mercoledì 16 aprile 2014

Fischi e fiaschi

Dopo un lungo e ininterrotto periodo in ostaggio dello svizzero tedesco, decido che è tempo di dare sollievo alle mie orecchie e tornare qualche giorno a Milano. Così, mercoledì sera di un fine ottobre particolarmente mite, con la pila di giornali internazionali sotto il braccio pronti ad assistermi per quattro ore di viaggio all'interno di quel mezzo di pocomozione - perché, in genere, pochi minuti dopo aver lasciato la banchina, si ferma, per motivi ignoti a noi mortali, parcheggiandoci in un limbo di sospensione spazio temporale - conosciuto con il nome di Cisalpino, mi ritrovo alla stazione di Zurigo, davanti al tabellone delle partenze. Scorro con lo sguardo e lo vedo, il mio treno, quello delle svizzere diciannove e zero nove e non un secondo di più. E, purtroppo, leggo anche, di fianco al numero del binario, una di quelle parole tedesche che sono entrate subito nel mio vocabolario: ersatz. No, non è un ordine nazista volto alla soppressione fisica di altri esseri umani. Semplicemente dice che, al posto del treno in questione, ne parte un altro.

Mi dirigo al binario. Onde evitare di ritrovarmi in qualche sperduto villaggio elvetico dove gli indigeni si nutrono di fondue umana, chiedo al capotreno se quello è il convoglio ferroviario diretto a Milano.

'Sì signore', mi risponde, imitando alla perfezione il Rezzonico di Aldo, Giovanni e Giacomo. 'Purtroppo, a causa di un guasto, il Cisalpino è rimasto in Italia. Deve cambiare però a Chiasso.'. Poi, mi sembra abbia aggiunto 'Cavolo, potevo rimanere offeso di brutto!'.

Vi assicuro, il fatto di dover spendere tre ore su un treno svizzero, invece che sul Cisalpino, lo considero alla pari di una vincita al super enalotto. Il cambio a Chiasso è il pegno da pagare.

Trovo subito da sedere. Poca gente: un uomo d'affari a inizio vagone, immerso nella poesia di un excel; una coppia di anziani coniugi che bisbigliano parole e me incomprensibili; due signori italiani, sulla cinquantina. Rispondo a qualche mail. Intanto, il treno parte. I due italiani iniziano a sgranocchiare patatine e a parlare ad alta voce, così che chiunque, nel raggio di un paio di chilometri, possa seguire il loro arguto scambio di opinioni.

’Shhh!’, si sente echeggiare dal profondo di un sedile. La cosa non sortisce nessun effetto sulla coppia di miei connazionali, che continuano imperterriti con le loro dissertazioni filosofiche sul nulla che nulleggia. Passano pochi minuti e davanti a loro si staglia, imponente e minacciosa, l’avvizzita figura dell’anziana coniuge, ovviamente svizzera, che con il dito impostato nella funzione predicozzo, in un italiano stentoreo, rammenta ai bifolchi che ‘questo è fagone ti szilentzio’. Quindi, torna dalla mummia che le siede davanti e richiude il sarcofago. I due ridacchiano per alcuni secondi, fino a quando un silenzio spettrale scende nello scompartimento. Sento la mia testa diventare sempre più pesante e trasformarsi, insieme al collo, in un metronomo che ciondola a destra e a sinistra, due battiti al minuto.

Mentre combatto la mia personale battaglia tra sonno e veglia , vedo un paio di figure sfrecciare avanti e indietro per i vagoni, probabilmente alla ricerca di una risposta la cui domanda non possono capire perché è in svizzero tedesco. Queste ombre che popolano il mio dormiveglia provengono dal paese di colui che alza giapponesi per diletto, il sollevante. Finalmente, le due anime in pena trovano la pace, che ha assunto le sembianze di due posti proprio di fianco alla coppia di vetusti coniugi. Neanche il tempo di far vibrare le loro corde vocali che la nonnina elvetica, intercettando il movimento labiale, emette uno ‘Shhh’ del settimo grado della scala Richter, zittendo i vicini e instaurando il regno del terrore. ‘Questo è fagone ti szilentzio. Se volete parrrlare, antate da altra parte!’. Davanti a questo ennesimo sopruso mi rimane solo una cosa da fare: dormire.

‘Fifuu. Fifuu. Fifufifuu’. Questo zufolio intermittente, fendendo l’aria, giunge fino al mio timpano e lo percuote, causando come inevitabile effetto secondario l’apertura di una dalle mie palpebre. ‘Fifuu. Fifuu. Fifufifuu’. Chi è che si è portato dietro la gabbia con il canarino? Con fatica, riemergo dall’oblio nella nuova veste di ornitologo, alla ricerca del pennuto fischiatore. Qualche fila dietro di me, la turista giapponese, sdraiata su due sedili, non dà segni di vita. Spero non abbia fatto seppuku dopo l’onta della ramanzina in salsa Rosti. ‘Fifuu. Fifuu. Fifufifuu’. Lo so cos’è: un cardellino. Cardellino rosso, espulso. E poi lo vedo. Dall’altra parte del vagone. Il giapponese, che cerca disperatamente di attirare l’attenzione della moglie. ‘Fifuu. Fifuu. Fifufifuu’. Se non si tratta di un rituale di accoppiamento, direi che sta cercando di aggirare in qualche modo la regola del silenzio senza attirarsi le ire funeste della vetusta rompicoglioni. Per tirare fuori dal coma la moglie, però, mi sa che gli conviene emulare il barrito di un elefante.

Tutta questa selvaggina mi ha messo un certo appetito. Il vagone ristorante è lì apposta per levarmelo. Mi butto nello studio matto e disperatissimo del menu, sempre lo stesso da quando ho memoria della tratta Zurigo - Milano, ma la mia concentrazione è messa a dura prova da provocatori disseminati a caso nel vagone per distrarmi con i loro vaniloqui e impedirmi di ordinare a mente lucida, lanciandomi subliminali messaggi di kase fondue. Il primo disturbatore ufficiale è un ragazzo brasiliano, alla mia sinistra, impegnato in una chilometrica telefonata che si perde nella notte dei tempi. La parlantina a raffica con cadenza san paolo/genovese origina una mitragliata di sputi carichi di ettolitri di saudade. Alla mia fervida immaginazione ci vogliono pochi minuti per metterlo a tacere con dei mirati colpi di okuto che gli espandono il già voluminoso testone fino a raggiungere il livello esplosione.

Al tavolo di fronte al mio, una ragazza conversa con un tizio appena conosciuto e gli racconta che è originaria di Napoli ma è cresciuta in Trentino e che ora vive a Milano dove ha la sua attività di comunicazione ed eventi - tanto per cambiare - e che è cento volte meglio che farsi spremere come impiegata in qualche azienda, certo, a meno che non si occupi una posizione importante. Certo. Sul finale vengo colpito da sordità fulminante che, per un istante, mi libera dal velo di Maja.

In fondo al vagone tre ragazzi di qualche zona remota dell’ est Europa che parlano come Brad Pitt in The snatch cercano di ordinare in una lingua a me ignota tendente all’inglese una bottiglia di vino al cameriere che, di alfabeto, conosce - male - solo quello italiano.  Il traduttore simultaneo fornito dal Cisalpino incoraggia il dipendente di Trenitalia: aiutato da un gesticolare frenetico che contribuisce ad aumentare l’entropia nell’ universo, indossa le vesti del pigmalione per aiutare i babuzzi pazzo grosso a fare la scelta giusta. Considerando che la lista contiene tre o quattro bottiglie, il compito non deve essere poi così arduo. A stappo avvenuto, i tre tirano fuori il violino e si lanciano in pirotecniche danze zigane. Se la memoria non mi inganna.

Arriviamo a Chiasso con il classico quarto d’ora accademico di ritardo che il freccia bianca dello scorso millennio su cui salgo per raggiungere Milano riesce, come per magia, a raddoppiare. Infatti, sbarco in suolo italico alle undici e venti, trenta minuti dopo rispetto alla tabella di marcia. Mi fiondo sul primo taxi. Il conducente, dopo aver appurato che vivo a Zurigo, mi rende partecipe di essere appena ritornato a vivere a Milano, avendo speso gli ultimi tre anni della sua vita in Thailandia, dove si è fidanzato e ha comprato casa, non ho capito bene in quale ordine. Purtroppo, e qui inizia la parentesi melodrammatica, la sua ragazza non riesce a ottenere il visto per venire in Italia.

’18 voli intercontinentali negli ultimi due anni, ti rendi conto? Diciotto.’. DI-CIOT-TO.

E allora lì, be’, non ce l’ho fatta più. Mi sono sporto in avanti e gli ho detto:

Zio, io ho speso gli ultimi cinque anni a viaggiare sul Cisalpino’.

Abbiamo pianto insieme. E con queste lacrime, auguro a tutti una buona settimana!