martedì 25 settembre 2012

Aspettando la bi-onda giusta, ovvero l'amore, il sesso, la filosofia e tutto quello che non troverete mai scritto in questo post

Non ricordo se era lo scorso maggio o giugno quando L di L&L, ma non viceversa, mi fece la proposta. Quello che ricordo, invece, era che mi trovavo a Milano, avevo una birra in mano e la puzza sotto il naso. Deve essere per questo che lo storsi. Mi vedevo ancora in sella a una moto a sfrecciare per le strade arroventate della California e, non so perché, in testa mi ronzava l’idea di uno scambio di consonante, una meta esotica a tarallucci e vino. Così, risposi con un classico del mio repertorio, il ‘Direi che se ne può parlare’ che in genere sfoggio quando non sono d’accordo ma cerco di essere educato. Questo è l’effetto di quattro anni di stretta collaborazione con gli inglesi, la versione italiota del britannico ‘Interesting’ che, come una ghigliottina, tronca in due la conversazione.


Tuttavia, la mia fortuna è quella di circondarmi di amici che hanno più lungimiranza del sottoscritto, maggiore propensione organizzativa e, soprattutto, non sono in balia dell’accidia da cui sono posseduto ogni volta che devo fare qualcosa che ammorba il mio quieto focolare domestico, dal pagare le tasse al prenotare l’albergo per le vacanze fino a rispondere ai messaggi di mia madre - in assoluto l'attività più temuta. Procrastinare, per me, non è un verbo, ma uno stato esistenziale che mi culla e che, per un momento, mi fa dimenticare le cose pratiche della vita che mi costringono a immergermi troppo nella realtà quotidiana. Perciò, è con gratitudine che guardo L di L&L, avvolto in una coperta, mentre dorme sul volo Emirates, direzione Kuala Lumpur, da dove proseguiremo poi per Bali che, come mi disse il pizzaiolo calabrese da cui vado a pranzo ogni martedì e giovedì per assaporare un vago ricordo d’Italia, è bella, ma lui preferisce andare più in giù, verso il Salento e il mare della sua Calabria.

Sir-fista, un gentiluomo sulla tavola da stiro

Da cavalcare un’Honda (negli Stati Uniti) a cavalcare l’onda. Così l’ho venduta ai miei, a cui ho tralasciato tutta la parte sessuale. In dodici giorni di frequentazione della tavola sono riuscito a tatuarmi delle interessanti escoriazioni su braccia e gambe, ho imparato a fare a meno del ginocchio sinistro, sono stato lavato e centrifugato e ho perso l’uso della parola a causa dell’eccessivo sbattere dei denti dopo più di un’ora di permanenza in acqua. Insomma, se mi conoscete, sapete che mi sono divertito abbastanza. E ho apprezzato la filosofia dell’attesa. Dell’onda giusta. A volte bastano pochi minuti, altre ore. L’importante è, quando la si riconosce, darsi da fare. Credo sia una sorta di metafora, ma non ho capito ancora bene di cosa. Se ci riuscite prima di me, mandatemi un messaggio con foto allegata, così mi facilitate la comprensione.

L’istrut-toro

Una figura mitologica per metà istruttore e per metà toro da monta. Ketut – questo è il suo nome, memorizzato dopo solo quindici giorni di vacanza –, nel breve percorso che ci separava dall’ingresso in acqua, riusciva a salutare tutte le ragazze che, in quel momento, passavano nei paraggi e che puntualmente non ricambiavano il saluto. Lui, però, è un tipo tosto e non si è mai scoraggiato. La sua dedizione è stata premiata da una svizzera che non si è posta troppi problemi nel concedergli il suo personale tunnel del San Gottardo. Il fatto che Ketut fosse sposato con una specie di quadro cubista non lo ha frenato nella sua missione. Anzi, semmai l’ha incentivata. Mi ricorderò sempre di Ketut come di un uomo di poche parole, ma buone: ‘Good wave’; ‘Paddle!’; ‘Blow job’.

Tipe da spiaggia

Lina e Maria, due simpatiche ragazze balinesi che, con il sorriso perennemente tatuato sul viso, hanno cercato prima di rifilarci un paio di aspirapolveri, delle enciclopedie e lo step per polpacci e glutei d’acciaio. Alla fine sono riuscite a strapparci un paio di massaggi che a me sono serviti per aumentare il numero di compressioni discali che martoriano la mia non più giovanissima schiena. L’acquisto di colorati parei da un’altra signorina ha scatenato nelle due un attacco di gelosia che siamo riusciti a placare solo con delle offerte alle divinità locali. Difficile che me le dimentichi, sono le uniche due donne che ancora mi dicevano ‘Ciao bello’.

Lo spazzacanino compulsivo

Lo so, ne ho già abusato in altri due post. Lo menziono solamente perché credo che, questa volta, L di L&L, abbia sbaragliato ogni tipo di record toccando punte di nove, dieci volte al giorno di energiche spazzolate molari. I suoi denti erano più puliti della stanza d’albergo in cui alloggiavamo e fidatevi, in quell'albergo il servizio era impeccabile. Lo sforzo era tale che più volta l’ho visto lavarseli con del Gatorade. Tutta la mia stima.

L’australopytechus

Gli australiani, che popolano in massa Bali, sono simpatici, alla mano e, dalle cinque in poi, sempre ubriachi. Dopo essersi scolati la loro dose quotidiana di venti birre a cranio – il fatto di avere mediamente una costituzione da pilone li agevola sicuramente –, cercano di riprodursi sessualmente con qualsiasi cosa passi loro davanti. La loro tecnica è descritta da una sola parola: l’appoggio. Individuata la preda, si appropinquano silenziosi da dietro fino a quando non riescono ad appoggiare sull’ignara vittima la loro preziosa mercanzia. Un metodo piuttosto primitivo ma, devo ammettere, anche piuttosto efficace. Se il vostro processo di alfabetizzazione è rimasto bloccato alla terza elementare. La cosa strana è che qualcuno, forse dopo essersi fumato un intero campo di oppiacei in Afghanistan, mi ha scambiato per un australiano. In genere mi confondono per uno spagnolo. O un nord africano. Ma australiano… Capisco che i due koala attaccati agli zebedei che mi porto dietro grazie a quest’ ultimo anno lavorativo possano trarre in inganno.

Sbalinati

Il Maria Magdalena è lo Zukunft di Bali. Ed è già un’ottima descrizione. È un posto popolato da nottambuli, fattoni che ciondolano a ritmo di musica elettronica, baristi che si attaccano tappi di bottiglia sulla fronte, cameriere indisponenti, mignotte locali. Insomma, tutti gli ingredienti che mi convincono a rimanere fino alle cinque del mattino scolandomi cuba libre e fumando una sigaretta dietro all’altra. La laurea in filosofia mi serve per domandarmi il senso di tutto questo. Non avendo trovato ancora una risposta, be’, alla salute!

Il barracuda da guardia

Prendete un cane brutto. Il più brutto che vi viene in mente. Ecco, non ci siete ancora arrivati. Il cane minchia - un soprannome che gli abbiamo affibbiato per evitare di svelare la sua identità - è una sorta di quadrupede con la masticazione al contrario che ci ha tenuto compagnia per tutto il tempo della nostra permanenza a Bali. Se ne stava sdraiato, di fianco a noi, meditando sulla sua misera sorte. Un cane così, si capisce, non scopa neanche a pagamento. Però ci tornava comodo: quando ordinavamo il Martini, gli infilavamo le olive nei due canini inferiori. Già mi manca.

La febbreccitazione

Me ne sto lì, dietro la cassa, immobile. Solo il braccio prova a seguire imperterrito il ritmo. Tutta quella gente che si dimena, affonda nella sabbia, si abbevera alla fonte dell'ebrezza. E io me ne sto lì, dietro la cassa, immobile. Una birra in mano che non vuole saperne di finire. Tutta quella gente che si diverte, balla, prosciuga fiumi di alcol e riversa testosterone nell'aria. E io me ne sto lì, dietro la cassa, immobile. E quando L di L&L mi trascina da un'altra parte, perché 'ti fa bene prendere un po' d'aria', io mi metto lì, di fianco al bancone, immobile, mentre la pista si riempie e l'ambiente si scalda. Diventare adulti significa prendere delle decisioni. Decido di tornare in albergo. Una volta arrivato, me ne sto lì, sotto le lenzuola, immobile. Ho i brividi. Sudo. È la febbre del venerdì sera. Quando L di L&L torna, sono ancora lì, sotto le lenzuola, immobile, che sudo. Ma dieci pasticche di Panadol resuscitano anche una mummia e, nel caso, aiutano a vedere una trasmissione intera della De Filippi. Il giorno dopo è come se non fosse successo mai niente. A parte il letto, una piscina di traspirazione. Quello che mi porto dietro la settimana successiva preferisco non descriverlo. Direi che è un problema prettamente di marketing: la soddisfazione di un bisogno. Il lavoro mi perseguita anche in vacanza.

Tutto finisce, prima o poi

L'ultimo giorno, appollaiato su un pouf con il mio frullato da dodicenne in mano, fisso il sole che, lentamente, si inabissa, con quella malinconia che porta la consapevolezza di un'altra vacanza che sta per finire, di un'altra estate che se ne va portandosi via 35 anni della mia vita. E mentre il cielo si tinge di rosso, a duecento metri da noi, un gruppo di balinesi conclude il rito funebre induista disperdendo le ceneri del defunto nelle acque dell'Oceano Indiano.

All'inizio, confesso, mi sono sentito in colpa, quel tipico senso di colpa da occidentale benestante bombardato da pietoso politicamente corretto. Poi, ci ho pensato sopra. In fondo, loro erano lì a celebrare una vita e la futura reincarnazione della sua anima. L'unica persona che aveva bisogno di essere consolata, in quel momento, ero io. La vita, la morte, e in mezzo qualche metro di spiaggia, nient'altro che pochi granelli di sabbia che scorrono in quella clessidra che nessuno ha ancora capito come girare. Eh sì, il tempo passa, inesorabile, e non ci possiamo fare maledettamente niente. Così come è passato ormai il tempo per questo post. Vi auguro una buona settimana e una lunga vita, magari in compagnia di un buon rum invecchiato - l'unico invecchiamento che non ha controindicazioni. Il frullato, la prossima volta, lasciamolo ai ragazzini. Ciao!!!