Si accendono le luci. Signorie e signore,
la festa è finita. Riluttanti e a malincuore, abbandoniamo la pista da ballo che, devo ammettere, questa notte ci ha visto
protagonisti. E non parlo di piroette alla Roberto Bolle. Lo
sbalzo termico tra interno ed esterno ti colpisce come un gancio destro in piena mandibola. Se sei una persona normale. Se, invece, il tuo corpo è
un’autostrada percorsa da litri di vodka, il gancio te lo prendi lo stesso, ma rimani lì, fermo, impassibile.
Porgi l’altro gancio. Quello che invece serve, in momenti come questi, è qualcosa di grande e grosso da infilare in bocca. Sto parlando di uno di quei
panini grossi come un disco volante che colano salse da ogni lato. Direzione Burger King, 200 metri più in là. Il gruppo di filologi è composto da un milanese trapiantato a Londra e
folgorato sulla via del kebab, un
pettinato maledetto alle prese con una gastrite da bollicine e un’alitosi da alcolizzato,
L&L, miei fedeli compagni di bisbocce zurighesi affetti, come me, da vampirismo, e il sottoscritto che si era ripromesso, almeno per una volta, di bere e fumare poco e invece, come al solito,
ha ceduto ai vizi più sfrenati. Le diserzioni sono due. La prima ha avuto luogo un paio di ore prima, quando Mr.X, dopo aver scaldato gli animi con il
numero dell’orologio, la pantomima del
sodomita belga e la teoria della
prestidigitazione alla thailandese, ha abbandonato improvvisamente le luci della ribalta, ripiegando per non si sa bene dove. La seconda si è svolta pochi minuti prima della spedizione verso hamburger e patatine fritte, quando Mr.C, dopo aver passato metà serata seduto, in silenzio, a
scolarsi una vodka dietro l’altra e l’altra metà a
dimenarsi come un tarantolato in preda al canto delle sirene orientali, ha provato a sbiascicare disperatamente qualcosa prima di infilarsi dentro a un taxi e
perdere l’uso neuronale per un discreto numero di ore. Pochi metri prima di raggiungere l’agognata meta, L, quello del famoso
protocollo uno, due e tre, l’ideatore della
lumacosi conclamata e di quella addirittura incancrenita, ha un’idea a dir poco geniale: per nulla sensibile all’effetto dell’alcol, prende la rincorsa e, con una
perfetta azione da giocatore di hockey, si lancia contro un
cartellone pubblicitario, subendo l’azione di una forza uguale e contraria che lo sbalza con violenza per terra. La scena suscita l’ilarità generale e il ricorso all’uso della forza della polizia zurighese, pronta a intervenire decisa alla prossima
cazzata etilica con elicotteri e agenti anti sommossa. Visto che sono l’unico, qui, ancora dotato di quel minimo di civiltà necessaria per ordinare, entro e
mi metto in fila. Peccato che la civiltà mi abbandoni a causa di un
attacco narcolettico fulminante, immortalato alla maniera nipponica da quei gran bastardi con cui mi tocca andare in giro. Le riprese non vengono gradite dall’uomo della sicurezza, che li avverte che, per molto meno, ha costretto diversi clienti a seguire l’intero
festival di Sanremo. La minaccia non sortisce alcun effetto ed evapora senza lasciare alcuna traccia, come certi discorsi che mi tocca sorbire ogni tanto. Intanto, nella
catena che unisce l’uomo alla scimmia, vengo superato dall’uomo terribilmente pettinato e pingue che, visto che io mi piego come un canneto sotto folate sempre più narcolettiche, fa un passo in avanti verso la condizione umana e prende il mio posto davanti alla cassa. Finalmente ordiniamo, perché si sa, l’appetito vien mangiando, mentre
l’ape tito vien con l’ape ritivo. Il tentativo di darsi un contegno è però vanificato da un altro intervento a d’uopo di L, quello del famoso protocollo uno, due e tre, l’ideatore della lumacosi conclamata e di quella addirittura incancrenita, l’inventore del placcaggio del cartellone pubblicitario. Novello Pierino, si avvicina alla cassa con noncuranza, fischiettando ‘L’anello del Nibelungo’ di Wagner, tutte e quattro le opere . O forse non fischietta, ma è come se lo facesse. Insomma, arriva davanti al bancone e appena la ragazza è distratta, mimetizzato dietro a un muro,
inizia a schiacciare tasti a vanvera sulla cassa, manco stesse suonando un Notturno di Chopin. Quando finalmente riapro gli occhi, mi ritrovo davanti a
una cassiera che urla improperi in russo, all’esageratamente pettinato che blatera scuse di circostanza e a
uno scontrino lungo almeno due metri. Non che mi importasse molto del resto, però quando ho visto quel
papiro srotolato mi sono saggiamente chiesto “Ma quanto cazzo abbiamo speso?”. Mai giudicare dalle apparenze… In qualche modo, non chiedetemi quale, ne usciamo vivi. Io mi presto ancora a qualche scatto fotografico artistico in cui addobbo la mia stempiata incipiente con pezzi di pane, cipolle, patatine. Perché artisti si nasce. Quando cala la palpebra, però,
non c’è più salsa che tenga, si torna a casa. Non senza aver fatto prima
sosta al bar all’angolo per cappuccino digestivo e croissant. Ho uno stomaco multiculturale e democratico,
evviva il melting pot culinario che fa stramazzare i dietologi e collassare i cardiologi. E poi tutti a nanna. Trasciniamo il piccolo grande pettinato, a fatica, su per le scale. Una volta mi è sembrato di avere visto una salma con più vita, ma forse ero io davanti a uno specchio, adesso non ricordo bene. Temo che il mio amico possa scoppiare da un momento all’altro, causando una
catastrofe biologica. Almeno nel mio bagno. Invece, acqua, aspirina e pochi secondi
dopo se la dorme, angelico, come un bebé, di cui, tra l’altro, conserva le fattezze, pancia a parte. L’altro, di amico, a malincuore si infila sotto il piumone e, investito da una fiatella che lo fa seriamente riflettere sulla
possibiltà di chiamare un esorcista, cade in uno stato catatonico che qualcuno definirebbe sonno solo giusto per il fatto che il suo naso produce una russata del settimo grado della scala Richter che, in effetti, i più associano allo stato di riposo notturno. O ai bombardamenti in Afghanistan. E io?
Io chiudo gli occhi e penso a quello che è stato, a ciò che è e che è già passato, a quello che sarà ed è già ora. E, come al solito, non ci capisco niente. Buona settimana a tutti.
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