A Zurigo canta Tony Bennett. Non proprio a Zurigo. Diciamo che canta nel mio appartamento, anche se non è proprio così. Diciamo che canta nel mio iPod, anche se non è proprio così. Insomma, sto ascoltando Tony Bennett. E mentre lo ascolto e l’orchestra riempie con il suo accompagnamento caldo e avvolgente tutto il salotto – non che ci voglia molto, o me o il divano, tertium non datur –, mi trasferisco. Sì, sono da un’altra parte, in un
mondo differente, dove tutti sono buoni e belli, dove le mamme sfornano irresistibili torte con le mele la domenica a pranzo, dove non ci sono guerre, dove le caprette fanno ciao a Heidi e Biancaneve non viene stuprata da sette nani minatori ucraini, dove gli uccellini cinguettano tutto il giorno e parte la musica di sottofondo quando una coppia si bacia, dove si può ancora sognare a occhi aperti e nessuno è lì a dirti “Svegliati, hai trentatre anni”. Svegliati,
diventa una persona seria. Responsabile. Vestiti bene. È ora di sistemarsi. Cercati una brava ragazza. Ecco, gli standard americani hanno questo potere su di me: mi fanno evadere, per un momento da questa realtà, per catapultarmi in una realtà fiabesca.
Molto sentimentale, lo ammetto, il livello del glucosio è schizzato alle stelle, però non ci posso fare niente: la domenica sono particolarmente malinconico e sentimentale. Il secondo effetto degli
standard americani in versione orchestrata e patinata è quella di
farmi sentire a New York, anche se non ci ho mai messo piede in tutta la mia vita. Sarà l’effetto Woody Allen. Anche qui a Zurigo. Certo, questa città, di Grande Mela, ha ben poco, però, sotto casa mia, c’è un chiosco che fa molto “Smoke”. Le analogie finiscono qui, dove inizia il mio post, perché in effetti è proprio di
questo chiosco che volevo scrivere. Lo gestiscono dei tizi che secondo me sono
turchi, non parlano una parola di inglese ma si esprimono in uno
svizzero tedesco incomprensibile. Anche a loro. Il giro è losco, si parla di gente che entra, ritira soldi, cose strane, poco chiare. Tutte le domeniche scendo per comprare
il Corriere. La cosa divertente è che
mi chiedono sempre il prezzo: “Wie viel?” “Drei franken”, però, poi, come al solito, pago io. Se avete bisogno di sigarette, alcol, riviste, bibite e snack ipercalorici, il chiosco vi salva la vita, è aperto tutti i giorni, fino alle dieci, undici di sera. Non si può dire che ai gestori manchi il senso del commercio. Un giorno entro in cerca di vodka. Una vodka. Che non c’è. In tedesco maccheronico chiedo se, per caso, ne hanno magari una bottiglia. Di Grey Goose. Il tizio fa una faccia strana e mi si avvicina. Io temo che mi voglia menare e subito spiego che non lo stavo insultando ma è il nome di una
vodka francese, al che la sua faccia si fa ancora più cupa e capisco che i francesi stanno proprio sul cazzo a tutti. Comunque, non ce l’hanno. Il giorno dopo, tornando dall’ufficio, passo davanti al chiosco e cosa vedo esposta in vetrina? La bottiglia di Grey Goose. Che figli di puttana, impossibile non amarli. Fino a ieri. Decido di invitare due o tre amici da me per bere qualcosa dopo cena. Verso le nove e mezza breve controllo: vodka, due bottiglie. Tac. Red bull? Tac, comprare. Rum, mezza bottiglia. Tac, comprare. Coca? Mezza bustina, tac! Scherzo, per chi dovesse subito credere a tutte le stronzate che scrivo. Coca, una bottiglietta. Tac, comprare. Mi avvolgo dentro strati di piumino in fiamme, perché fuori si gela davvero, ed esco in missione, faccio razzia di tutto quello che mi occore e, rapido e indolore, ritorno nell’accogliente tepore di casa.
Tiro fuori il rum dal sacchetto e lo metto sulla mensola in cucina, di fianco all’altra bottiglia di rum. Meglio
togliere il prezzo, non è educato mostrare agli ospiti di quanto si è svuotato il tuo conto in banca. Anche l’altra bottiglia ha ancora il prezzo bello in mostra e allora via anche quello. E… e mi accorgo di qualcosa di strano. Il nuovo acquisto mi è costato
dieci franchi in più. Dieci. Controllo meglio. No, no, sono proprio dieci franchi in più. Dieci. Ora, la marca è la stessa. Quindi non è quello il problema. L’invecchiamento pure, quindi nemmeno questo è il problema. E allora? Penso o qualcosa di simile. La prima bottiglia l’ho comprata due mesi fa.
Sarà l’inflazione? Impossibile, in Svizzera l’inflazione è vietata per legge.
Forse il negoziante è un grandissimo figlio di puttana? Impossibile, perché i figli di puttana, a Zurigo, lavorano tutti in banca. Forse la domanda è talmente alta che giustifica un
aumento sconsiderato del costo? Impossibile, perché il rum è troppo scuro per gli svizzeri, che bevono solo vodka.
Forse non ci sono più le mezze stagioni? Questa non c’entra un cazzo ma in un discorso va sempre bene. E poi è arrivato l’eureka: il cielo si è aperto e la terra ha tremato. La bottiglia è invecchiata di sette anni, ma non è esattamente così.
La bottiglia è invecchiata di due mesi in più dell’altra, è ovvio: 7 años y 2 meses. Semplice. Chiaro. Devo rammentare più spesso a mia madre che ha partorito un genio. La domanda a questo punto non può più essere procrastinata: quanto cazzo pagherò la bottiglia di rum tra un anno? Domani vado a chiedere l’aumento.
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