torno a casa di L di L&L, che aveva già fatto un paio di telefonate a Scotland Yard, butto quello che c’è da buttare dentro la valigia, saluto, prendo un taxi, arrivo in stazione, mi precipito a fare il biglietto, mi infilo sull’Heathrow Express un minuto prima della partenza, arrivo in aeroporto, mi dirigo a razzo al check in, passo tutti i controlli, corro verso il terminal e... l’aereo è in ritardo. L’aereo della Swiss?!! Non ci sono più gli svizzeri di una volta, maledizione! Alle dieci di sera sono casa. Voi pensate che sia tutto finito e invece ricevo un messaggio. Di Mr X. Il diavolo è a Zurigo. Usciamo? Vedete, proprio come dice il proverbio, errare umano, perseverare è diabolico e fare due serate con Mr X è vietato dalla convenzione internazionale di Ginevra. Buona settimana a tutti!