martedì 26 febbraio 2013

Meno Mona per tutti

Cosa ci faccio alla vigilia di Capodanno sveglio alle nove del mattino? Forse 'sveglio' è troppo forte. Riformulo. Cosa ci faccio alla vigilia di Capodanno in piedi alle nove del mattino? Per la risposta mi basta una parola sola: la fila. No, non sono in Italia, quindi escludiamo le poste. E visto l'orario mattutino, non mi sono scolato nemmeno un paio di pinte di birra, quindi anche la fila al bagno la eliminiamo. Considerando che sono a Parigi e che davanti a me si estende una lunga serpentina composta in prevalenza da italiani con piumino lucido che mai hanno messo piede in un museo, americani che hanno scoperto la capitale transalpina grazie al film di Woody Allen e sono convinti di trovarsi come guida Ernest Hemingway, e orientali in assetto automatico da foto, direi che sono nel limbo di sofferenza che precede l'entrata al Louvre. Almeno, è quello che credo, considerando lo stato catatonico indotto da narcolessia in cui sono precipitato nel momento in cui la sveglia ha iniziato a suonare. Troppo, troppo presto. L'io sono lascia posto all' io sonno. Peccato che solo il primo paghi il biglietto. J, colonna portante, ultimo baluardo che si frappone tra il mio corpo, gli effetti della narcolessia e il gelido asfalto, mi conferma l'ipotesi del museo, e non vedo perché non dovrei crederle, a meno che non si tratti di un bieco sotterfugio, un inganno premeditato per trascinarmi, contro la mia volontà facilmente plagiabile, in un labirinto sotterraneo di negozi, la selva oscura in cui mai vorrei entrare e da cui uscire solo dopo ore di interminabili peregrinazioni capaci di trasformare anche il più duro dei navy seal in un'ameba priva di qualsiasi funzione vitale. Per questa metastasi della società moderna, purtroppo, non hanno ancora inventato un corso di sopravvivenza adeguato.


Quando ritiro i biglietti alla cassa, mi commuovo. Vorrei quasi baciare la cassiera, ma so che J prenderebbe questo semplice gesto di gratitudine come un atto di ostilità, perciò lascio perdere. Piccola riflessione: ora capisco il proverbio 'Prendi l'arte e mettila da parte'. All'inizio di ogni fila dovrebbero scrivere 'Nuoce gravemente alla salute'. Il Louvre è come la vita: un lungo, ma neanche tanto, percorso disseminato di decisioni da prendere. Da che sala iniziamo? Dopo esserci arrovellati il cervello fino a raggiungere lo stato di fusione del nucleo, il dado è tratto: il ristorante. Non sarà forse pieno di capolavori, ma senza colazione sono sicuro che, in un paio di ore, il museo potrebbe aggiungere alla sua collezione il primo esempio vivente di natura morta. Con lo stomaco gonfio di croissant l'animo è più propenso a cogliere il bello. E allora la scelta non può che essere una e una sola: il rinascimento italiano. Da non confondere con Do Nascimento, meglio conosciuto come Pele e che ha più a che fare con l'estetica del gioco del calcio che con la pittura toscana, veneta o lombarda. Certo, a giudicare dalla massa di gente che ci precede, sembra più di essere all'ingresso di San Siro che in un tempio mondiale della cultura. L'impresa è più ardua del previsto. Moviola in campo, procediamo a piccoli passi alla volta, al rallentatore, sballottati da un quadro all'altro, immersi in un crogiolo stereofonico di lingue prodotto da preparatissime guide che, di fronte a un ammasso di persone che scambiano i simboli uomo - donna sulle porte delle toilette per antichi geroglifici egizi, spiegano i rapporti che legano la nascita della prospettiva e del tonalismo con il soffrire di emorroidi.

Io, però, non demordo. Voglio arrivare fino al traguardo, cadere sulle ginocchia alzando le braccia al cielo e intonare inni di gloria mentre il soffitto va a pezzi, la stanza viene pervasa da una luce abbagliante e odo una voce che mi dice 'Ricordati a mezzanotte di chiamare tuo nonno per fargli gli auguri di compleanno!’. Mia madre è previdente, anche in caso di visioni mistiche. Fortuna che ho il prezioso supporto di J, che capisce il momento di difficoltà e mi benedice con parole teutoniche di significato a me ignoto. Scherzando con il sacro, finisce che i miracoli avvengono per davvero: arrivati a metà sala, non c'è più nessuno. Il deserto. Una Milano d'agosto tappezzata di cartelloni pubblicitari piuttosto interessanti. Lo stupore è dipinto sul mio viso con la tecnica tanto cara a Caravaggio della luce radente. Ah, no, quella cosa scura è solo la mia barba. Comunque, un vero mistero. Forse è un'usanza parigina. Oppure sono tutti scappati in bagno per sciorinare troppa cultura assorbita così velocemente. Il dubbio mi possiede per tutto il tempo in cui percorro la chilometrica stanza, passo per il via, ritiro le ventimila lire che se me le cambiavano in euro preferivo e ritorno nel mezzo del cammin di nostra vita da esploratore seriale di musei. E poi, apro gli occhi. E capisco.

Purtroppo.

C'è una sala. Adiacente. Una sala stracolma di gente. Una sala stracolma di gente che scatta foto e gira video in un tripudio di smartphone, tablet e flash. Cavolo, ci deve essere qualcuno o qualcosa di importante. Il presidente Hollande? Bar Refaeli? Una degustazione di escargots d'annata? Mi infilo nella mischia come un pilone del rugby, cercando di farmi largo in quella massa compatta e impenetrabile. Finalmente, raggiungo la distanza ottimale per dipanare l'intrigo. E la vedo. Se ne sta lì, immobile, con quella sua cazzo di espressione ironica rivolta, credo, alla marea di babbei che la circondano. La Monna Lisa. O Mona Lisa, all'inglese, roba da goliardia veneta. Lo confesso, da un momento all'altro mi aspetto qualcuno gridare 'Lisa, Lisa, qui, una foto, Lisa!'. La cosa bizzarra è che di fronte al capolavoro di Leonardo se ne può ammirare un altro, di capolavoro, questa volta del Veronese, 'Le nozze di Cana': un dipinto che solo per le dimensioni vi lascia con quella tipica espressione ebete, quella con la bocca spalancata - e poi dicono che le dimensioni non contano. Peccato che a quel dipinto quasi nessuno presti attenzione, tutta rivolta a lei, la Gioconda, vera icona del mondo dell'arte. E allora, di fronte a questi ultras di Leonardo, non ho potuto fare altro che alzare bandiera bianca, osservare di sfuggita un quadro che posso contemplare meglio seduto sul divano di casa mia sfogliando una buona edizione di qualche libro sulla pittura nel Rinascimento, prendere J per mano e andarmene via, il più lontano possibile, e il più velocemente, perché la vescica di un trentaseienne è traditrice. Spero solo che un giudice illuminato diffidi tutti quei tifosi esagitati della dama fiorentina ad entrare almeno per un anno in un qualsiasi museo, obbligo di firma in questura incluso. Buona settimana a tutti!

p.s: gli auguri, a mio nonno, mi sono ricordati di farli. 93 anni, l'ultimo dei quali passato tra un'operazione di bypass, una di cancro alla prostata e la chemioterapia. Guarito completamente, perché, come mi ha detto, 'A me piace la vita e non ho nessuna intenzione di andare all'altro mondo,'. Anche lui è un capolavoro. Di ottimismo