Questa è la storia di una rapina. Una tentata rapina. A un mio amico. La fonte, però, è un altro mio amico. Quindi, questa è la storia di una tentata rapina dai toni fiabeschi che è andata più o meno così, più meno che più. Milano. R. cammina per le strade della città con il suo trolley da viaggio. Un perfetto uomo d’affari. Forse è sera, forse è notte, chi lo sa. Poche centinaia di metri lo separano dal portone di casa sua. Casa, dolce casa. L’amaro, però, è dietro l’angolo e assume le sembianze di un tizio che gli si para davanti e, con fare minaccioso, gli intima:
“Dammi tutti i soldi che hai, ho un cannone”
Ora, di fronte a una frase come questa, che ha un certo senso compiuto e denota forse poca poesia ma molta praticità, non c’è molto su cui riflettere: si inizia subito con le monetine, che sono piuttosto fastidiose, e si finisce inginocchiati scongiurando il rapinatore di risparmiare la nostra inutile ma pur preziosa vita. Nel caso, io posso anche intrattenerlo con delle imitazioni e qualche barzelletta ebraica di effetto assicurato. Invece, R. è ozioso, pacato, riflessivo, perennemente in ritardo. Ha bisogno del suo tempo. Per prima cosa, la parola “cannone”, per lui, che ha vissuto gli ultimi otto mesi in Olanda, evoca subito sensazioni di pace e profonda, profonda calma. La cosa, in effetti, gli frulla per la testa. Il fatto, però, di trovarsi a Milano, lo riporta verso una realtà meno fumosa. La sua risposta – me lo immagino mentre, lentamente, si accende una sigaretta – ha un che di spiazzante e, a dirla tutta, esprime anche grande tracotanza. Ubris.
“Eh, sì, allora sparami, dai!”
Il balordo non se lo fa ripetere due volte ed effettivamente quello che tira fuori è più simile alla 44 magnum dell’ispettore Callaghan che all’involucro cartaceo ripieno di erba e tabacco. L’arrivo improvviso di un taxi, però, mette fine alla brutta avventura: il rapinatore si spaventa e se la dà a gambe. Quando si dice “un professionista”.
La reazione di R. mi ha fatto riflettere. Ho cercato di capire che cosa potesse averlo spinto a osare tanto. E l’ho capito, essendo chiaramente un genio. Sincerità, come canta quel fumetto di donna con gli occhiali. In un mondo di menzogne e tradimenti, la sincerità deve rimanere ancora un valore di riferimento per chi, tutti i giorni, si batte per un mondo migliore. La sincerità deve essere l’ethos minimo su cui basare il nostro vivere civile. E poi si sa, le bugie hanno le gambe corte e le gambe corte sono proprio brutte, specie con un tacco 15. Le bugie lasciamole ai politici e agli assicuratori. Noi vogliamo la sincerità. Ecco il perché di quella risposta: e se il delinquente allo sbaraglio non fosse stato altro che un millantatore? Se avesse tirato fuori una banana o un’enciclopedia e poi, magari, avesse tentato pure di piazzargliela? Questo sì sarebbe stato gravissimo. Perché la gente si fida e se non possiamo neanche più fidarci dei rapinatori, dove andremo a finire? Perciò, bravo R., sincerità, però, la prossima volta, e questo è un consiglio di amico, vai sulla fiducia, di rapinatori onesti è pieno il mondo.
Cambio di scenario. “Che tempo che fa”. Ospite di Fazio è Andrea Bocelli. Sullo schermo compaiono immagini del cantante che, dall’alto di un autobus, microfono in mano, si esibisce per le gelide strade di New York. Il conduttore, estasiato, vomita una serie mitragliata di “Guarda”, “Guarda qui”, “Guarda lì”, “Guarda su” e “Guarda giù” Guarda… A Bocelli?! Che cos’è, una barzelletta?!!
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3 anni fa
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