mercoledì 16 aprile 2014

Fischi e fiaschi

Dopo un lungo e ininterrotto periodo in ostaggio dello svizzero tedesco, decido che è tempo di dare sollievo alle mie orecchie e tornare qualche giorno a Milano. Così, mercoledì sera di un fine ottobre particolarmente mite, con la pila di giornali internazionali sotto il braccio pronti ad assistermi per quattro ore di viaggio all'interno di quel mezzo di pocomozione - perché, in genere, pochi minuti dopo aver lasciato la banchina, si ferma, per motivi ignoti a noi mortali, parcheggiandoci in un limbo di sospensione spazio temporale - conosciuto con il nome di Cisalpino, mi ritrovo alla stazione di Zurigo, davanti al tabellone delle partenze. Scorro con lo sguardo e lo vedo, il mio treno, quello delle svizzere diciannove e zero nove e non un secondo di più. E, purtroppo, leggo anche, di fianco al numero del binario, una di quelle parole tedesche che sono entrate subito nel mio vocabolario: ersatz. No, non è un ordine nazista volto alla soppressione fisica di altri esseri umani. Semplicemente dice che, al posto del treno in questione, ne parte un altro.

Mi dirigo al binario. Onde evitare di ritrovarmi in qualche sperduto villaggio elvetico dove gli indigeni si nutrono di fondue umana, chiedo al capotreno se quello è il convoglio ferroviario diretto a Milano.

'Sì signore', mi risponde, imitando alla perfezione il Rezzonico di Aldo, Giovanni e Giacomo. 'Purtroppo, a causa di un guasto, il Cisalpino è rimasto in Italia. Deve cambiare però a Chiasso.'. Poi, mi sembra abbia aggiunto 'Cavolo, potevo rimanere offeso di brutto!'.

Vi assicuro, il fatto di dover spendere tre ore su un treno svizzero, invece che sul Cisalpino, lo considero alla pari di una vincita al super enalotto. Il cambio a Chiasso è il pegno da pagare.

Trovo subito da sedere. Poca gente: un uomo d'affari a inizio vagone, immerso nella poesia di un excel; una coppia di anziani coniugi che bisbigliano parole e me incomprensibili; due signori italiani, sulla cinquantina. Rispondo a qualche mail. Intanto, il treno parte. I due italiani iniziano a sgranocchiare patatine e a parlare ad alta voce, così che chiunque, nel raggio di un paio di chilometri, possa seguire il loro arguto scambio di opinioni.

’Shhh!’, si sente echeggiare dal profondo di un sedile. La cosa non sortisce nessun effetto sulla coppia di miei connazionali, che continuano imperterriti con le loro dissertazioni filosofiche sul nulla che nulleggia. Passano pochi minuti e davanti a loro si staglia, imponente e minacciosa, l’avvizzita figura dell’anziana coniuge, ovviamente svizzera, che con il dito impostato nella funzione predicozzo, in un italiano stentoreo, rammenta ai bifolchi che ‘questo è fagone ti szilentzio’. Quindi, torna dalla mummia che le siede davanti e richiude il sarcofago. I due ridacchiano per alcuni secondi, fino a quando un silenzio spettrale scende nello scompartimento. Sento la mia testa diventare sempre più pesante e trasformarsi, insieme al collo, in un metronomo che ciondola a destra e a sinistra, due battiti al minuto.

Mentre combatto la mia personale battaglia tra sonno e veglia , vedo un paio di figure sfrecciare avanti e indietro per i vagoni, probabilmente alla ricerca di una risposta la cui domanda non possono capire perché è in svizzero tedesco. Queste ombre che popolano il mio dormiveglia provengono dal paese di colui che alza giapponesi per diletto, il sollevante. Finalmente, le due anime in pena trovano la pace, che ha assunto le sembianze di due posti proprio di fianco alla coppia di vetusti coniugi. Neanche il tempo di far vibrare le loro corde vocali che la nonnina elvetica, intercettando il movimento labiale, emette uno ‘Shhh’ del settimo grado della scala Richter, zittendo i vicini e instaurando il regno del terrore. ‘Questo è fagone ti szilentzio. Se volete parrrlare, antate da altra parte!’. Davanti a questo ennesimo sopruso mi rimane solo una cosa da fare: dormire.

‘Fifuu. Fifuu. Fifufifuu’. Questo zufolio intermittente, fendendo l’aria, giunge fino al mio timpano e lo percuote, causando come inevitabile effetto secondario l’apertura di una dalle mie palpebre. ‘Fifuu. Fifuu. Fifufifuu’. Chi è che si è portato dietro la gabbia con il canarino? Con fatica, riemergo dall’oblio nella nuova veste di ornitologo, alla ricerca del pennuto fischiatore. Qualche fila dietro di me, la turista giapponese, sdraiata su due sedili, non dà segni di vita. Spero non abbia fatto seppuku dopo l’onta della ramanzina in salsa Rosti. ‘Fifuu. Fifuu. Fifufifuu’. Lo so cos’è: un cardellino. Cardellino rosso, espulso. E poi lo vedo. Dall’altra parte del vagone. Il giapponese, che cerca disperatamente di attirare l’attenzione della moglie. ‘Fifuu. Fifuu. Fifufifuu’. Se non si tratta di un rituale di accoppiamento, direi che sta cercando di aggirare in qualche modo la regola del silenzio senza attirarsi le ire funeste della vetusta rompicoglioni. Per tirare fuori dal coma la moglie, però, mi sa che gli conviene emulare il barrito di un elefante.

Tutta questa selvaggina mi ha messo un certo appetito. Il vagone ristorante è lì apposta per levarmelo. Mi butto nello studio matto e disperatissimo del menu, sempre lo stesso da quando ho memoria della tratta Zurigo - Milano, ma la mia concentrazione è messa a dura prova da provocatori disseminati a caso nel vagone per distrarmi con i loro vaniloqui e impedirmi di ordinare a mente lucida, lanciandomi subliminali messaggi di kase fondue. Il primo disturbatore ufficiale è un ragazzo brasiliano, alla mia sinistra, impegnato in una chilometrica telefonata che si perde nella notte dei tempi. La parlantina a raffica con cadenza san paolo/genovese origina una mitragliata di sputi carichi di ettolitri di saudade. Alla mia fervida immaginazione ci vogliono pochi minuti per metterlo a tacere con dei mirati colpi di okuto che gli espandono il già voluminoso testone fino a raggiungere il livello esplosione.

Al tavolo di fronte al mio, una ragazza conversa con un tizio appena conosciuto e gli racconta che è originaria di Napoli ma è cresciuta in Trentino e che ora vive a Milano dove ha la sua attività di comunicazione ed eventi - tanto per cambiare - e che è cento volte meglio che farsi spremere come impiegata in qualche azienda, certo, a meno che non si occupi una posizione importante. Certo. Sul finale vengo colpito da sordità fulminante che, per un istante, mi libera dal velo di Maja.

In fondo al vagone tre ragazzi di qualche zona remota dell’ est Europa che parlano come Brad Pitt in The snatch cercano di ordinare in una lingua a me ignota tendente all’inglese una bottiglia di vino al cameriere che, di alfabeto, conosce - male - solo quello italiano.  Il traduttore simultaneo fornito dal Cisalpino incoraggia il dipendente di Trenitalia: aiutato da un gesticolare frenetico che contribuisce ad aumentare l’entropia nell’ universo, indossa le vesti del pigmalione per aiutare i babuzzi pazzo grosso a fare la scelta giusta. Considerando che la lista contiene tre o quattro bottiglie, il compito non deve essere poi così arduo. A stappo avvenuto, i tre tirano fuori il violino e si lanciano in pirotecniche danze zigane. Se la memoria non mi inganna.

Arriviamo a Chiasso con il classico quarto d’ora accademico di ritardo che il freccia bianca dello scorso millennio su cui salgo per raggiungere Milano riesce, come per magia, a raddoppiare. Infatti, sbarco in suolo italico alle undici e venti, trenta minuti dopo rispetto alla tabella di marcia. Mi fiondo sul primo taxi. Il conducente, dopo aver appurato che vivo a Zurigo, mi rende partecipe di essere appena ritornato a vivere a Milano, avendo speso gli ultimi tre anni della sua vita in Thailandia, dove si è fidanzato e ha comprato casa, non ho capito bene in quale ordine. Purtroppo, e qui inizia la parentesi melodrammatica, la sua ragazza non riesce a ottenere il visto per venire in Italia.

’18 voli intercontinentali negli ultimi due anni, ti rendi conto? Diciotto.’. DI-CIOT-TO.

E allora lì, be’, non ce l’ho fatta più. Mi sono sporto in avanti e gli ho detto:

Zio, io ho speso gli ultimi cinque anni a viaggiare sul Cisalpino’.

Abbiamo pianto insieme. E con queste lacrime, auguro a tutti una buona settimana!

mercoledì 29 gennaio 2014

Dankeschön und Bitterol - parte seconda

La vita non è facile e alzarsi dal letto non la rende certo più semplice. Se poi ci aggiungete la sbornia del giorno dopo, capirete meglio il significato di fatica di Sisifo: uno sforzo immane (abbandonare l'accogliente e calda alcova) per un risultato nullo (vedere alla voce inebetimento perdurante). Un'erudita introduzione solo per spiegare le condizioni in cui, intorno a mezzogiorno, mi trascino privo di sensi dalla camera da letto al bagno e poi, minzione compiuta, dal bagno al soggiorno dove trovo la tavola apparecchiata, vettovaglie in assetto anti sbronza e, nonostante le poche ore di sonno e i molti bicchieri di alcol, commensali loquaci. Soprattutto P, che ci racconta le peripezie da lui affrontate per tornare a casa: basta un cellulare scarico per ridurre l'uomo in uno stato di totale disorientamento. O l'alcol. Infatti, quello che varca la soglia di casa, attirando la nostra attenzione, non è Lord-enzo, ma una sua controfigura di dieci anni più vecchia, con il viso trasfigurato, lo sguardo assente  e gli occhi iniettati di sangue. La deprivazione sensoriale e qualche cuba libre di troppo hanno trasformato il quarantesimo a sorpresa in un inaspettato cinquantesimo.

Il pomeriggio lo dedichiamo a esplorare la città. All'appello mancano solo Vierino e l'altro atesino che, già da ore, muniti di mappa e guida turistica incorporata, stanno calpestando ogni centimetro quadrato calpestabile di Berlino, in una maratona culturale scandita da una rigida pianificazione in cui nulla è lasciato al caso: al ventesimo minuto scatta la pausa idratazione; al cinquantesimo bisogna sgranchirsi le ginocchia; al novantesimo tappa acquisto compulsivo e fischio dell'arbitro con espulsione di Vierino per evidente fallo da dietro.

Con l'avvolgimento veloce, spostiamoci temporalmente di qualche ora in avanti. Siamo una ventina, ora, nell'appartamento, a goderci la cena preparataci da Simona, cuoca in prestito per la serata. Il cibo è ottimo e il mango piccante sublime, anche se, sulle mie papille gustative, ha l'effetto di una piallatrice. E quando le pance incominciano a essere piene, giunge il momento di svuotare le bottiglie di alcol che attendono pazientemente sulle mensole della cucina e che sono state acquistate con un unico obiettivo: ucciderci. Premessa: la spesa alcolica è stata fatta al Bidl, la versione economica del Lidl che vende prodotti di prima qualità importati direttamente da Chernobyl. Così, fanno la loro comparsa, in successione sparsa: la vodka Gorbatschow, chiamata così perché assunta in dosi eccessive fa venire una gran voglia (di cosa, non si sa); la vodka Putinoff, ribattezzata Sputinoff al secondo sorso; il temibile  Bitterol, di cui vi parlerò a breve.

Ecco, questo sarebbe bastato per farci capire quanto il pericolo fosse reale. Purtroppo, come spesso è accaduto nella storia, ignorammo i segnali e iniziammo a bere. E fu l'inizio della fine. Non abbandonatemi adesso.

Il Bitterol, la perversa unione di Sanbittèr e Aperol concepita da menti diaboliche. Se ne sente parlare per la prima volta nel libro dell'Apocalisse, quando si legge de 'la bestia immonda e l'infernale intruglio con cui allettava le sue gengive putrefatte'. Diversi gli utilizzi del liquido negli anni passati: strumento di tortura - la temuta goccia cinese di Bitterol; arma di distruzione di massa - il famoso meteorite che provocò l'estinzione dei dinosauri conteneva dosi letali di Bitterol; porta  verso altre dimensioni - sono giunte notizie di persone trasportate nello studio di Uomini e donne e costrette a ballare il liscio con lascive novantenni. Nessuno lo ammetterà mai ma il bosone di Higgs è stato scoperto dentro a una bottiglia di Bitterol. Bene, tutto ciò che vi ho appena raccontato non è nulla in confronto agli effetti devastanti del Putinerol, ottenuto mischiando il Bitterol con la vodka (S)Putinoff. Infatti Lord-enzo, dieci minuti dopo aver ingurgitato l'anticristo, viene colpito da tremende convulsioni che portano il Putinerol a esondare dal suo bicchiere, bagnando tutti i presenti. Il panico serpeggia nella stanza e ci prepariamo al peggio. Intanto preghiamo. Il nostro fervore religioso, purtroppo, non serve a protreggerci: il primo a farne le spese è Vierino, inondato da uno tsunami del velenoso liquore. Capito il pericolo imminente, Vierino saluta e si ritira nell'appartamento di sopra, prima della trasformazione. Il giorno dopo è stato avvistato sull'autostrada in direzione Milano. A 180 chilometri orari. A piedi. Ma non è finita qui: pochi minuti dopo il grave episodio, L di EL&L precipita dal divano atterrando in malo modo sul trolley del nostro fotografo, che non si accorge di nulla a causa dello stato catatonico indotto dal Bitterol. La sequenza di causa effetto provoca un'inaspettata reazione di Putinerol che colpisce con inaudita violenza Lord-enzo: il festeggiato, ormai posseduto, lancia con ammirevole precisione il suo bicchiere, il cui contenuto demoniaco si riversa completamente su L di EL&L e il muro. Ora al posto del muro c'è un enorme buco nero che risucchia tutto quello che gli passa vicino, a parte il Putinerol, perché neanche i buchi neri sono così stupidi. A quel punto capiamo che l'unica cosa sensata è abbandonare l'appartamento e andare a ballare da qualche parte, prima di creare inavvertitamente l'antimateria e far sparire il mondo con un cin cin. Decidiamo così di andare al Berghein - Panorama Bar, uno dei locali più famosi del mondo. È ora di risvegliare Lord-enza, sedata preventivamente ore prima con degli incomprensibili saggi di Heidegger che il filosofo scrisse durante una lobotomia.

La fila di 500 metri che ci attende quando arriviamo non è quella per il  bagno delle donne, ma per l'ingresso in uno dei templi della musica elettronica. Dopo trenta minuti di congelamento, siamo ancora lì, fermi, nello stesso punto di prima: alla cassa deve esserci qualche dipendente statale italiano. P, in uno dei non suoi rari attacchi da prima donna, si lancia in una filippica contro le nostre vane speranze di entrare, poi con gesti plateali ci abbandona per fare ritorno al porto (più o meno) sicuro del Kater Holzig. Noi, invece, rimaniamo lì, adottando la tecnica dei pinguini imperiali per evitare l'assideramento. Spero davvero che Sven ci faccia entrare.

Sven, l'orco del Berghein, il selezionatore uscito dalla penna di Tolkien, può fiutare l'odore del Bitterol a un chilometro di distanza e chiamare ad adunata le armate di Sauron. Chi è colto in fragranza di Bitterol viene prima esorcizzato, quindi colpito ripetutamente con delle bottigliate in testa fino a quando non assume le sembianze di un nano elfico. Sven è un mostro dai capelli lunghi e dall'alito pestilenziale, tappezzato di piercing e tatuaggi che, come un cerbero dei tempi moderni, se ne sta da più di venti anni lì, davanti all'ingresso, schiumando dalla bocca in attesa di assaggiare qualche tenero hobbit. Si narra che sia anche un bravo fotografo (ha incominciato la sua carriera a Berlino negli anni 80 come fotografo di moda per hobbit tossicomani. Un lavoro che richiedeva una certa dose. Di talento) ma io so per certo che, prima di arrivare nella terra di mezzo, mangiava bambini e forse era pure comunista. Il signor sì. O no, a seconda. Ma non fidatevi: a volte chi viene accolto da un cenno del suo testone non riesce ad accedere alla pista da ballo, ma viene fatto accomodare in una sala buia dove Sven può, in tutta tranquillità, imbandire un banchetto con uno dei suoi arti strappati a morsi.

Lasciamo Sven per un momento e torniamo a noi. Un'altra ora è passata e siamo ancora in fila. Cento metri buoni li abbiamo percorsi e questo mi ridà fiducia nel genere umano. Come minimo, dopo tutta questa attesa, mi aspetto di trovare la Gioconda nella sala principale, o almeno un Caravaggio. E visto che siamo approdati nelle vicinanze del Louvre, davanti a noi, congelato al punto giusto, c'è un gruppo di simpatici francesi. J, che ancora non ha digerito le lumache dell'anno scorso, se ne esce fuori urlando, in mezzo al silenzio più assoluto,  un goliardico 'Francesi di merda', con tre punti esclamativi. In italiano. Non sono sicuro abbiano recepito del tutto il messaggio ma, nel dubbio, mi sfilo la cintura dei pantaloni - non per prenderli a fibbiate, ma perché so che i francesi hanno un certo gusto per l'eleganza. Intanto, piccoli gruppi di ceffi incominciamo a inserirsi ai lati della coda, infischiandosene beatamente di chi è ibernato lì da ore. Il consumo di pizza e pasta sta inevitabilmente cambiando geneticamente anche gli integerrimi teteski. Intuisco che l'improvviso afflusso di testosterone che sta iniziando a far girare vorticosamente le mie gonadi potrebbe far virare la serata verso un finale poco simpatico. Perciò, alla virata preferisco l'evirata, mi martello i gioielli di famiglia e prendo una decisione che dimostra indubbie capacità di comando, un grosso progresso per me, abituato ad avere potere solo sul telecomando: tutti a casa! In realtà, Lord-enzo stava già per avviarsi, causa stato catatonico avanzato di Lord-enza, che ormai risponde solo a stimoli di intensità superiore al settimo grado della scala Richter. Al contrario, L di EL&L ed EL di L&EL, insieme al nostro vichingo di Muggiò e alla piccola S decidono di accettare la sfida di Thorin Scudodiquercia, affrontare l'orco Sven e provare ad entrare nella Montagna solitaria del Berghein.

Il tassista ci accoglie nell'abitacolo al suono di radio mujahideen. All'inizio, dato l'irrigidimento provocato dal gelo, non ci facciamo troppo caso. Io, però, che gli siedo di fianco, noto che in mano ha un Tasbeeh con cui si gingilla nervosamente. Già siamo infedeli, aggiungiamoci quel tocco di Putinerol e il martirio viene da sè. E infatti, un paio di minuti bastano per capire che siamo in balia di un kamikaze: andando a cento allora, e continuando ad accelerare nel tentativo di abbattere il muro del suono, ci infila qualche sorpasso che definire 'azzardato' suona riduttivo e una serie di semafori che, forse a causa di una visione mistica daltonica, decide incurante di passare tutti con il rosso. A quel punto prendo il cellulare e scrivo ai miei che gli ho sempre voluto bene e di vendere tutti i miei film porno, devolvendone il ricavato a qualche organizzazione per la cura della cecità. Scoppia anche una breve discussione tra J e il guidattentatore, che le risponde in maniera sgarbata - ma di questo, povero, non gliene voglio fare una colpa. Finalmente arriviamo. All'indirizzo sbagliato, ma non importa, la felicità di essere ancora vivi è più forte di ogni altra cosa. Saluto il tassista e lo connetto su Facebook, giusto per vedere se abbiamo qualche amico in comune. Saluti, baci, spazzolata energica di denti e subito sotto il piumone per lo scongelamento. E lì, succede l'irreparabile: J, non so se per dimostrarmi il suo amore o la sua natura perfida e crudele, mi stringe forte a sé e adagia i suoi piedini sui miei piedoni. I suoi gelidi, glaciali piedini sui miei piedoni. Forse poi mi ha sussurrato dolci parole all'orecchio, ma non lo saprò mai, perché perdo i sensi.

In tarda mattinata l'appartamento si trasforma un luogo di desolazione abitato da valigie disfatte e zombie che si trascinano a fatica da una stanza all'altra. Mentre cerco di riprendere conoscenza, mi imbatto nel fantasma di L di EL&L, la cui versione fisica vaga ancora, senza meta, nella Terra di mezzo. Voglio sapere tutto del Panorama bar. Anche lui lo vorrebbe, perché mi confessa di non essere entrato.

'Ehhhhhh?!!'

Ecco come sono andate le cose. I nostri eroi, indifferenti al freddo, ai francesi, ai saltatori di fila, agli effetti del Putinerol, all'odore di kartoffeln, al ghigno dell'orco e all'abbronzatura di Carlo Conti sono riusciti, lentamente, ad arrivare davanti all'ingresso. Davanti all'immondo Sven - che a detta di alcuni sarebbe il diminutivo di Svencincetorige. Il momento tanto agognato era giunto. Sven, con un gesto della mano, invita K e piccola S a entrare. Forse ha fame. O forse vuole solo spedirli dritti nelle fauci delle casse che sputano centoventi battiti al minuto. Non lo sappiamo. Poi tocca a EL di L&EL. Sven la scruta. La invita ad avvicinarsi. L di EL&L, che nel frattempo, a causa del gelo, ha completato la trasformazione in Andreotti - testa attaccata alle spalle, cappottino nero con bavero rialzato e orecchie dotate di vita propria che sventolano bandiera bianca -, compie dei piccoli passi di appropinquamento. Sven, che fiuta subito l'odore di Putinerol, distoglie la sua attenzione da EL di L&EL e, Medusa dei tempi moderni, pietrifica con lo sguardo l'onorevole, che rimane immobile come nel gioco dell'un, due, tre stella. A quel punto il temibile orco spalanca le fauci e pronuncia le seguenti parole:

'Senatore, per me è un nein!'

A nulla sarebbe valso ogni tentativo di protesta, a parte fare infuriare Sven. E si sa, ogni volta che Sven perde la pazienza, un tornado si abbatte da qualche parte in Texas. Impietositi dall'accaduto ma, soprattutto, presi dallo sconforto di affrontare l'impresa senza tutta la truppa, K e piccola S decidono di ritirarsi, seguendo mesti le transenne fino all'uscita senza ritorno. Bisognava, però, salvare il salvabile: i nostri prodi-gy (avventurieri nei templi dell'elettronica futuristica) salgono sul primo taxi e si fanno portare in un ambiguo locale russo, dove concludono il loro viaggio al termine della notte bevendo vodka, danzando e lanciandosi in un paio di pogrom con dei simpatici e baffuti cosacchi.

Non mi resta che un'ultima cosa da fare, prima di ripartire per Zurigo: abbraccio L di EL&L e chiamo un esorcista che scacci dal suo corpo ogni rimasuglio di Putinerol. E qui, davanti all'immagine di un'amicizia forte, sincera, fondata su un legame alcolico indissolubile disseminato di buchi neri e girelliti planetarie pongo la parola fine a questo delirante fine settimana che mi è costato la fatica di centinaia di inutili parole ottenute mescolando a casa le lettere dell'alfabeto. Buona settimana a tutti!

p.s: cari genitori, sono ancora vivo, quindi vi prego: rivoglio inidietro i miei porno!

lunedì 25 novembre 2013

Dankeschön und Bitterol




Lo temevo. Il giorno del giudizio. Ero sicuro che, se mai fosse arrivato, sarebbe stato durante quel fine settimana berlinese dei primi di novembre, durante i festeggiamenti del quarantesimo di Lord-enzo, ex L della mitica accoppiata L&L. Poi, le cose sono andate diversamente. Mr X ha dovuto privarci della sua demoniaca presenza e al mondo è stato concesso qualche altro anno in più di tranquillità. Bisognerà in ogni modo verificare i danni provocati dall’uso smodato del Bitterol. Ma ogni cosa a suo tempo. 

Venerdì 8 novembre 2013

Finalmente tutti a Berlino. Antefatto: Lord-enza, l'anima gemella del festeggiato, la temeraria che mostrò la virtus del suo medio a babbuzzo pazzo grosso - il buttafuori del Nam Long, un bipede ottenuto incrociando un'escavatrice con un autobus londinese a due piani - e ne uscì miracolosamente integra, la marchigiana che seminò il panico allo Zukunft e che venne riportata alla calma solo quando le spararono a distanza di sicurezza dei sedativi per elefanti, ecco, quella Lord-enza è l'organizzatrice della festa a sorpresa. Questo solo per spiegarvi come mai, dopo un fitto scambio di mail, l'NSA abbia consigliato alla Casa Bianca un eventuale intervento preventivo nella capitale teutonica.

Per me tutto ha inizio dalla stazione centrale, la Hauptbahnhof - se lo pronunciate giusto, il nome, vi regalo l'abbonamento al 'Corrierino dei pingui', diretto dal mio amico, il pettinato più pingue di Milano, che evito di nominare perché se no gli si alza il colesterolo. Sono in attesa di J, la bionda caucasica che da più di un anno mi segue come un'ombra e va in giro a dire ai miei amici di essere la mia ragazza. Quanto male c'è nel mondo. Mi vibra qualcosa e, poiché sono un intuitivo, propendo per il cellulare. Difatti è J, che mi avverte di un ritardo del treno di circa venti minuti. Come un monaco zen, trovo una panchina e mi siedo nella posizione del cilotto, assumendo le sembianze del robboso di belle speranze sotto l'effetto di uno di quei cannoni che rendono il mondo esterno totalmente accessorio. Intanto, i minuti passano, e da venti siamo già a trenta. Quaranta. Cinquanta. Saper contare ha i suoi vantaggi. Finalmente, un'ora e dieci di ritardo dopo, il treno fa il suo mesto ingresso in stazione. Mi infilo in un forno a microonde per lo scongelamento istantaneo - i privilegi dell'autunno temperato mesotermale, l’ho letto su wikipedia -, agguanto quella che si spaccia per mia dolce metà e ci infiliamo nel primo taxi disponibile. Il tassista è un tizio loquace che centrifuga tutte le parole con il suo accento di Berlino downtown, azzerando ogni mio tentativo di seguire un filo logico. Pare che dica cose divertenti, perché la mia ragazza ride, lui ride, lei ride e lui ride. Rido anche io, ma solo alla fine, quando è J a pagare tragitto più mancia.

Gli appartamenti affittati sono due, zona Mitte. Se non conoscete la città, vi dico che è una zona che gli anglofoni e i milanesi malati di anglofonia definirebbero cool - che poi, a furia di utilizzare tutti questi anglicismi ti viene anche un po' voglia di prenderli per il cool. Entriamo nel palazzo e, grazie al nostro spiccato senso di orientamento, vaghiamo tra l'androne e il cortile, incapaci di intendere e di volere. Fortuna che ci sono le mappe di Google. Facciamo il nostro ingresso trionfale, e ad attenderci, con dei calici pronti per l'uso, ci sono S e K, arrivati in mattinata da Zurigo dopo otto ore di treno perché S sarà pure italiana, ma lei, al volare nel blu dipinto di blu, preferisce il sicuro viaggiare quaggiù, d'istinto quaggiù. Brindiamo e beviamo, mentre il soggiorno si riempie di amici, amici di amici e amici di amici di amici. Ed eccoli, tutti i protagonisti:

2 simpatiche coppie di amici di Lord-enzo – in realtà sono 3, ma la terza sbarcherà a Berlino solo il giorno dopo
Lord-enzo e Lord-enza
L di L&L, l'altro, con EL. D' ora in poi saranno L di EL&L e EL di L&EL
M, l'altro atesino - detto così perché l'onore del primo alto atesino, in questo post, va al festeggiato
V, detto Vierino per ragioni ai più ignote
P, lo spagnolo più svizzero che conosca
K, il vichingo di Muggiò, e piccola S
J e il sottoscritto

La prima tappa della serata è un locale dove sembra si mangino gli hamburger più buoni di tutta Berlino. Vi arriviamo dopo aver attraversato un parco immerso nell'oscurità, lasciandoci dietro un rave, spacciatori di vario genere e loschi individui - anche se pare che gli ultimi facessero parte della compagnia. Il locale è pieno, ma Lord-enza ha prenotato un tavolo, quindi vengono evitate scene di panico del tipo sono le dieci e mezza e se non mi danno da mangiare facciobbrutto. Una volta in postazione, incomincia il grande afflusso di boccali di birra. Poi, arrivano gli hamburger. Degli hamburger giganti. Degli hamburger giganti con contorno di un chilo di kartoffeln a testa. Ero pronto a tutto, ma non a questo. Il primo morso non si scorda mai, soprattutto quando, visto le dimensioni del panino, ti procura una lussazione della mandibola. Morso tuo, vita mea credo venga da qui. E poi ci sono le patate. Non finiscono mai. I più si arrendono, lasciando il piatto pieno di quella cornucopia di tuberi. Io no: il condizionamento psicologico di mia madre, quello del piatto pieno e dei bambini in Africa che muoiono di fame, non mi lascia scampo. Così, alla fine, sul mio piatto non rimane nemmeno una briciola. E la mia coscienza trova pace. Non la pancia: le visioni mistiche causate da una digestione claudicante mi tormenteranno per ore. Nel frattempo ci raggiunge P, fotografo ufficiale di questo fine settimana: il suo aereo è arrivato in ritardo perché, una volta raggiunta la meta, è stato costretto a un inaspettato giro turistico di Berlino. Questo è il chiaro zampino dei servizi segreti, il cui fine era non far decollare la nostra serata impedendo l'atterraggio del volo. P è l'unica persona, oltre al sottoscritto, che riesce a ingurgitare l'abnorme quantità di kartoffeln mantenendo ancora un aspetto vicino all'umano. 

Una volta che la missione pance piene è completata, si passa all'altra parte del piano: portare Lord-enzo in uno dei luoghi da lui più detestati, il karaoke, e costringerlo a salire sul palco per dare prova delle sue inesistenti doti vocali. Quando si vuole bene a una persona. Purtroppo il piano fallisce perché la lista di inetti che adorano mettersi pubblicamente in imbarazzo è lunga come le cifre decimali del pi greco. Anche le stanze dove è possibile cantare limitando il ludibrio all'intimità del circolo di amici sono tutte occupate. Non ci resta che gettarci a capofitto in quello in cui eccelliamo: la trasformazione in aspira alcol, la trasmutazione in idrovore di bicchierini. La fatica più grande è affrontare lo shot di rum al 75%, di cui ignoravo l'esistenza. Infatti, tutt'ora dubito che esista, ma eclissiamo i quesiti esistenziali ingurgitando l'ignota sostanza in un colpo solo. Reggiamo la botta, anche se sospetto che i nostri organi interni siano rimasti completamente carbonizzati. Tuttavia, il locale rimarrà impresso indelebile nella nostra memoria non per l'intruglio esplosivo, ma per la presenza di due personaggi inquietanti: il rimorchiatore folle, un energumeno dallo sguardo allucinato che menava fendenti con quello che a me sembrava uno scacciamosche e che cercava di accoppiarsi con qualsiasi ragazza avesse la sfortuna di rimanere almeno per cinque secondi sola nella pista; la psicospastica, uno strano esemplare del mondo femminile che, accompagnata da movimenti spastici, si contorceva su se stessa nell'illusione, tutta sua, di seguire con movimenti artistici il ritmo delle canzoni, mentre ai nostri occhi era chiaro che la ragazza aveva fatto abuso di kartoffeln nel nostro stesso ristorante. 

La notte, purtroppo, è ancora lungo. Ci attende l'ultima fatica prima del ricongiungimento con il talamo: il clubbing. E sì, perché se non fai clubbing a Berlino, non sei trendy, sei out, non sei cool, e se non sei cool, poi ti prendono per il cool e torniamo all’inizio del post.  Qui devo registrare amaramente le prime defezioni: le coppie di amici ci avevano già salutato dopo cena, avvertite in anticipo del probabile epilogo della serata dalla CIA, pronta a tutto pur di evitare il possibile tracollo europeo a causa della formazione di improvvisi buchi neri alcolici; M, l'altro atesino, si ritira, perché la presenza contigua di due alto altesini in un club di Berlino è vietato per legge; S e K se ne vanno perché non ricordano più il motivo della loro presenza; L di EL&L e EL di L&EL ci salutano perché seguono un rigido rituale dell'accoppiamento. Perciò, rimangono Lord-enzo e Lord-enza, che con il pieno di gasolio possono andare avanti due giorni; P, che essendo iberico inizia solo ora a svegliarsi; J, che ha già dato il suo beneplacito al proseguimento della festa; io, che di mia spontanea volontà obbedisco agli ordini di J; e Vierino, al quale va la menzione d'onore: un uomo che è da anni allo stato terminale dell'indipendenza alcolica e che, nonostante questo, infischiandosene del nostro barbugliare galoppante, decide di restare fino alla fine, a fianco del suo amico. Mi viene il sospetto che sia stato colpito nuovamente da omosessualità fulminante, ma il dubbio non fa tempo ad insinuarsi dentro di me che siamo già arrivati.

Kater Holzig. Giuro, non è una parolaccia, ma il nome della discoteca. Attendiamo pazientemente in fila, mentre orde di zombie attirati dalle sonorità elettroniche provenienti dall'interno vengono rimbalzate senza pietà dalla selezionatrice. Quando arriviamo davanti, tiriamo fuori il poker d'assi: siamo qui per festeggiare i quarant'anni del nostro compare di avventure. Lei fa sì sì e poi chiede a Lord-enzo la carta di identità. Gli italiani vengono preceduti sempre dalla loro buona fama. Risolte le pratiche burocratiche, ci inoltriamo in questa specie di stalla elvetica piena zeppa di vacche, tori e buona musica spacca timpani. Di un guardaroba, neanche l'ombra, così iniziamo la nostra personale sauna trasudando spirito in abbondanza. Dopo due o tre giri di danza, ci facciamo largo nella folla e raggiungiamo la console, dove finalmente possiamo appoggiare le giacche. Il ripiano è inclinato e assistiamo a vere e proprie scene di equilibrismo, con il più degli avventori che non si rende conto di questa proprietà fisica e cerca invano di riporvi i bicchieri vuoti che, puntualmente, si sbriciolano giù al suolo. Un tale se ne sta dietro di noi, immobile. Gli schiocco le dita davanti al viso, ma nessuna reazione. Provo con una vasectomia, ma niente. Una statua. Allora, mi focalizzo su Vierino, al centro dell'attenzione, essendo l'unica persona a indossare una camicia. Qualcuno gli si avvicina e gli domanda cosa mai sia quella strana maglietta con le maniche lunghe e i bottoni; altri sono convinti che sia un tatuaggio tribale. Una ragazza si innamora perdutamente di lui e lo omaggia con dei coriandoli. Nessuna reazione e quindi il sospetto iniziale mi si ripresenta, ma rafforzato dall'evidenza - Vierino si difende attaccandosi a improbabili fattori estetici della fanciulla che non raggiungerebbero gli standard minimi, ma la legge del dopo le tre vai bene anche te è universale. 

Tutto questo movimento ha messo in stato di agitazione la mia non più giovane vescica. Devo raggiungere un orinatoio il prima possibile, altrimenti potrei non essere più in grado di rispondere delle mie azioni. Fendo la pista con un machete, atterro un paio di persone con dei placcaggi da manuale e in soli venti minuti raggiungo il bagno, che scopro essere misto. E, quando dico misto, intendo una fila di donzelle che attendono che i loro sanitari appositi si liberino mentre i maschietti, schierati davanti all'orinatoio a parete, provano a liberarsi di quello che non riescono più a trattenere. Così, da un lato abbiamo uomini grandi e grossi che, sotto l'occhio incuriosito di ragazze più maliziose di altre, hanno un blocco psicologico che cercano di risolvere immaginando dentro di loro lo scrosciare di maestose cascate; dall'altro, signorine ignare che, una volta entrate in questo girone dantesco e resesi conto della situazione, fuggono via inorridite. In mezzo, ci sono io, forte della massima Ubi maior, minor cesso, tetragono a ogni tentativo di pressione psicologica: potrei espletare il tutto anche se iniziassero a riprendermi con una telecamera e mi chiedessero di fischiettare la quinta di Beethoven. Con qualche fluido in meno, abbandono Sodoma e Gomorra e ritorno da dove me me ero venuto. Il tipo immobile è sempre lì e ancora immobile. Devono averlo scambiato per un attaccapanni, a giudicare dal numero di giacche che gli pendono dal naso. E, mentre cerco un defibrillatore, avviene il numero circense della serata: un uomo, un uomo senza paura, sfida la sorte ed emerge da un  compatto mucchio di persone reggendo quattro cuba libre. Quell'uomo, signori, ha un nome, un nome che dovete segnare e tramandare per generazioni: Lord-enzo. Applausi a scena aperta e contratto firmato in diretta con il Cirque du soleil.

I veri campioni sanno quando è tempo di ritirarsi. Ci avviamo all'uscita, mentre la folla omaggia ancora il fenomeno brizzolato. Cinque e mezza del mattino: meglio tornare nelle nostre catacombe, prima che le luci dell'alba ci inceneriscano. Saliamo, tramortiti, sul taxi e… e non abbiamo fatto i conti con l'oste. L'oste spagnolo, P, che posseduto da una vorace fame chimica, ci esorta a seguirlo in una scorpacciata luculliana. Vox clamantis in deserto, un deserto neuronale ormai devoto solo al culto di Morfeo. Perciò, decliniamo l'invito. P la prende bene, tira il freno a mano bestemmiando in svizzero tedesco e si fa lasciare davanti a un Burger King. E con questa immagine, di canini che triturano orde di double whopper, vi lascio anche io. Scrivere questa prima parte mi ha spossato. Ho bisogno di energie. Meno male che hanno inventato i kartoffeln. Buona settimana a tutti e al prossimo episodio!

lunedì 14 ottobre 2013

Conati con la camicia




Bene. Tre taxi parcheggiati. Guardo il tassista con quell'espressione di supplica tipica del viaggiatore seriale, per piacere mi porti al più presto dove devo andare, e il tassista ricambia con un cenno di assenso che mi autorizza ad aprire la portiera della macchina.

È un caldo giovedì di luglio. Una di quelle serate afose milanesi dove si suda e ci si schiaffeggia parti del corpo a caso nella vana speranza di schiacciare quell'avvelenatore esistenziale  conosciuto con il nome di zanzara. Zzz...

Apro parentesi amena per niente attinente al post  ma che sono obbligato a scrivere a causa delle associazioni libere di cui sono schiavo - eh?! Se Zara è il tempio degli acquisti da portafogli depresso, proporrei il nome ZanZara per quelle catene di negozi in cui, una volta pagato, si ha la sensazione non solo di averlo alleggerito, quel portafogli, ma di aver subito un vero e proprio prelievo di sangue - ci si svena non a caso.

Al tassista di tutto ciò poco interessa, soprattutto della parentesi amena, di cui anche io farei a meno. E poco gli interessa anche del sottoscritto, visto che, dal momento in cui apre il bagagliaio a quello in cui rientra al posto conducente e gira le chiavi, compresi i successivi cinque minuti, continua a parlare senza sosta al cellulare. Si interrompe solo un paio di volte. La prima per chiedermi 'Dove?' e la seconda per ribadire il concetto: 'Dove?'. Risponderei anche, se solo stesse a sentirmi.

Il tono della voce mi lascia intendere che il tizio è adirato. Mi sfugge il centro nevralgico dell'incazzatura, ma me ne faccio una ragione. Poco dopo è lui stesso a darmi una spiegazione. Il cliente prima di tutto.

'Scusa, eh, ma prima ho portato in stazione un ferroviere. Un macchinista. Sai, sono sempre di fretta (i macchinisti, ndr). Loro pagano con gli sms, ma vanno di fretta. L'ho mollato giù prima e ora non so se il pagamento è andato a buon fine. Rischio di perdere 15 euro, mi sta sul cazzo!'. Cantami, o Diva, del Pelide Achille l'ira funesta.

E' notorio che la fretta non porta mai a nulla di buono. Però se pigiasse di più sul pedale dell'acceleratore, non me la prenderei più di tanto. Giuro.

'Stasera c'è un bel concerto'
'Come?', domando, ancora con il pensiero rivolto al macchinista.
'No, dicevo, i Depeche Mode'
'Ah, certo!', rispondendo alle sue associazioni libere freudiane, non meno sgangherate delle mie. 'Suonano a San Siro, no?'
'Sì. Prima ci ho portato un gruppo di ragazzi. Certo che… No, volevo capire…'

Sono pronto. Qualcosa si sta muovendo nei suoi meandri neuronali. Sento produzione polemica.

'… ma adesso ai concerti si va tutti tirati?'

In che senso? Lo penso, ma non lo dico. Non vorrei interferire con il suo soliloquio.

'No, prima ho portato un gruppo di ragazzi. Lui, preciso, incamiciato. Le amiche, vestito e scarpe coi tacchi. Che ne so, magari erano ospiti nel settore vip'

Settore vip? 'Vanagloria: i pettinati'?

'Perché io, quando andavo ai concerti, mica mi mettevo la camicia: jeans, maglietta e via. Poi con questo caldo? Volevo chiedergli (n.d.r: sì, dovrei scrivere 'chiedere loro', ma ipse dixit), ragazzi, ma non morite così? Una sauna di sudore. Poi ho pensato che non erano cazzi miei come vanno vestiti a un concerto'

L'osservazione non fa una piega - nella camicia.

'No, poi chi è che deve andare a riprenderli questi ragazzi?'. Io cerco di rispondere, ma il monologo è inarrestabile, uno tsunami di vocali e consonanti.

'Ecco, così devo tenere giù tutti i finestrini. Va be', sono ragazzi, è giusto che si divertano'.

E lui, è giusto che si guadagni da vivere con il sudore, quello degli altri? Domande senza una risposta. A quel punto ho pensato, parlo ora o taccio per sempre. E così, gli racconto di quel dicembre di un paio di anni fa quando, reduci da una serata di lunghe danze e molte bevute, io e un paio di amici - quelli che non ti abbandonano mai prima  che l'ultima goccia di spirito sia stata aspirata, scomparendo dalla bottiglia per schiantarsi pochi secondi dopo, stragista epatica, contro provati e malandati fegati - ci siamo infilati in un taxi per continuare, in un luogo più intimo e famigliare, con le buone abitudini. Quelle da alcolizzati. E gli descrivo la reazione del tassista quando, una volta saliti, ci ha domandato, con ricercatezza linguistica:

'Ragazzi, ma quanto cazzo avete bevuto?!!', probabilmente destabilizzato dagli effluvi alcolici evaporati nella sua macchina. Certo, fosse stato questo tassista alla guida, avrebbe pensato la stessa cosa ma non avrebbe detto niente perché, si sa, 'sono ragazzi, è giusto che si divertano'.

Invece, ecco che il suo pensiero, ancora pregno del sudore da concerto, mi viene rivelato.

'Vedi, il problema non è quello. Il problema è se il cliente tiene. Se si lascia andare, è una tragedia: finisci il turno e non lavori nemmeno il giorno dopo, perché devi portare la macchina a lavare'.

Già. Mi ricorda qualcosa. Il primo diciottesimo a cui sono andato, un giugno di troppi anni addietro - diciannove estati fa. Memorie vaghe. Bottiglie vuote, stomaci pieni. Io, capellone diciassettenne  sdraiato sopra un manto erboso, incapace di alcuna interazione con il mondo esterno. Y. che chiama il taxi. Io, capellone diciassettenne  sdraiato sopra un sedile, incapace di alcuna interazione con il mondo esterno. Una voce, quella del tassista - immagino.

'Il tuo amico ce la fa fino a casa?'

La voce di Y. - immagino

'David, vuoi che ci fermiamo?'

La mia voce - immagino, anche se credo che un esorcista avrebbe avuto un'opinione del tutto diversa.

'No, no. Ce la faccio'

Un minuto dopo, l'eruzione del Vesuvio. Lezione fondamentale: mai credere a un cliente ubriaco.

Già. Mi ricorda qualcos'altro di cui ho parlato in un post, Gang bangs of New York -parte terza, in cui citavo, tra l'altro, anche l'episodio appena raccontato. Temi che mi perseguitano. Freud, nella versione secondo David, direbbe che il taxi rappresenta l'utero di mia madre, il tassista mio padre, il vomito il senso di colpa per aver desiderato mia madre. Io, invece, potrei dire che la nausea mi si risveglia solo al pensiero di. E poi, diciamolo, mia madre ha le tette piccole, non è mai stata il mio tipo - fortuna che i miei ignorano l'esistenza del blog. In ogni modo, dopo l'Edipo, ecco che mi ritrovo su un taxi newyorchese in corsa con la porta spalancata e un drago erutta fiamme da tenere a bada, un Pollock futurista del conato che disegna ghirigori sull'asfalto della grande mela. L'importante è non perdere mai di vista l'afflato artistico. Però, prendi l'arte e mettila da parte.

'L'altro giorno, per esempio, ho litigato con un avvocato'

La voce di… perso nella ricerca del tempo perduto, cerco di riemergere nello spazio tempo. 'Scusi?'

'No, l'altra notte. Sarà stata l'una, una e mezza. Mi chiamano in viale Papiniano. Arrivo e mi vedo questo tizio distinto, con la barba, e una ragazza seduta sul marciapiedi. Lei non ce la faceva proprio'

Tiene o non tiene? Il dilemma del tassista, affrontato in una notte di baldorie anche dal grande matematico Nash, cosa che, tuttavia, non compare nella sua biografia ufficiale. Cospirazione salutista.

'Insomma, li carico e dopo un paio di minuti la ragazza mi vomita in macchina. Eh, no, dai! Lei si scusa, imbarazzata, e mi prega di portarla a casa, mi paga l'autolavaggio. Io le dico che sono cento euro e lei risponde che va bene, nessun problema. Poi vomita di nuovo'.

Vorrei fare un'obiezione: se devo pagare cento euro, mi sentirei in diritto anche io di cambiare l'arredamento della macchina a mio piacimento. Vorrei farla, ma me lo impedisce un conato di pusillanimità.

'Quando arriviamo, il tizio dice che lui paga solo la corsa, venti euro. Sì, venti schiaffi. A quel punto mi incazzo e gli ricordo che la sua ragazza ha promesso di darmi cento euro per il lavaggio. Be', il tizio mi dice che è un avvocato e che i cento euro me li sogno, lui paga solo la corsa. Hai capito che figlio di puttana? Oh, lì non ci ho visto più: mi è salito il sangue alla testa.'

Ogni tanto che salga nelle zone alte, e non solo in quelle basse, è salutare, davvero. Ma taccio di nuovo, perché io, con un tassista, di circolazione non mi metto a discutere.

'Gli ho detto che i soldi se li poteva tenere e che adesso lo riempivo di mazzate. Cazzo, quante ne prendeva! Deve ringraziare la sua ragazza che si è arrabbiata con lui,  ha tirato fuori i cento euro e mi ha pagato. Robe da pazzi.'

E dissertando di massimi sistemi e di pazzia, giungiamo a destinazione.

'Sono 14 euro'

Gliene allungo 15. Un euro lo lascio come cauzione, non si sa mai. Scendendo dal taxi, di fronte al portone di casa, rifletto su un paio di cose. Intanto, che nulla contenuto nel mio stomaco doveva risalire come un salmone lottando contro la forza dei succhi gastrici. Pensiero tranquillizzante. E poi che a me, i tassisti, piacciono così, mentre ti scarrozzano in giro per la città raccontandoti qualche aneddoto. D'accordo o meno, non importa. Ascolto le loro storie. Alcune, spesso, interessanti. Questo post non è mio: me l'hanno regalato e io, questo regalo, lo accetto volentieri. Buona settimana a tutti!