mercoledì 27 maggio 2009

La potenza - svizzera - è nulla senza il controllo

Traslocato, finalmente: ho un letto, un guardaroba, un tavolo da cucina con due sedie, un mobile per la televisione con libreria annessa,una scala con due soli gradini, qualche lampada, piatti, posate, asciugamani, lenzuola. Venerdì arriva il resto. Non è di questo, però, che volevo scrivere. O almeno, non solo. Casa nuova, residenza nuova. Mi tocca tornare al consolato. Ahia… Non è di questo, però, che volevo scrivere. O almeno, non solo. Comunque, stamattina, una temperatura per niente primaverile – qui si passa dalla torrida estate a pieno inverno in un solo giorno – e un cielo grigio grigio. Sono sul tram numero 2, auricolari infilati nelle orecchie – mi sembra il luogo più appropriato –, sbadiglio compulsivo ed espressione instupidita dal sonno. Tre fermate dopo, fermi tutti, salgono i controllori. Le vocali e le consonanti escono a casa dalla loro bocca, ma il senso lo capisco ugualmente: con svizzero senso civico metto mano al mio abbonamento mensile e lo mostro al baffuto controllore, che abbozza un sorriso di approvazione. Bene. Andiamo avanti. Arrivo al consolato. Tizio parla con guardia – un’altra, non quella dell’ultimo post. Ecco l’imperdibile scambio di vedute:“Prego, documenti”“Eh… non ce li ho”“Patente, qualcosa?”“Niente, ma ho appuntamento”“Va bene, ma ho bisogno di un documento”“Ho appuntamento con (dice qualche nome di donna)”“Mhh”“La conosce, no?”“Sì, sì, la conosco, ma non conosco lei”“Eh…”“Va be’, vada, va” E facciamolo andare. Salgo al primo piano, munito di bigliettino. Numero: 007, capito? Nella sala di attesa non c’è nessuno. NES-SU-NO. E quindi, giustamente, aspetto venti minuti. Fortunatamente l’impiegata è gentile e simpatica, il che non serve però a placare i miei istinti omicidi nei confronti degli uffici pubblici italiani. In cinque minuti sbrigo la pratica. Bene. Non è di questo, però, che volevo scrivere. O almeno, non solo. Passeggiata fino a Bellevue, fermata del tram numero quattro. Due minuti dopo sono comodamente seduto, auricolari ancora infilati nelle orecchie. Tre fermate e... fermi tutti, salgono i controllori. Ancora?! Solite vocali e consonanti a caso. E poi lo vedo. Lui, il controllore baffuto. Mi si avvicina. Lo guardo.“Excuse me, sir, but you’ve already checked my ticket before”“Was?”Ho capito. Metto mano al mio abbonamento mensile e lo mostro a quello, quello baffuto, che abbozza un sorriso. Mi sa che stavolta, però, è un sorriso di presa per il culo…

venerdì 22 maggio 2009

A posto così


Noi italiani sappiamo sempre come farci riconoscere. Purtroppo. Circa un mese fa, spinto da nostalgia canaglia, decido di fare una visita al consolato italiano. Tradotto: devo cambiare residenza e iscrivermi all’AIRE, Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero. Così, pieno di belle speranze, mi alzo di buon mattino – ma neanche tanto – e, in compagnia delle prodi colleghe Di Gianfrancesco e Manini, parto in missione. Arrivati in Tödistrasse, ci mettiamo alla ricerca dell’edificio. Pochi secondi e ci ritroviamo davanti all’ingresso, sorvegliato da un temibile comodino da letto con gambe e braccia e che, con sguardo truce e in un italiano stentoreo e dal forte accento meridionale, ci intima di mostrargli i documenti. Poi, ci fa salire. Bip, il metal detector. Bip bip, il metal detector. Bip, bip bip!“Eh, per questa volta faccio finta di niente”Ma sì, chissenefrega, facciamo finta di niente. Ineccepibile. Grazie a Google Maps, non facciamo nessuna fatica a rintracciare l’ufficio di competenza. Prendiamo il nostro numerino, e aspettiamo. Saremo sì e no cinque persone in tutto, eppure io attendo per più di mezz’ora. Incredibile. Finalmente tocca a me. Mi avvicino allo sportello, sfodero sorriso, passaporto, carta di identità, permesso di soggiorno e un’enciclopedia, nel caso potesse interessare.“Dovrei fare il cambio di residenza”Io. David Albert Rosenberg.Cinque minuti e la pratica è risolta.“A posto così?”“A posto cos씓Non devo fare nient’altro?”“No. Le arriverà poi a casa una lettera del comune di Milano”“Perfetto, grazie mille, arrivederci”“Arrivederci”Tre giorni fa ecco comparire nella mia casella di posta una lettera. Provenienza: comune di Milano. La apro, fiducioso. Non devo fare nient’altro. A posto così.“Si comunica che si è proceduto alla Sua iscrizione nell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero di questo comune a decorrere dal 20.04.2009 iscritto AIRE, in seguito…” e bla bla bla. Intestazione della lettera:“EGR. SIG./RAROSENBERG NATHALIE”Mia sorella. Iscritta all’AIRE. Non devo fare nient’altro. A posto così. Chiamo il comune di Milano. Sono vagamente alterato.“Mi scusi, potrebbe spiegarmi come è potuto succedere?”“Eh… è successo”Già. E allora? Mi mette il cuore in pace, tanto non devo fare nient’altro. A posto così!

sabato 16 maggio 2009

Piacere, io sono E.


Venerdì notte, in un noto locale milanese. Solita sfilata di nani e ballerine, solo che i nani sono in media alti un metro e novanta e le ballerine starebbero meglio dietro a un palo per la lap dance che sul palco della Scala. In compagnia del barattolo terribilmente pettinato e del farmacista più bello di Milano – così dice lui – concentro le poche forze rimastemi nell’aspirare con una cannuccia il coca rum gentilmente offertomi dall’unica donna volenterosa che ha deciso di sacrificarsi e passare con noi la serata. Succede tutto in un attimo: dal nulla ecco comparire tale E., cliente affezionata del farmacista, quello bello.
“Piacere, E.”, tendendomi una mano addormentata dall’alcol.
“Piacere, David”
Passano sì e no due minuti ed ecco che la ragazza, colpita da arteriosclerosi fulminante, si presenta un’altra volta.
“Piacere, E.”, tendendomi questa volta la mano sinistra, visto che l’altra regge qualche intruglio pieno di benzina.
“Ci siamo appena presentati”
“No, mi sono presentata con i tuoi amici. Comunque piacere, io sono E.”
“Piacere, David”. Non è difficile.
Mi si avvicina all’orecchio. Speriamo che non abbia intenzione di staccarmelo con un morso.
“Cosa fai nella vita?”
“Lavoro a eBay”
“Ah, e cosa vendi?”
“No, lavoro per la compagnia”
“E cosa compri?”
“Sì, compro anche, ma lavoro per la compagnia. L’azienda.”
Soddisfatta della risposta, sorride e rimane con quella espressione per dieci minuti. Sorrido anche io e intanto cerco una via di fuga. Lei, però, si avvicina un’altra volta.
“Piacere, E. Tu come ti chiami?”
Incomincio a nutrire qualche dubbio anche io. Deve essere la problematica filosofica dell’apparente identità dell’io. Forse aveva ragione Locke quando parlava dell’identità come di qualcosa legata alla continuità della memoria. Mi sa proprio di sì.
“David, ci siamo presentati prima”
“E cosa fai nella vita?”
Ho uno strano senso di déjà vu.
“Lavoro per eBay”
“Ahh! Io conosco un sacco di persone che lavorano per eBay!”
“Sì? Tipo?”
“M***”
“Non l’ho mai sentito”
“Lui si è proprio arricchito, ha venduto…”
Salvatemi
“No, è un venditore, io invece lavoro per la compagnia. La società. L’azienda.”
“Ah, e poi conosco un sacco di gente che lavora per eBay”
Sorrido. Sorride anche lei. Sorrido e mi volto. Lei sorride e crolla per terra. Io sorrido. Lei sorride e si alza. Si avvicina.
“Ciao, io sono E, piacere”
“Io non lo so più, però nella vita non faccio un cazzo, bevo cuba e scusami, ma devo andare su eBay, c’è un amico che ci lavora e se sono fortunato mi vende un nuovo nome a metà prezzo”

Be’, il finale è un po’ di fantasia, ma va bene lo stesso. Alla prossima.