lunedì 11 ottobre 2010

Ora chiamatelo Lord-enzo (parte seconda)

Riprendiamo da dove avevo lasciato. Il grande buco nero dell’Amber, parte seconda. Dicono che avremmo continuato a bere, infischiandocene della leggi della fisiologia umana che vorrebbero che, parlando di liquidi, nel corpo umano la quantità di sangue fosse superiore a quella alcolica. Eppure testimoni oculari giurano averci visto fare avanti e indietro al bancone reggendo bicchieri che di certo non contenevano solo coca cola. Dicono che avremmo intrattenuto amabili conversazioni con simpatiche signorine. Dicono. Se solo mi ricordassi qualcosa. Dicono che all’entrata dello Zukuft avremmo convinto altrettante simpatiche signorine che se ne stavano andando a casa a tornare in pista e a ballare insiema a noi. Dicono che queste signorine fossero molto più che carine del normale e che dopo un po’, visto che noi viaggiavamo sullo Shuttle in direzione di galassie sconosciute, si siano arrese davanti all’evidenza e abbiano imboccato la via d’uscita. Dicono che, anche lì, i brindisi non siano mancati. Dicono un sacco di cose, ma la verità è che davvero io non riesco a ricordarmi niente. Non so come e quando sia tornato a casa. So solo che sono uscito dal coma verso le due, quando mi sono svegliato con la testa che andava in frantumi e, dopo aver vegetato per più di un’ora, ho dovuto impiegarne altre due a zonzo per Zurigo per farmi passare quella sensazione di morte che mi attanagliava la mente e lo stomaco. Finito? Niente affatto, contando che questa è l’ultima serata ufficiale di L di L&L da italiano a Zurigo con permesso B. L’appuntamento è verso le 11 al Talacker, una specie di bar radical chic dove potersi bere caraffe da un litro di birra e osservare fauna locale che non balla al suono della musica messa su dal DJ spaparanzato sui divanetti. Grazie al concerto degli U2, che ha intasato tutti i tram trasformandoli in saune su rotaie, mi devo fare tutta la strada a piedi. Prendo il microfono, ringrazio i fan e impreco per i restanti quindici minuti. Al Talacker si ricompatta il gruppo. K, tornatosene a Milano – l’ho incrociato nel pomeriggio che, in condizioni disperate, scendeva le scale e pregava Dio di concedergli la forza necessaria per arrivare in stazione –, viene sostituito da M, amico di L di L&L, l’altro, in trasferta nella cittadina svizzera per questioni legate al cuore. O a qualcosa situato più in basso. L di L&L mette subito le mani avanti:


“Ragazzi, io massimo a mezzanotte e mezza vado a casa”

Risata generale.

“No, dico sul serio”

Noi tre, in coro greco: “Scusa?!”

“Devo ancora finire di fare la valigia”

“E poi?”

“E poi devo mettere a posto l’appartamento, sistemare alcune cose burocratiche, salvare il mondo e calibrare i miei poteri di super eroe”

Un po’ vago. Noi annuiamo e cinque minuti dopo siamo seduti di fianco all’entrata con una caraffa da un litro di birra davanti a noi. Si abbassano le luci, inizia lo spettacolo. La giuria italica, grazie alla tecnologia moderna – il cellulare – giudica le graziose e meno fanciulle che ci passano accanto. 5. 7+. 3, non ci siamo. 8/9, ovazione generale. Neanche ce ne accorgiamo e stiamo finendo la seconda caraffa. Io mi dimeno al ritmo della musica, almeno come può dimenarsi qualcuno sprofondato in una poltrona. Sono un criceto sulla sua ruota. Gli altri tre apprezzano e vengono contagiati dalle mie movenze epilettiche. Qualche signorina si fa trasportare dall’entusiasmo – il nostro – e abbozza tiepidi sorrisi, mentre il gruppo di sfingi svizzere osservano la scena e, come al solito, se ne rimangono immobili, mummificate, confidando nel loro enigmatico carisma. Senza speranze. Tempo di cambiare aria. Valman? E Valman sia. L di L&L non ha nulla da obiettare e, pur essendo già ora di rincasare, ci concede ancora l’onore della sua presenza, sacrificando così tempo prezioso per piegare mutande e calzettoni. Ma si sa, la vita non è un parco giochi e richiede sacrificio. Così, andiamo a tastare il polso della situazione. Quello che tasto io e che appartiene a una biondina in pantaloni di pelle che faccio turbinare verticosamente non è affatto male. La donzelletta vorrebbe approfondire l’argomento ma la girellite è effimera e non concede deroghe a nessuno. Magari più tardi, prima dobbiamo esaurire le scorte di alcolici e applicare la girellite con metodo chirurgico fino a quando non incomincia a girare anche il locale. Ci buttiamo nella mischia e apriamo le danze. Una nipponica esteticamente interessante si divide tra due baldi giovanotti e, infilatasi in testa un casco da speleologo, ne esplora le cavità orali. Squinzie della Zurigo bene ammiccano e sculettano, esacerbando il mio lato più prosaico: se potessi, mi metterei a quattro zampe e inizierei a ululare alla luna. Non è detto che non l’abbia fatto. Quando la tensione diventa insostenibile, bisogna prendere una decisione radicale. Zukunft. L di L&L, però, non ci sta.

“Vado a casa”

Fosse una persona come tutte le altre, potremmo anche prenderlo in parola, ma con lui la Lorenzata è dietro l’angolo. L’angolo dove il taxi ci lascia, tutti e quattro, e da dove ci incamminiamo per raggiungere il nostro santuario. L’ingresso ce lo fanno sudare un po’, ma tanto sudiamo alcol e ci fa solo che bene. Veniamo accolti al ritmo di musica balcanica che ci accompagnerà per tutta la notte. Impossibile non farsi trascinare. Trenta minuti di danze di quell’intensità – che io ballo, ignorandone il motivo, a metà tra il klezmer e lo ska – mi riducono a una spugna imbevuta di sudore. Fortuna che al bancone è possibile fare rifornimeto di energetici. Altri trenta minuti e siamo costretti a prenderci una pausa. Noi, alla salute, ci teniamo. Saliamo al fumatoio dello Zukunft, dove possiamo ordinare qualche bicchierino. La cameriera ci guarda stupita, visto che non riesce a capire dove sia l’altra settantina di persone con cui, evidentemente, dobbiamo essere usciti stasera. Mistero. Ne discuteranno nella prossima puntata di Voyager. Si abbassano le luci, inizia lo spettacolo. Il secondo. M, che avevamo perso, torna tra noi, ma è ufficialmente perso e, incapace ormai di intendere e volere, tiene in mano il bicchiere di coca e rum solo per darsi delle arie. Distrutto, sussurra un “Ho male ai piedi”. Ho male ai piedi?! Ce ne facciamo una ragione e ricominciamo con la diffusione del virus della girellite: scoliamo l’imbevibile e facciamo l’impensabile. Per uno svizzero. Esauriti i numeri circensi, scendiamo di nuovo in pista. Appena varcata la soglia, mi trovo davanti a un sinuoso essere dalla lunga chioma bionda e che, lo dico per evitare fraintendimenti, non è K, a quest’ora già da un pezzo a letto nel milanese. L’occasione è ghiotta, l’agguanto e la faccio subito ruotare intorno al suo asse, provocandole una deviazione dell’orbita ormonale che sortisce un effetto devastante. Dopo averla introdotta agli L&L, che le riservano la stessa terapia d’urto, l’empatica figliola, posseduta da spiriti demoniaci, mi rapisce per un’oretta, dandomi dimostrazione intanto dell’esistenza di una giustizia divina e della mia trasformazione in uomo ogetto, nel senso che, una volta stufatasi della situazione, mi o-getta via – come direbbe Heidegger, o-gettato nel mondo - e se ne va, lasciandomi con un senso di incompiuto che stenta a svanire. Ma non è finita qui, the best is yet to come. La mente diabolica di L&L, sempre in ebollizione nonostante lo aspettino mutande e calzettoni da infilare in valigia, ne escogita una delle sue. Armato del suo inseparabile drink, scatta come Bolt, passa sotto a un bancone che serve solo da cimitero dei bicchieri vuoti, e poi si getta a volo d’angelo sopra ai divanetti. L’altro L di L & L raccoglie la sfida ma fa di meglio: una volta passato sotto al bancone, si tuffa in perfetto volo d’angelo e scaraventa con violenza il bicchiere che aveva tra le mani, bicchiere che va a schiantarsi contro il muro producendo il classico effetto Pollock. Non c’è il due senza il tre, però, non si dice a caso. Sbuffo dalle narici e sono pronto all’incornata finale, aga David! Prendo la rincorso e senza neanche versare una sola goccia del mio inseparabile cuba libre, passo sotto al bancone, punto la ragazza seduta e lasciata ingenuamente da sola che sta sorseggiando il suo cocktail e…

“Cin cin!”

Mi volto e sarei pronto anche a tornare indietro come se nulla fosse se la ragazza non attaccasse discorso. Essendo particolarmente carina, decido che tutto sommato vale la pena fare conoscenza e scambiare due chiacchiere con la pupa. Dopo circa un minuto il mio ego riempie completamente il locale. Dopo due minuti, viene subito ridimensionato dagli amici: mentre sono lì che parlo, vengo portato via di peso dai due L di L&L che, prendendomi sottobraccio da una parte e dall’altra, mi trasportano dalla parte opposta della sala accompagnandosi con urla guerriere mentre la ragazza ci fissa allibita e io muovo i piedini penzolanti. Sono due gran bastardi, ma mi hanno fatto ridere e perciò li perdono. Dopo una roba del genere, niente è più come prima, come quando dall’adolescenza si passa improvvisamente all’età adulta. Come quando si passa dal pannolino al vasetto al cesso e poi si regredisce di nuovo al pannolone. Come quando si resta incollati al televisore a guardare Buona Domenica. Insomma, è ora di tornare a casa. Baci, abbracci e un altro giorno sta per iniziare. Buonanotte.

Il giorno dopo mi ci vogliono due ore di pedalate per riprendermi. Perso in qualche paesino di morti viventi, arranco con la lingua fuori. E penso. Penso allo Zukunft, nel senso del futuro. Il mio. E alla vita. E allora capisco. La vita è come una bicicletta. Non importa quanto pedali e se la strada è in salita o in discesa. No, quello che importa è quanti cazzo di cuba libre ti sei bevuto la sera prima, ed è sempre uno di troppo, capito? Io no, perciò non mi resta che augurarvi una buona settimana, ciao!

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