Carolina Kostner è una che, agli appuntamenti importanti, non sbaglia mai. Una vera campionessa. Axel, caduta. Toe-loop, caduta. Flip, caduta. Il pubblico mormora. E lei cade. “Sento che ho ancora dentro da dare, non mi arrendo”. Sì, però la prossima volta, tiralo fuori. Saluta, addolorata, il giornalista e poi, credo, cade. La pubblicità interrompe il calvario. Sbuffo, e aggiorno il mio status di Facebook con frasi che lasciano il segno, tipo “Sopra la panca la capra campa”, “I trentatre trentini erano trentadue” o “Caos è il nome che indica un peculiare pre-oggetto del mondo nella sua totalità e del signoreggiare cosmico”. Non so quale fenomale prodotto sia reclamizzato in questo momento ma il mio orecchio sinistro, pur continuando a contenere un discreto quantitativo di acqua che potrebbe tranquillamente riempire una piscina olimpionica, capta queste due parole: “… sguardo penetrante…”. Fermi tutti! Mi raccolgo a riflettere. Un millesimo di secondo. Che cos’è esattamente uno sguardo penetrante? Qualcosa che ha a che fare con un maniaco sessuale, dal vago retrogusto spermatico? Lo sguardone penetrante. E poi cosa penetra? Domande senza risposta che afflosciano il mio, di sguardo, lasciandomi con quella tipica espressione ottusa dell’ebete. Non so perché, ma mi vengono in mente quegli occhiali a raggi x che venivano pubblicizzati su giornali culturali come L’Intrepido o Il monello e che millantavano la possibilità di penetrare i vestiti e guardare quello che c’era sotto. Io ero piccolino ma l’idea di poter vedere tette per tutta la città erà gia qualcosa che esercitava un discreto fascino. Adesso ci sono i body scanner negli aeroporti, ma non è la stessa cosa: se vado in giro con una roba del genere montata sopra un paio di occhiali, mi sa che non passo inosservato.
Ho ricevuto dalla mia famiglia un foglio. Su questo foglio sono scritte alcune frasi. Frasi per me. Frasi su di me. Frasi scritte da mio padre. Da mia madre. Da mia sorella. Sono parole bellissime, ma non riesco a ricordarle. E non ci riesco perché era un sogno. Era un sogno, ma non importa, perché questo è stato il regalo più bello che qualcuno mi abbia mai fatto. E anche se la luce del mattino si è portata via questo dono, me ne ha lasciato il ricordo. Un giorno, forse domani, forse tra dieci, venti anni, chissà, un giorno, io non ci sarò più. La mia vita, in quel momento, non sarà stata altro che un sogno, mio, o delle persone che mi hanno voluto bene. Purtroppo, non sarò lì a svegliarmi. La luce del mattino sorgerà di nuovo, e poi di nuovo e di nuovo ancora. Magari, però, proprio come quelle parole, sfuggenti, svanite eppure così presenti, il mio ricordo rimarrà come malinconico compagno, struggente pensiero, in qualcuno. In fondo, almeno un po’ - anche se non sapremo mai perché siamo gettati in questo stupido mondo per poi doverlo abbandonare, sempre troppo presto - si vive per questo. Anche per questo. E per questo io ricordo e ricorderò. Fino a quel giorno – Dedicato a chi non c’è più
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