martedì 25 agosto 2009

Ma il tartufon è sempre si bon?

Sapete qual è il posto più popolato di francesi dopo la Francia? Il Clara di Tel Aviv: francesi che ballano sui tavoli, francesi che pisciano nei bagni, francesi che rimorchiano delle francesi che rimorchiano altri francesi, francesi i pierre pronunciato alla francese e francesi puri i biglietti che paghi profumatamente all’entrata. Profumo francese. Siccome sono un tipo raffinato e la mattina intingo le lumache dentro al café au lait, pago, entro, faccio un giro e bevo rum e coca colà, voilà! A pochi metri da me una ragazzà, seduta su uno sgabelloné, la gambe incrosciaté, richiama la mia attensione con un sgesto très chic della sua maninà. Ici, ici. Io non me lo fascio ripetere due fois e mi avviscino con lo sguardo pieno di amour, vedi alla parola baguette.

Tu parle français”?A Tel Aviv è la prima cosa che mi verrebbe in mente di domandare.

“Un petit peau”

“Hai un po’ di erbà?”, in franscese, ça va sans dire

“No, désolé”


Si volta e, con la meme maninà di prima, mi fa segno di allontanarmi. Vite, vite!Ma come, e l’amour? E io che sgià mi vedevo sulla tourre Eiffel a cantar vive la France al suono dell’accordeon, scene a lume di candela e bolliscine di champagne?!! Non mi resta che il rum e coca colà: anche ici ci sono le bolliscine, solo che i rutti, con questi, sono pas très chic!

martedì 4 agosto 2009

La maglia rosa, la maglia gialla e la maglia... nera

Venerdì, ore cinque del mattino. Cinque e zero uno, tanto per ricordare che siamo in Svizzera. Dopo fondamentale tappa acquisto doner kebab per lenire fame chimica da sbronza acuta, ci si avvia verso casa. In bici. Perché questa è la geniale idea partorita da menti offuscate alle cinque e zero tre e qualche secondo – due, per la precisione. N. è pronto a scorazzarmi su e giù per le strade di Zurigo. Io, che di certo non mi tiro indietro, appoggio il mio sedere appesantito da qualche bicchierino di vodka di troppo sul portapacchi, saluto con la manina e via, si parte. Non avremo fatto neanche duecento metri – centonovantanove e ottantacinque – quando ci si affianca una macchina della polizia: il poliziotto lato passeggero abbassa il finestrino ed emette strani suoni gutturali che, qui mi dicono, prendono il nome di svizzero tedesco.

“What?”“You can’t ride a bicycle in two. Get off !”


Sembra piuttosto incazzato. Scendo. La macchina riparte, svolta a sinistra e sparisce. Io salgo di nuovo sulla bici. Tempo di due o tre pedalate – erano tre, sicuramente – e questa volta ci si affianca un furgoncino della polizia. Sembra uno scherzo ma giuro, è tutto vero. Il poliziotto a lato passeggero, più grosso, rasato e incazzato di quello di prima, inzia ad abbaiare delle consonanti e delle vocali che, qui mi dicono, prendono il nome di svizzero tedesco.


“What?”“You can’t ride a bicycle in two. Get off !”
Deve essere l’unica frase che imparano in inglese. Scendo, mi avvicino al furgoncino sbiascicando qualcosa del tipo: “Really?”Per molto meno c’è chi qui in Svizzera è stato trasformato in un Emmenthal.

“Yes. Get off and walk!”

Per scendere, comunque, sono già sceso.


Il furgoncino riparte, svolta a destra e sparisce. Io salgo ancora un’altra volta sulla bici. Ripartiamo. Niente più macchine della polizia, niente più furgoncini. Penso. Penso a cosa potrebbe succedere se ci fermasse lo stesso poliziotto di prima. A cosa avrebbe potuto succedere. Il pensiero dura esattamente un millesimo di secondo: in fondo, chissenefrega!!!