lunedì 25 novembre 2013

Dankeschön und Bitterol




Lo temevo. Il giorno del giudizio. Ero sicuro che, se mai fosse arrivato, sarebbe stato durante quel fine settimana berlinese dei primi di novembre, durante i festeggiamenti del quarantesimo di Lord-enzo, ex L della mitica accoppiata L&L. Poi, le cose sono andate diversamente. Mr X ha dovuto privarci della sua demoniaca presenza e al mondo è stato concesso qualche altro anno in più di tranquillità. Bisognerà in ogni modo verificare i danni provocati dall’uso smodato del Bitterol. Ma ogni cosa a suo tempo. 

Venerdì 8 novembre 2013

Finalmente tutti a Berlino. Antefatto: Lord-enza, l'anima gemella del festeggiato, la temeraria che mostrò la virtus del suo medio a babbuzzo pazzo grosso - il buttafuori del Nam Long, un bipede ottenuto incrociando un'escavatrice con un autobus londinese a due piani - e ne uscì miracolosamente integra, la marchigiana che seminò il panico allo Zukunft e che venne riportata alla calma solo quando le spararono a distanza di sicurezza dei sedativi per elefanti, ecco, quella Lord-enza è l'organizzatrice della festa a sorpresa. Questo solo per spiegarvi come mai, dopo un fitto scambio di mail, l'NSA abbia consigliato alla Casa Bianca un eventuale intervento preventivo nella capitale teutonica.

Per me tutto ha inizio dalla stazione centrale, la Hauptbahnhof - se lo pronunciate giusto, il nome, vi regalo l'abbonamento al 'Corrierino dei pingui', diretto dal mio amico, il pettinato più pingue di Milano, che evito di nominare perché se no gli si alza il colesterolo. Sono in attesa di J, la bionda caucasica che da più di un anno mi segue come un'ombra e va in giro a dire ai miei amici di essere la mia ragazza. Quanto male c'è nel mondo. Mi vibra qualcosa e, poiché sono un intuitivo, propendo per il cellulare. Difatti è J, che mi avverte di un ritardo del treno di circa venti minuti. Come un monaco zen, trovo una panchina e mi siedo nella posizione del cilotto, assumendo le sembianze del robboso di belle speranze sotto l'effetto di uno di quei cannoni che rendono il mondo esterno totalmente accessorio. Intanto, i minuti passano, e da venti siamo già a trenta. Quaranta. Cinquanta. Saper contare ha i suoi vantaggi. Finalmente, un'ora e dieci di ritardo dopo, il treno fa il suo mesto ingresso in stazione. Mi infilo in un forno a microonde per lo scongelamento istantaneo - i privilegi dell'autunno temperato mesotermale, l’ho letto su wikipedia -, agguanto quella che si spaccia per mia dolce metà e ci infiliamo nel primo taxi disponibile. Il tassista è un tizio loquace che centrifuga tutte le parole con il suo accento di Berlino downtown, azzerando ogni mio tentativo di seguire un filo logico. Pare che dica cose divertenti, perché la mia ragazza ride, lui ride, lei ride e lui ride. Rido anche io, ma solo alla fine, quando è J a pagare tragitto più mancia.

Gli appartamenti affittati sono due, zona Mitte. Se non conoscete la città, vi dico che è una zona che gli anglofoni e i milanesi malati di anglofonia definirebbero cool - che poi, a furia di utilizzare tutti questi anglicismi ti viene anche un po' voglia di prenderli per il cool. Entriamo nel palazzo e, grazie al nostro spiccato senso di orientamento, vaghiamo tra l'androne e il cortile, incapaci di intendere e di volere. Fortuna che ci sono le mappe di Google. Facciamo il nostro ingresso trionfale, e ad attenderci, con dei calici pronti per l'uso, ci sono S e K, arrivati in mattinata da Zurigo dopo otto ore di treno perché S sarà pure italiana, ma lei, al volare nel blu dipinto di blu, preferisce il sicuro viaggiare quaggiù, d'istinto quaggiù. Brindiamo e beviamo, mentre il soggiorno si riempie di amici, amici di amici e amici di amici di amici. Ed eccoli, tutti i protagonisti:

2 simpatiche coppie di amici di Lord-enzo – in realtà sono 3, ma la terza sbarcherà a Berlino solo il giorno dopo
Lord-enzo e Lord-enza
L di L&L, l'altro, con EL. D' ora in poi saranno L di EL&L e EL di L&EL
M, l'altro atesino - detto così perché l'onore del primo alto atesino, in questo post, va al festeggiato
V, detto Vierino per ragioni ai più ignote
P, lo spagnolo più svizzero che conosca
K, il vichingo di Muggiò, e piccola S
J e il sottoscritto

La prima tappa della serata è un locale dove sembra si mangino gli hamburger più buoni di tutta Berlino. Vi arriviamo dopo aver attraversato un parco immerso nell'oscurità, lasciandoci dietro un rave, spacciatori di vario genere e loschi individui - anche se pare che gli ultimi facessero parte della compagnia. Il locale è pieno, ma Lord-enza ha prenotato un tavolo, quindi vengono evitate scene di panico del tipo sono le dieci e mezza e se non mi danno da mangiare facciobbrutto. Una volta in postazione, incomincia il grande afflusso di boccali di birra. Poi, arrivano gli hamburger. Degli hamburger giganti. Degli hamburger giganti con contorno di un chilo di kartoffeln a testa. Ero pronto a tutto, ma non a questo. Il primo morso non si scorda mai, soprattutto quando, visto le dimensioni del panino, ti procura una lussazione della mandibola. Morso tuo, vita mea credo venga da qui. E poi ci sono le patate. Non finiscono mai. I più si arrendono, lasciando il piatto pieno di quella cornucopia di tuberi. Io no: il condizionamento psicologico di mia madre, quello del piatto pieno e dei bambini in Africa che muoiono di fame, non mi lascia scampo. Così, alla fine, sul mio piatto non rimane nemmeno una briciola. E la mia coscienza trova pace. Non la pancia: le visioni mistiche causate da una digestione claudicante mi tormenteranno per ore. Nel frattempo ci raggiunge P, fotografo ufficiale di questo fine settimana: il suo aereo è arrivato in ritardo perché, una volta raggiunta la meta, è stato costretto a un inaspettato giro turistico di Berlino. Questo è il chiaro zampino dei servizi segreti, il cui fine era non far decollare la nostra serata impedendo l'atterraggio del volo. P è l'unica persona, oltre al sottoscritto, che riesce a ingurgitare l'abnorme quantità di kartoffeln mantenendo ancora un aspetto vicino all'umano. 

Una volta che la missione pance piene è completata, si passa all'altra parte del piano: portare Lord-enzo in uno dei luoghi da lui più detestati, il karaoke, e costringerlo a salire sul palco per dare prova delle sue inesistenti doti vocali. Quando si vuole bene a una persona. Purtroppo il piano fallisce perché la lista di inetti che adorano mettersi pubblicamente in imbarazzo è lunga come le cifre decimali del pi greco. Anche le stanze dove è possibile cantare limitando il ludibrio all'intimità del circolo di amici sono tutte occupate. Non ci resta che gettarci a capofitto in quello in cui eccelliamo: la trasformazione in aspira alcol, la trasmutazione in idrovore di bicchierini. La fatica più grande è affrontare lo shot di rum al 75%, di cui ignoravo l'esistenza. Infatti, tutt'ora dubito che esista, ma eclissiamo i quesiti esistenziali ingurgitando l'ignota sostanza in un colpo solo. Reggiamo la botta, anche se sospetto che i nostri organi interni siano rimasti completamente carbonizzati. Tuttavia, il locale rimarrà impresso indelebile nella nostra memoria non per l'intruglio esplosivo, ma per la presenza di due personaggi inquietanti: il rimorchiatore folle, un energumeno dallo sguardo allucinato che menava fendenti con quello che a me sembrava uno scacciamosche e che cercava di accoppiarsi con qualsiasi ragazza avesse la sfortuna di rimanere almeno per cinque secondi sola nella pista; la psicospastica, uno strano esemplare del mondo femminile che, accompagnata da movimenti spastici, si contorceva su se stessa nell'illusione, tutta sua, di seguire con movimenti artistici il ritmo delle canzoni, mentre ai nostri occhi era chiaro che la ragazza aveva fatto abuso di kartoffeln nel nostro stesso ristorante. 

La notte, purtroppo, è ancora lungo. Ci attende l'ultima fatica prima del ricongiungimento con il talamo: il clubbing. E sì, perché se non fai clubbing a Berlino, non sei trendy, sei out, non sei cool, e se non sei cool, poi ti prendono per il cool e torniamo all’inizio del post.  Qui devo registrare amaramente le prime defezioni: le coppie di amici ci avevano già salutato dopo cena, avvertite in anticipo del probabile epilogo della serata dalla CIA, pronta a tutto pur di evitare il possibile tracollo europeo a causa della formazione di improvvisi buchi neri alcolici; M, l'altro atesino, si ritira, perché la presenza contigua di due alto altesini in un club di Berlino è vietato per legge; S e K se ne vanno perché non ricordano più il motivo della loro presenza; L di EL&L e EL di L&EL ci salutano perché seguono un rigido rituale dell'accoppiamento. Perciò, rimangono Lord-enzo e Lord-enza, che con il pieno di gasolio possono andare avanti due giorni; P, che essendo iberico inizia solo ora a svegliarsi; J, che ha già dato il suo beneplacito al proseguimento della festa; io, che di mia spontanea volontà obbedisco agli ordini di J; e Vierino, al quale va la menzione d'onore: un uomo che è da anni allo stato terminale dell'indipendenza alcolica e che, nonostante questo, infischiandosene del nostro barbugliare galoppante, decide di restare fino alla fine, a fianco del suo amico. Mi viene il sospetto che sia stato colpito nuovamente da omosessualità fulminante, ma il dubbio non fa tempo ad insinuarsi dentro di me che siamo già arrivati.

Kater Holzig. Giuro, non è una parolaccia, ma il nome della discoteca. Attendiamo pazientemente in fila, mentre orde di zombie attirati dalle sonorità elettroniche provenienti dall'interno vengono rimbalzate senza pietà dalla selezionatrice. Quando arriviamo davanti, tiriamo fuori il poker d'assi: siamo qui per festeggiare i quarant'anni del nostro compare di avventure. Lei fa sì sì e poi chiede a Lord-enzo la carta di identità. Gli italiani vengono preceduti sempre dalla loro buona fama. Risolte le pratiche burocratiche, ci inoltriamo in questa specie di stalla elvetica piena zeppa di vacche, tori e buona musica spacca timpani. Di un guardaroba, neanche l'ombra, così iniziamo la nostra personale sauna trasudando spirito in abbondanza. Dopo due o tre giri di danza, ci facciamo largo nella folla e raggiungiamo la console, dove finalmente possiamo appoggiare le giacche. Il ripiano è inclinato e assistiamo a vere e proprie scene di equilibrismo, con il più degli avventori che non si rende conto di questa proprietà fisica e cerca invano di riporvi i bicchieri vuoti che, puntualmente, si sbriciolano giù al suolo. Un tale se ne sta dietro di noi, immobile. Gli schiocco le dita davanti al viso, ma nessuna reazione. Provo con una vasectomia, ma niente. Una statua. Allora, mi focalizzo su Vierino, al centro dell'attenzione, essendo l'unica persona a indossare una camicia. Qualcuno gli si avvicina e gli domanda cosa mai sia quella strana maglietta con le maniche lunghe e i bottoni; altri sono convinti che sia un tatuaggio tribale. Una ragazza si innamora perdutamente di lui e lo omaggia con dei coriandoli. Nessuna reazione e quindi il sospetto iniziale mi si ripresenta, ma rafforzato dall'evidenza - Vierino si difende attaccandosi a improbabili fattori estetici della fanciulla che non raggiungerebbero gli standard minimi, ma la legge del dopo le tre vai bene anche te è universale. 

Tutto questo movimento ha messo in stato di agitazione la mia non più giovane vescica. Devo raggiungere un orinatoio il prima possibile, altrimenti potrei non essere più in grado di rispondere delle mie azioni. Fendo la pista con un machete, atterro un paio di persone con dei placcaggi da manuale e in soli venti minuti raggiungo il bagno, che scopro essere misto. E, quando dico misto, intendo una fila di donzelle che attendono che i loro sanitari appositi si liberino mentre i maschietti, schierati davanti all'orinatoio a parete, provano a liberarsi di quello che non riescono più a trattenere. Così, da un lato abbiamo uomini grandi e grossi che, sotto l'occhio incuriosito di ragazze più maliziose di altre, hanno un blocco psicologico che cercano di risolvere immaginando dentro di loro lo scrosciare di maestose cascate; dall'altro, signorine ignare che, una volta entrate in questo girone dantesco e resesi conto della situazione, fuggono via inorridite. In mezzo, ci sono io, forte della massima Ubi maior, minor cesso, tetragono a ogni tentativo di pressione psicologica: potrei espletare il tutto anche se iniziassero a riprendermi con una telecamera e mi chiedessero di fischiettare la quinta di Beethoven. Con qualche fluido in meno, abbandono Sodoma e Gomorra e ritorno da dove me me ero venuto. Il tipo immobile è sempre lì e ancora immobile. Devono averlo scambiato per un attaccapanni, a giudicare dal numero di giacche che gli pendono dal naso. E, mentre cerco un defibrillatore, avviene il numero circense della serata: un uomo, un uomo senza paura, sfida la sorte ed emerge da un  compatto mucchio di persone reggendo quattro cuba libre. Quell'uomo, signori, ha un nome, un nome che dovete segnare e tramandare per generazioni: Lord-enzo. Applausi a scena aperta e contratto firmato in diretta con il Cirque du soleil.

I veri campioni sanno quando è tempo di ritirarsi. Ci avviamo all'uscita, mentre la folla omaggia ancora il fenomeno brizzolato. Cinque e mezza del mattino: meglio tornare nelle nostre catacombe, prima che le luci dell'alba ci inceneriscano. Saliamo, tramortiti, sul taxi e… e non abbiamo fatto i conti con l'oste. L'oste spagnolo, P, che posseduto da una vorace fame chimica, ci esorta a seguirlo in una scorpacciata luculliana. Vox clamantis in deserto, un deserto neuronale ormai devoto solo al culto di Morfeo. Perciò, decliniamo l'invito. P la prende bene, tira il freno a mano bestemmiando in svizzero tedesco e si fa lasciare davanti a un Burger King. E con questa immagine, di canini che triturano orde di double whopper, vi lascio anche io. Scrivere questa prima parte mi ha spossato. Ho bisogno di energie. Meno male che hanno inventato i kartoffeln. Buona settimana a tutti e al prossimo episodio!

lunedì 14 ottobre 2013

Conati con la camicia




Bene. Tre taxi parcheggiati. Guardo il tassista con quell'espressione di supplica tipica del viaggiatore seriale, per piacere mi porti al più presto dove devo andare, e il tassista ricambia con un cenno di assenso che mi autorizza ad aprire la portiera della macchina.

È un caldo giovedì di luglio. Una di quelle serate afose milanesi dove si suda e ci si schiaffeggia parti del corpo a caso nella vana speranza di schiacciare quell'avvelenatore esistenziale  conosciuto con il nome di zanzara. Zzz...

Apro parentesi amena per niente attinente al post  ma che sono obbligato a scrivere a causa delle associazioni libere di cui sono schiavo - eh?! Se Zara è il tempio degli acquisti da portafogli depresso, proporrei il nome ZanZara per quelle catene di negozi in cui, una volta pagato, si ha la sensazione non solo di averlo alleggerito, quel portafogli, ma di aver subito un vero e proprio prelievo di sangue - ci si svena non a caso.

Al tassista di tutto ciò poco interessa, soprattutto della parentesi amena, di cui anche io farei a meno. E poco gli interessa anche del sottoscritto, visto che, dal momento in cui apre il bagagliaio a quello in cui rientra al posto conducente e gira le chiavi, compresi i successivi cinque minuti, continua a parlare senza sosta al cellulare. Si interrompe solo un paio di volte. La prima per chiedermi 'Dove?' e la seconda per ribadire il concetto: 'Dove?'. Risponderei anche, se solo stesse a sentirmi.

Il tono della voce mi lascia intendere che il tizio è adirato. Mi sfugge il centro nevralgico dell'incazzatura, ma me ne faccio una ragione. Poco dopo è lui stesso a darmi una spiegazione. Il cliente prima di tutto.

'Scusa, eh, ma prima ho portato in stazione un ferroviere. Un macchinista. Sai, sono sempre di fretta (i macchinisti, ndr). Loro pagano con gli sms, ma vanno di fretta. L'ho mollato giù prima e ora non so se il pagamento è andato a buon fine. Rischio di perdere 15 euro, mi sta sul cazzo!'. Cantami, o Diva, del Pelide Achille l'ira funesta.

E' notorio che la fretta non porta mai a nulla di buono. Però se pigiasse di più sul pedale dell'acceleratore, non me la prenderei più di tanto. Giuro.

'Stasera c'è un bel concerto'
'Come?', domando, ancora con il pensiero rivolto al macchinista.
'No, dicevo, i Depeche Mode'
'Ah, certo!', rispondendo alle sue associazioni libere freudiane, non meno sgangherate delle mie. 'Suonano a San Siro, no?'
'Sì. Prima ci ho portato un gruppo di ragazzi. Certo che… No, volevo capire…'

Sono pronto. Qualcosa si sta muovendo nei suoi meandri neuronali. Sento produzione polemica.

'… ma adesso ai concerti si va tutti tirati?'

In che senso? Lo penso, ma non lo dico. Non vorrei interferire con il suo soliloquio.

'No, prima ho portato un gruppo di ragazzi. Lui, preciso, incamiciato. Le amiche, vestito e scarpe coi tacchi. Che ne so, magari erano ospiti nel settore vip'

Settore vip? 'Vanagloria: i pettinati'?

'Perché io, quando andavo ai concerti, mica mi mettevo la camicia: jeans, maglietta e via. Poi con questo caldo? Volevo chiedergli (n.d.r: sì, dovrei scrivere 'chiedere loro', ma ipse dixit), ragazzi, ma non morite così? Una sauna di sudore. Poi ho pensato che non erano cazzi miei come vanno vestiti a un concerto'

L'osservazione non fa una piega - nella camicia.

'No, poi chi è che deve andare a riprenderli questi ragazzi?'. Io cerco di rispondere, ma il monologo è inarrestabile, uno tsunami di vocali e consonanti.

'Ecco, così devo tenere giù tutti i finestrini. Va be', sono ragazzi, è giusto che si divertano'.

E lui, è giusto che si guadagni da vivere con il sudore, quello degli altri? Domande senza una risposta. A quel punto ho pensato, parlo ora o taccio per sempre. E così, gli racconto di quel dicembre di un paio di anni fa quando, reduci da una serata di lunghe danze e molte bevute, io e un paio di amici - quelli che non ti abbandonano mai prima  che l'ultima goccia di spirito sia stata aspirata, scomparendo dalla bottiglia per schiantarsi pochi secondi dopo, stragista epatica, contro provati e malandati fegati - ci siamo infilati in un taxi per continuare, in un luogo più intimo e famigliare, con le buone abitudini. Quelle da alcolizzati. E gli descrivo la reazione del tassista quando, una volta saliti, ci ha domandato, con ricercatezza linguistica:

'Ragazzi, ma quanto cazzo avete bevuto?!!', probabilmente destabilizzato dagli effluvi alcolici evaporati nella sua macchina. Certo, fosse stato questo tassista alla guida, avrebbe pensato la stessa cosa ma non avrebbe detto niente perché, si sa, 'sono ragazzi, è giusto che si divertano'.

Invece, ecco che il suo pensiero, ancora pregno del sudore da concerto, mi viene rivelato.

'Vedi, il problema non è quello. Il problema è se il cliente tiene. Se si lascia andare, è una tragedia: finisci il turno e non lavori nemmeno il giorno dopo, perché devi portare la macchina a lavare'.

Già. Mi ricorda qualcosa. Il primo diciottesimo a cui sono andato, un giugno di troppi anni addietro - diciannove estati fa. Memorie vaghe. Bottiglie vuote, stomaci pieni. Io, capellone diciassettenne  sdraiato sopra un manto erboso, incapace di alcuna interazione con il mondo esterno. Y. che chiama il taxi. Io, capellone diciassettenne  sdraiato sopra un sedile, incapace di alcuna interazione con il mondo esterno. Una voce, quella del tassista - immagino.

'Il tuo amico ce la fa fino a casa?'

La voce di Y. - immagino

'David, vuoi che ci fermiamo?'

La mia voce - immagino, anche se credo che un esorcista avrebbe avuto un'opinione del tutto diversa.

'No, no. Ce la faccio'

Un minuto dopo, l'eruzione del Vesuvio. Lezione fondamentale: mai credere a un cliente ubriaco.

Già. Mi ricorda qualcos'altro di cui ho parlato in un post, Gang bangs of New York -parte terza, in cui citavo, tra l'altro, anche l'episodio appena raccontato. Temi che mi perseguitano. Freud, nella versione secondo David, direbbe che il taxi rappresenta l'utero di mia madre, il tassista mio padre, il vomito il senso di colpa per aver desiderato mia madre. Io, invece, potrei dire che la nausea mi si risveglia solo al pensiero di. E poi, diciamolo, mia madre ha le tette piccole, non è mai stata il mio tipo - fortuna che i miei ignorano l'esistenza del blog. In ogni modo, dopo l'Edipo, ecco che mi ritrovo su un taxi newyorchese in corsa con la porta spalancata e un drago erutta fiamme da tenere a bada, un Pollock futurista del conato che disegna ghirigori sull'asfalto della grande mela. L'importante è non perdere mai di vista l'afflato artistico. Però, prendi l'arte e mettila da parte.

'L'altro giorno, per esempio, ho litigato con un avvocato'

La voce di… perso nella ricerca del tempo perduto, cerco di riemergere nello spazio tempo. 'Scusi?'

'No, l'altra notte. Sarà stata l'una, una e mezza. Mi chiamano in viale Papiniano. Arrivo e mi vedo questo tizio distinto, con la barba, e una ragazza seduta sul marciapiedi. Lei non ce la faceva proprio'

Tiene o non tiene? Il dilemma del tassista, affrontato in una notte di baldorie anche dal grande matematico Nash, cosa che, tuttavia, non compare nella sua biografia ufficiale. Cospirazione salutista.

'Insomma, li carico e dopo un paio di minuti la ragazza mi vomita in macchina. Eh, no, dai! Lei si scusa, imbarazzata, e mi prega di portarla a casa, mi paga l'autolavaggio. Io le dico che sono cento euro e lei risponde che va bene, nessun problema. Poi vomita di nuovo'.

Vorrei fare un'obiezione: se devo pagare cento euro, mi sentirei in diritto anche io di cambiare l'arredamento della macchina a mio piacimento. Vorrei farla, ma me lo impedisce un conato di pusillanimità.

'Quando arriviamo, il tizio dice che lui paga solo la corsa, venti euro. Sì, venti schiaffi. A quel punto mi incazzo e gli ricordo che la sua ragazza ha promesso di darmi cento euro per il lavaggio. Be', il tizio mi dice che è un avvocato e che i cento euro me li sogno, lui paga solo la corsa. Hai capito che figlio di puttana? Oh, lì non ci ho visto più: mi è salito il sangue alla testa.'

Ogni tanto che salga nelle zone alte, e non solo in quelle basse, è salutare, davvero. Ma taccio di nuovo, perché io, con un tassista, di circolazione non mi metto a discutere.

'Gli ho detto che i soldi se li poteva tenere e che adesso lo riempivo di mazzate. Cazzo, quante ne prendeva! Deve ringraziare la sua ragazza che si è arrabbiata con lui,  ha tirato fuori i cento euro e mi ha pagato. Robe da pazzi.'

E dissertando di massimi sistemi e di pazzia, giungiamo a destinazione.

'Sono 14 euro'

Gliene allungo 15. Un euro lo lascio come cauzione, non si sa mai. Scendendo dal taxi, di fronte al portone di casa, rifletto su un paio di cose. Intanto, che nulla contenuto nel mio stomaco doveva risalire come un salmone lottando contro la forza dei succhi gastrici. Pensiero tranquillizzante. E poi che a me, i tassisti, piacciono così, mentre ti scarrozzano in giro per la città raccontandoti qualche aneddoto. D'accordo o meno, non importa. Ascolto le loro storie. Alcune, spesso, interessanti. Questo post non è mio: me l'hanno regalato e io, questo regalo, lo accetto volentieri. Buona settimana a tutti!

mercoledì 4 settembre 2013

Scatto felino

Quando mettete piede a Yosemite Park, la prima cosa che notate, a parte le sconfinate dimensioni del parco californiano, sono alcuni cartelli di avvertimento. Tipo 'Cari visitatori, questo è il territorio naturale dell'orso bruno, del puma e di altri animali di cui non siete in grado nemmeno di pronunciare il nome. Nel caso abbiate la sfortuna di trovarvi in un faccia a faccia ravvicinato con qualcuno dei suddetti, cercate di sembrare più grossi, ma molto più grossi, bullatevi, agitate le braccia, urlate, fate una giravolta, fatela un’altra volta, lanciate dei sassi. Se la strategia di dissuasione si rivelasse fallimentare, contrattaccate'. Quando l'ho letto, ho pensato, sì, certo. Come le istruzioni di pronto soccorso, quando vi insegnano a fare una tracheotomia con una Bic. Pensi, grazie per i suggerimenti, ma capiterà a una persona su diecimila ogni cambio di secolo. Perciò, armato solo della mia folta barba e in compagnia dell'adepta al culto di essa, ovvero J, la mia bionda e, bella zia, rakazza teteska, mi sono avventurato in un'escursione di quattro ore, uno scosceso sentiero in salita, niente acqua, il sole già a temperatura forno a legna. E poi dicono che uso troppe iperbole nei miei post. Il costo del biglietto per assistere al grande spettacolo della natura? Una doccia di sudore e il baratto delle nostre gambe in cambio di un paio di macigni. Ma ne valeva la pena. La maestosità della cascata, con la potenza dei suoi ettolitri di acqua in caduta libera, ha il potere di riconciliarmi con nostra madre terra, trasformandomi immediatamente in un essere metà umano e metà macchina fotografica digitale. Mettiti lì, clic. Sorridi, clic. Il panorama, clic. L'arcobaleno, clic. L'inevitabili nuvole - per cui nutro una profonda ossessione -, clic. Il solito centinaio di foto che difficilmente troverebbero posto sulla scialuppa di salvataggio delle immagini con un minimo di valore artistico. D'altronde, a essere obiettivi,  l'obiettivo dietro l'obiettivo nasconde più un Io c'ero che un Io immortalo. Questa non l’ho capita neanche io.

Apro parentesi. Millenni tecnologici fa di digitale c'era poco o niente. C'erano le vacanze. E la mia macchina fotografica. Le due cose erano indissolubili. D'estate, quella vera, che durava almeno tre mesi, quella calda, afosa e infestata di zanzare, dovunque andassi, avevo sempre lei al mio fianco. La mia amata fotocamera. Con l'inseparabile rullino Kodak da 36 foto. 36. I clic, allora, erano frutto di fatica. Erano pensati. E pesati, in soldi, visto che poi le foto bisognava svilupparle e mi toccava pagare pure quelle schifezze sfuocate in cui si intravedeva solo mezza testa adornata da un paio di dita a mo’ di corna. La qualità era migliore? La verità è che, riguardando gli album impilati nei cassetti della casa dei miei a Milano, il risultato di tutti quei clic era qualcosa di mediocre.  Credo che la tecnologia ci abbia aiutato a diventare tutti un po' più bravi. Solo nella qualità dei miei ricordi non vedo differenze. Bella o brutta che sia la foto. Dovrebbero inventare il nostanalgesico che cura i mali della nostalgia. Clic, chiusa parentesi.

Esauritosi l'impeto artistico e la contemplazione del sublime, non rimane che tornare sui propri passi. Questa vota, passi in discesa. Un film all'incontrario senza finale a sorpresa. Almeno, era quello che credevo fino a quando…

J: 'David?', fermandosi improvvisamente
Io: 'Sì?'
J: 'David', indicandomi qualcosa venti metri più avanti, sulla curva del sentiero, 'non penso sia un gatto'

Non che ci fosse pericolo di confusione, perché sì, a un gatto un po' ci assomigliava, ma dieci volte più grosso.

J: 'David, fagli una foto!'

Ora, quando vi trovate per la prima volta nella vita davanti a un puma e non sapete, almeno non ancora, se sarà anche l'ultima, l'immortalare è un qualcosa sfuocato che passa in secondo piano.  Una foto, brutta, l'ho scattata, ma quello che stava davvero scattando in quel momento era l'istinto di sopravvivenza. Così, ho armato J di un voluminoso sasso e mi sono messo alla ricerca di un pezzo di legno adatto all'occasione. Ero pronto alla battaglia. Vedevo già il titolo: turista prende a bastonate sulle gengive feroce puma locale. Intervistato, il turista dichiara 'Paura? Mai avuta. Ho affrontato l'Ikea di Corsico la domenica pomeriggio'.

Intanto, un gruppo di cinque persone stava sopraggiungendo. Li fermo, indico loro il problemino con vibrisse e spiego loro la mia strategia bellica: attendiamo pazientemente. Immobili.

In tutto quel tempo, uno scampolo di eternità condensato in soli quattro o cinque minuti, il puma non ci ha mai degnati di uno sguardo. Se ne stava lì, a fissare qualcosa, forse a riflettere sui massimi sistemi, incurante di noi. Poi, probabilmente annoiato, è scomparso tra le rocce, concedendo ai nostri parametri vitali di tornare a livelli di normalità. Naturalmente la storia, col passare degli anni, amplificherà i toni drammaturgici. Quando sarò vecchio e senza denti - non che manchi molto - il puma diventerà miracolosamente un alligatore di dieci metri che racconterò aver domato con la sola forza delle mie sopracciglia.

E da un incontro potenzialmente mortale a uno scontro decisamente letale il passo non è poi così distante. Qualche centinaio di chilometri. La strada che da Monterey porta a Santa Barbara. Lasciatomi alle spalle quel tratto di costiera amalfitana a stelle e strisce, sfreccio con la mia ruggente Ford Focus, la lancetta del contachilometri fissa sulle 75 miglia all'ora. La vita, però, se ne fotte delle miglia, delle corsie autostradali, del codice della strada, della musica del mio iPod diffusa dalle casse della macchina, della California, delle mie vacanze, di quello che c'era prima e di ciò che verrà poi, del conto, salato, del mio dentista – tutti quegli euro  solo per la pulizia? E del cervo che, dominato da impulsi autodistruttivi, si materializza improvvisamente in autostrada. La fatalità, a volte, è questione di pochi metri. 'Io non freno' è l'unica cosa che riesco a pronunciare alla mia ragazza, pietrificata dall'angoscia della morte, prima che l'aspirante suicida venga centrato in pieno dalla macchina che mi precede sulla destra. Il cervo, catapultato, si libra in aria, leggero, sopra di noi. Un volo senza speranze. Dallo specchietto retrovisore vedo la macchina ferma. Spero che il conducente non si sia fatto niente.

Spesso ci immaginiamo come potremmo comportarci in certe occasioni. Cosa farei se… Una cosa così, però non me l'ero mai immaginata e se l'avessi fatto, avrei pensato a una reazione completamente diversa. Panico, bestemmia, frenata, sterzata, incidente, il tunnel di luce, Dio, le conigliette di Playboy. Invece, nessun tipo di reazione. Calma. Sangue freddo. Non una persona, ma un robot. Impressionante. Da me non me lo sarei mai aspettato. L'oracolo di Delfi aveva detto di conoscere se stessi, ma non quanto questo processo conoscitivo sarebbe durato.

Non avrei altro da raccontare. O forse sì. Come quando a Los Angeles, mostrando infondata sicurezza da manuale del piccolo esploratore, ho deciso testardamente di raggiungere a piedi Downtown dal nostro albergo in Little Japan, avendo così la possibilità di apprezzare la fauna che popola il variopinto quartiere di Skid Row. Sopravvissuto anche qui.

Resta un rimpianto: non essere riuscito, almeno una volta, a immergermi nell'Oceano con una tavola da surf, sull'onda, più che altro, dell'entusiasmo. Ma, sapete com'è, dopo il puma e il cervo… La mia ragazza deve avere intuito qualcosa anche se, ammettiamolo, gli squali, quelli pericolosi, non si trovano sott’acqua. Buona settimana a tutti!

martedì 25 giugno 2013

Il grande circo dei professionisti

Zurigo è una città strana. Per un milanese. Sulla cacofonia linguistica mi sono già espresso più volte. Per parlare lo svizzero tedesco non servono le corde vocali, ma delle orde vocali. Orde vocali barbariche. La puntualità dei trasporti pubblici. Prendete Aspettando Godot, ambientatelo in una banchina di attesa di autobus di una qualsiasi città italiana e riuscirete a cogliere alla perfezione il significato dell'opera. Beckett uno di noi. La fila alla posta, qui, è un concetto esotico. Esiste, ma altrove. Indovinate dove? Quando vivevo a Milano e sapevo che, il giorno dopo, mi sarei dovuto andare a infilare in quel girone dantesco, prendevo dieci gocce di Lexotan prima di coricarmi. All'ufficio postale dovevo arrivarci armato di due cose: tanta pazienza e una pila di libri da leggere. Sono debitore nei confronti della grande tradizione letteraria russa, che mi ha alleviato ore di infinita sofferenza. A Zurigo non ricordo di avere mai atteso più di cinque minuti: i numeri sul quadrante elettronico vengono scanditi in sincrono con i secondi. Il silenzio delle ore notturne contro l'intermittente brusio della città meneghina. L'elenco è lungo. Tuttavia, di una delle cose più bizzarre, di quelle che ti percuotono la testa con un enorme punto interrogativo immobilizzandoti in uno stato di assoluto stupore, è stato testimone un mio amico e collega, qualche tempo fa. Una sera, rientrando a casa, si è trovato davanti la seguente scena: un semaforo, una scala e su quella scala una persona. Con una spazzola da parabrezza in mano. All'inizio L. non poteva credere ai suoi occhi. Non è vero. Non esiste. Non nel mondo reale, quello europeo, dove la gente prende mille euro al mese che investe tutti nell'acquisto dell'ultimo iPhone. Ma siamo in Svizzera. A Zurigo. E l'uomo con la spazzola da parabrezza in mano, sì, stava pulendo le luci del semaforo. In effetti un rosso sbiadito perde parte del suo effetto deterrente, l'arancione, pulito o meno, fa cagare già di suo e il verde sporco speranza non si è mai sentito. Anche a Milano, ai semafori, possiamo vantare uomini con la spazzola da parabrezza. Che, però, utilizzano, giustamente, sui parabrezza. Delle nostre auto. Senza nessun rispetto della legge della domanda e dell'offerta. Il risultato? Sembra che vi abbiano vomitato sopra un Pollock avariato.


A pensarci bene, di lavori più o meno inutili, più o meno inventati, ce ne sono parecchi. Per esempio…

Cravattestato di stima ovvero l'annodatore seriale

Giuro di dire solo la verità, nient'altro che la verità. Anni fa, alla sfilata di un'importante casa di moda italiana. Me ne stavo lì, a raggranellare qualche spicciolo visto che, con la laurea di filosofia in tasca, il mondo del lavoro era un grande talent show dove la risposta finale era sempre la stessa: per me è un no. Così, in compagnia di altri baldi giovini, adempivo al ruolo di ragazzo immagina: immagina che cazzo fare con una tesi sullo scetticismo contemporaneo. Certo, forse tutto era un sogno e il mondo non esisteva ma, vi assicuro, il tizio deputato ad annodarci le cravatte, quello sì che era reale. Annodo le cravatte, dunque sono. Un cartesiano della sartoria pronto a cancellare secoli di pirronismo con la sua tecnica sopraffina: avanti un altro, avanti un altro, avanti un altro. Fu il giorno in cui ebbi la tentazione di bruciare la mia tesi.

Il prosciugatore esistenziale

Al retorico 'Ciao, come stai?', rivolto a lui, il conoscente, quello che dovrebbe solo parlarti di figa e previsioni del meteo, risponde con almeno una mezz'ora di filippica: i trenta minuti più lunghi della vostra vita. 'Mmh' ed 'eh' di circostanza, rinforzati da segni d'assenso del vostro capo, espressione sintomatica del capitolare di fronte a un senso di pesantezza a mala pena sopportabile, scandiscono il suo pessimismo cosmico, un inarrestabile flusso di coscienza che solo la morte può arrestare. Le ginocchia che non sono più quelle di una volta, il capo affetto da pulsioni sadiche, l'impossibilità di conoscere tutto l'Universo, il gatto vomitatore seriale, la fidanzata psicotica e castratrice, un miscuglio letale di argomenti che ha un solo e unico fine: piegare la vostra volontà, prosciugarvi l'anima e lasciarvi indifesi davanti a un mondo che non sembra più bello come una volta. Pare evidente che il prosciugatore è pagato per ricoprire il ruolo di ammorbatore dell'ego. Anche le vittime di turno, però, meriterebbero almeno un elogio alla sopportazione. Concludo ricorrendo che tutti noi, almeno una volta, abbiamo ricoperto il ruolo del carnefice esistenziale.

Il donatore di sangria

Chi, come il sottoscritto, ha trascorso l'ultimo migliaio di fine settimana ingurgitando litri e litri di alcol nella speranza di ricreare l'effetto brodo primordiale, sa cosa significa sottoporsi a degli esami del sangue che, per i dottori, ha certamente un'ottima annata - e non sa di tappo. Essendomi svenato in questa nobile attività, non possiedo una casa, però un'ottima resistenza alcolica, quella sì. E allora è giunto il momento di pensare anche agi altri e di donare indietro quello che, a fatica, noi bevitori instancabili di venerdì e sabati notte risucchiati nell'oblio di buchi neri creati dalle leggi fisiche di rum e vodka, ci siamo conquistati: infilateci un ago in vena e riprendetevelo tutto, l'alcol. E bevete alla nostra salute. Gratis. Cin cin!

L'addestratore di selve feroci

Dante ne fece esperienza diretta. Risultato: generazioni di studenti che ogni anno si spremono le meningi nel tentativo disperato di decifrare le ermetiche allegorie che popolano la Divina Commedia. Tutta colpa della selva oscura. Come non capire allora l'importanza di una figura come quella dell'addestratore di selve feroci, illuminatore di oscurità, che, fosse esistito ai tempi, avrebbe risparmiato al sommo poeta anni di affaticamento letterario, per la serie prendi l'arte - nova - e mettila da parte. Poco chiaro, ammetto, nello specifico, la metodologia di tale addestramento.

L'igenetista

Si sa, spendere una vita intera rinchiusi all'interno di un corpo umano, senza avere mai la possibilità di fare due passi, bersi una birra o ammirare il nuovo taglio di capelli di El Shaarawi non è facile. Se poi si è responsabili dello sviluppo comportamentale di certi tizi di mia conoscenza, il senso di colpa deve rendere la loro vita un inferno. Poveri geni. Per questo abbiamo assoluto bisogno di igenetisti: gente che, almeno una volta all'anno, si prende cura di loro, li coccola, dà loro una spolverata e spara due cazzate, così, tanto per tenerli su di umore. Attendo con ansia l'apertura di un corso master apposito.

Il mago del pagliaio

Come il suo collega più famoso, che nessuno è mai riuscito a trovare, predilige fienili di campagna in cui esercitare le sue astruse magie e scomparire alla vista di noi comuni mortali. Dura dedicare la propria esistenza all'arte mimetica e passare inosservato ai più, circondato da un mucchio di paglia poco propenso alla conversazione. Il più famoso di tutti è il mago di Garda, prediletto dai turisti tedeschi per il suo cilindro del dottor Scholl che non serve a un cazzo però aiuta a riconoscerlo in mezzo a tutta quella paglia.

Il viaggiatore indietro nel tempio

Per i nostalgici del ventennio Avanti Cristo. Per quelli che ormai si sono già assuefatti e un Dio solo non basta più. Per tutti coloro che credono forse no, ma si fidano di numi più modesti, niente di meglio del viaggiatore indietro nel tempio, un politeista dei tempi moderni che, lasciatosi alle spalle un palloso demiurgo dall'Ego sconfinato, cerca di rifondare un nuovo credo dove la bella Afrodite, Priapo e il suo gigantesco pene, baccanali e feste orgiastiche si fondono in un tutt'uno al grido di menoteismo, più mona per tutti. Amen

E ora, non mi resta che augurarvi buona settimana. Aspetto ansioso i vostri curricula.