lunedì 31 maggio 2010

Anche i ricchi piangono. Cristal

Non ho molti ricordi di quando avevo due mesi, ma so che facevo, bene o male, quello che facevano tutti i bambini di quell’età: poppavo, piangevo, mi cagavo addosso, mangiavo e dormivo. O forse era l’altra notte, dopo la decima vodka? Voglio dire, se al posto di un bambino di due mesi ci fosse un cucciolo di bonobo, sarebbe la stessa cosa, solo più pelosa. E la storia dell’uomo è così: parte avvolto in un pannolino per finire novantenne raggrinzito avvolto in un pannolone. Quindi il senso della vita, se c’è, è lì, in mezzo agli escrementi, tra un paio di chiappe. Altro che Dio, l’assoluto, i massimi sistemi ed Eva Herzigova. In ogni modo, Nathan Falco Briatore. Io sono sicuro che Nathan Falco, dato alla luce dell’ignoranza il 18 marzo scorso che fanno la bellezza di due mesi e tredici giorni, io sono sicuro che Nathan Falco non si caga addosso. Poppa sicuro, perché anche io se avessi come mamma la Gregoraci starei tutto il giorno attaccato al suo davanzale. Mangia, forse. Purtroppo, non dorme più e piange. Piange tanto. Una fontana di lacrime. La causa sembra essere il fatto che il pargolo, resosi conto di che razza di genitori il potentissimo presidente nonché amministratore delegato dell’Universo gli ha affibbiato, è stato vittima di uno shock così forte che pare abbia smesso persino di leggere La critica della ragion pura di Kant. D’altronde, Adonai, quando si impegna, raggiunge gradi di stronzaggine mica male. E questo non è niente perché, come sapete, c’è un evento nella breve ma intensa vita di Nathan Falco Falco Nathan ancora più tragico. Drammatico. Funesto. Luttuoso. Sventurato. Preparate i fazzoletti. La guardia di finanza ha sequestrato il modesto barchino di sessanta metri di Flavio Briatore, il Force Blue. Sessanta metri. In Svizzera una roba così in genere ha un lago e delle montagne e la chiamano città. Nathan Falco, privato del suo confortevole giaciglio, non è più sereno. Non riesce a concentrarsi. Fa fatica a evadere le tasse e non ride più quando guarda la Pupa e il secchione. Giuro, quando ho letto la notizia, mi sono cascate le braccia. Non ci potevo credere. Non posso crederci. Non devo. Non devo abituarmi all’idea che delle cose così ingiuste capitino e continuino a capitare. È mostruoso. O Signore, che mi hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, come puoi tu, tu, lasciare accadere una cosa del genere? Cosa c’è, hai mangiato pesante ultimamente? Ci hai già piagato con i tronisti, perché continui ad accanirti? Ma tanto è inutile, Lui si avvale sempre della facoltà di non rispondere e Nathan Falco continua a piangere e piangere. Poi ci si stupisce se la gente si droga. Mettiamo la parola fine a tutte questa sofferenza. A questo dolore straziante. Aiutiamo i Briatore. Per piacere. Qualche consiglio che mi sento di dare, dal profondo del mio cuore:

1. Flavio, non fare il barbone e compra un altro yacht. Però, questa volta, prendine uno più adatto alle esigenze del pupo. Tipo un transatlantico, così poi ci metti pista e trenini. In versione reale.

2. Elisabetta, stai vicino a tuo figlio in questo momento difficile. Tienilo vicino a te. Stringilo su tutto quel ben di Dio. Raccontagli la favola della bella addormentata nel sottobosco di nani e ballerine che si innamora del principe azzurro con il doppio dei suoi anni che tanto non ci crede nessuno.

3. Nathan Falco, cosa vuoi che ti dica, al peggio non c’è mai fine. Tuttavia, non ti lamentare troppo: pensa al figlio di John Elkann e Lavinia Borromeo che si chiama Oceano!

Buona settimana a tutti, anche ai Briatore!

p.s: per correttezza di informazione, Elisabetta Gregoraci ha dichiarato “Non ho mai detto che mio figlio, Nathan Falco, non riesce a vivere senza lo yacht: si tratta di dichiarazioni ridicole e insulse che non mi appartengono.”. Appartengono a Nathan Falco. Saluti.

mercoledì 26 maggio 2010

Donna al volante...

La testa mi penzola e gli occhi faticano a rimanere aperti. Non è l’effetto di un oppiaceo ma la conseguenza di tre giorni di corsi aziendali e di qualche birra di troppo. E sono di nuovo in viaggio. Scambio qualche parola con i miei colleghi mentre il taxi diretto verso l’aeroporto attraversa le trafficate strade di Richmond. Le lunghe pause di silenzio sono sintomo di stanchezza più che di carenza di argomenti; d’altronde, si può conversare sul nulla per ore. Ho bisogno di dormire. Svoltiamo a sinistra, in una via a senso unico. E ci fermiamo. Davanti a noi, un Mercedes fermo, una giovane donna alla guida che gesticola e un bambino che strilla. Poco più avanti, un furgone per i traslochi e dei tizi intenti a trasportare, con fatica, scatoloni di mobilio. Cerchiamo di capire cosa sta succedendo, anche se lo stato di torpore non è la condizione ideale per analizzare eventi e situazioni. Le cose stanno così: il furgone è parcheggiato leggermente di traverso, ovvero, ruote e muso spuntano fuori dalle linee di demarcazione apposite. Il disagio psicologico creato alla giovane donna è grande. Esageratamente grande. Incommensurabile. Non avere spazio per proseguire è davvero antipatico. Essere in balia di qualcun altro è piuttosto spiacevole. Farci perdere l’aereo, tuttavia, lo sarebbe molto di più. Io la potrei capire, la giovane donna. Potrei, ma non posso, perché se invece di guardare dritta davanti a sé come quei cavalli con i paraocchi provasse a voltare la testa a sinistra, si accorgerebbe subito di quei due metri di spazio utili per sterzare tutto a sinistra e ripartire. Sarebbero sufficienti anche a un camion per fare manovra ed è probabile che basterebbero a un Boeing per un atterraggio di emergenza. Uno dei miei compagni di viaggio tira giù il finestrino e informa la Schumacher inglese dell’esistenza di questo spazio inutilizzato. Ma lei, niente. Nell’ipotesi che sia sorda o quanto meno poco avvezza all’uso delle parole, io, da dietro, mi esibisco in una pantomima e cerco di fornirle indicazioni vitali. Ma lei, niente. Alza le braccia come a dire, non posso farci nulla. L’autista percepisce la nostra impazienza e, per evitare che venga incanalata in qualche istinto omicida, scende e si avvicina alla macchina. Assistiamo a uno scambio di vedute. Lei alza le braccia. Non può farci niente. Il taxista torna indietro. Sconfitto. “Dice che non riesce a passare e in più il suo bambino continua a strillare”. Non cogliamo il nesso, deve essere umorismo inglese. Intanto, si sta formando una fila chilometrica. Qualcuno suona il clacson, ma con delicatezza. In Italia sarebbe già partita una fanfara di clacson con tanto di direttore e coro. Aspettiamo. Il mio collega polacco esprime nella sua lingua qualcosa di cui ignoro il significato, anche se posso farmene un’idea. Dubito siano complimenti. Potremmo stare ore così, fermi, ma lo spettacolo non è dei migliori. Certo, sempre meglio di Ciao Darwin. Poi, il deus ex machina si materializza nelle sembianze di un ragazzo con l’aspetto di picchiatore professionista che sale sul furgone, mette in moto e si allontana. La giovane donna mette in moto e si allontana. Il bambino strilla. Il taxista mette in moto. Noi strilliamo. Superiamo la giovane donna. Il bambino continua a strillare. Venti minuti dopo arriviamo all’aeroporto. Puntuali. Check in, controlli di sicurezza, il giornale e un panino e sono già seduto al mio posto. Giusto il decollo, poi crollo direttamente in fase rem. Shiny happy people. Zurigo, sto tornando. Ah, dimenticavo, volete sapere cosa strillava il bambino? “Cazzo, non lo vedi che hai due metri alla tua sinistra, gran pezzo di idiota?!”. Buona settimana a tutti!

lunedì 17 maggio 2010

Il Maggerone di Higgs

Nel 1964 Peter Higgs, fisico scozzese, teorizzò l’esistenza del bosone – da non confondere con il busone, il cui campo di applicazione è, nello specifico, il buco nero –, una particella elementare che renderebbe possibile la massa nell’universo. Il bosone di Higgs, noto anche come la Particella di Dio, è solo un’ipotesi, in quanto non è mai stato osservato sperimentalmente. In teoria, potrebbe essere una delle prossime scoperte ottenute grazie al Large Hadron Collider del CERN. Per il momento, rimane una speranza. Tuttavia, non molti sanno dell’esistenza di una particella molto più importante che fu osservata qualche decennio prima dal papà di Higgs, Piersilvio Higgs: il Maggerone di Higgs.

Tanto tempo fa – no, non quando l’Inter vinse la Coppa dei Campioni, quello è ancora più tempo fa – un gruppo di scienziati, desiderosi di conoscere il mistero dell’Universo, si recarono in una città conosciuta come Zurigo alla ricerca di un posto dove poter appoggiare il proprio fisico sedere e nutrire il corpo con generi alimentari indigeni. Il tipico ristorante svizzero. I quattro, convinti di dover affrontare una semplice fondue o delle innocue raclette, non sapevano ancora a cosa stavano andando incontro. Aprirono il menu e videro una lista infinita di Maggeroni. Il profano, nell’abisso della sua ignoranza, potrebbe pensare che si tratti di normale pasta. Invece no. Il Buddha, sotto l’albero della Bodhi, raggiunse il Nirvana proprio quando ne intuì la sostanziale differenza. L’Illuminato. Neo riuscì a sconfiggere Matrix proprio grazie al Maggerone. Il velo di Maya è crollato. Così, i nostri protagonisti si immersero nella lettura. Alpenkalb maggerone. Sì, così nacquero le Alpi. Arbeiter maggerone, perché il maggerone nobilita l’uomo. Tessiner maggerone. Il canton Ticino. Ora capite il perché di quell’accento. Harakiri maggerone. Se solo avesse saputo, Yukio Mishima ci avrebbe pensato due volte prima di commettere in diretta televisiva quel tristemente tragico suicidio rituale. I quattro scienziati esaminarono tutte le possibiltà prima di prendere una decisione. Che fu presa. Intanto, due di loro cercavano di attrarre verso di sé l’orbita della cameriera. Ignoravano, gli ingenui, che l’ultimo che aveva provato ad adottare questa tecnica era stato ritrovato mesi dopo a vagare in stato confusionale nelle montagne elvetiche convinto di essere un mufflone. Il Maggerone non perdona. Pochi secondi di attesa – perché il tempo, davanti al maggerone, si curva – e i pentoloni pieni della particella originaria vennero portati in tavola. “Mai, scorderai, l'attimo,la terra che tremò. L'aria, si incendiò, e poi, silenzio”. In religioso silenzio, appunto, iniziarono a mangiare, mentre le ore, i giorni, gli anni passavano. E loro, tetragoni ai colpi di ventura, continuavano a nutrirsi dell’origine di tutte le origini. Bereshit bara Elohim et hashamayim ve'et ha'arets: in principio il Maggerone creò il cielo e la terra. Rabbi Akiva non era d’accordo sull’interpretazione, ma si sa, lui preferiva la fondue. E mentre assaporavano il brodo primordiale, ebbero una visione. Un acceleratore nucleare. Due mucche. Sì, perché fu proprio così che Piersilvio Higgs scoprì LA particella. Costruì artigianalmente un acceleratore nucleare, ci infilò dentro due mucche e le fece girare alla velocità della luce fino all’inevitabile scontro. Dalla prima collisione nacque l’UBS. Di gran lunga peggio dell’ipotesi del buco nero in grado di risucchiare il pianeta. Dalla seconda collisione nacquero i format televisivi di Maria de Filippi. Con la terza collisione, finalmente, Higgs riuscì a ricreare il Maggerone, che gli apparve sotto le sembianze di Gisele Bundchen, ma si sa, gli acidi, a volte, giocano dei brutti scherzi. Ora era tutto chiaro. Il Big Bang. La gang bang. L’ultimo teorema di Fermat. I déjà vu. La trama di Lost. Perché le donne vanno sempre in due al bagno.

Quando si riebbero da questa surreale esperienza mistica che tanto sarebbe piaciuta a Emanuel Swedenborg, niente era più come prima: L di L&L ora era l’altro L di L&L , l’altro L di L&L ora era la L che aveva raggiunto a Zurigo l’altro L di L&L, la L che aveva raggiunto a Zurigo l’altro L di L&L ora era L di L&L. Unica eccezione, il quarto scienziato, svuotato di ogni neurone, era sempre lo stesso, dato che X per 0 è sempre uguale a 0 per qualunque X finito. Fortuna che il conto li riportò alla solida realtà, per il teorema indimostrabile che il conto va sempre tenuto in conto.

Spero che questo post abbia aperto le vostre menti. Almeno un po’. Vi terrò informati sul destino che attende i nostri protagonisti. Dovete sapere, infatti, che il Maggerone è subdolo e latente: rimane silente nel corpo ospitante fino a quando… Be’, per il momento evito di tediarvi. Sappiate solo che sull’argomento ci hanno già girato un film. L’esorcista. Buona settimana a tutti!!!


lunedì 10 maggio 2010

La sfinge che finge: dalla girellite alla teoria dei giochi - parte seconda

Von Neumann. Non credo che nessuno abbia mai iniziato un post così. Von Neumann. Mi piace il suono che sento quando lo pronuncio. Von Neumann. Ricordo a tutte le menti sopraffine che leggeranno il pezzo – mi includo, visto che quando rileggerò questa seconda parte, probabilmente nel tardo pomeriggio domenicale, la mia memoria soffrirà di estese perdite di dati causa sbronza del giorno dopo, perciò ribadire il concetto è sempre un esercizio di indubbia utilità – che non sto parlando di una malattia incurabile, ma del grande genio matematico e informatico ungherese del secolo scorso. Fu proprio lui, insieme a Oskar Morgenstern, a pubblicare – credo a Princeton –Theory of Games and Economic Behavior. La teoria dei giochi. In parole povere e capibili anche per un tronista, è il tentativo di analizzare dal punto di vista matematico il comportamento umano in quelle situazioni di interazione nella quali, in genere, c’è una posta in gioco e le decisioni di ogni ‘giocatore’ sono influenzate da quelle degli altri. Ci sono, poi, giochi cooperativi e giochi non cooperativi. A me interessa in particolare il secondo caso e la sua applicazione più famosa, il dilemma del prigioniero. Ovvero, due criminali vengono arrestati, confessare o non confessare? Secondo il teorema di Nash – il matematico di “A beautiful mind” - , il migliore equilibrio è dato dalla confessione di entrambi. Secondo Pareto, l’economista italiano, la migliore soluzione è data dalla non confessione dei due criminali, il che, però, non conduce a un equilibrio. Cosa succede, infatti, nel caso uno dei due sospetti che l’altro non manterrà la promessa di non confessare? Scusate, datemi qualche secondo per aspirare i miei calzini e trovare la forza necessaria per andare avanti. Ora, come dicevo, quando ti trovi davanti a un seno così… ah, no, scusate, devo aver confuso post. Peccato. Cosa c’entra tutto ciò con le sfingi? Non ne ho idea, però le tre mummie svizzere, guarda caso, si sono frapposte tra me e la Barbie bionica. La stanno puntando. Tutte e tre. E, siatene sicuri, staranno parlando di qualsiasi argomento – il collasso economico della Grecia (e questo sarebbe sorprendente, visto che i fatti raccontati si riferiscono a quasi un mese fa), la musica seriale, cosa cazzo vuol dire supercalifragilistichespiralidoso, il problema delle risorse idriche e quello ancora più grave dell’eiaculazione precoce–, qualsiasi, tranne uno: lei. La preda da attirare con le pupille spermatiche. La bambola sessuale con cui condividere i migliori cinque minuti della loro vita. Infatti, non possono parlarne. La puntano, ma fanno finta che non interessi a nessuno e sbrodolano parole di circostanza. Ed è qui che la teoria dei giochi ci viene in nostro aiuto. Ci vorrebbe una matrice – si può ridurre tutto a una matrice a due - , ma mi mancano la voglia e le capacità intellettuali. Comunque, se uno di loro accennasse al fatto di essere interessato alla pupa da sballo, scatterebbe subito un campanello dall’allarme negli altri due. Come sapete, l’azione predatoria, nella sfinge, è limitata allo sguardo. Magnetico, almeno secondo la sfinge. Ogni altro approccio è evitato di default. Il problema è cosa fanno gli altri due: uno confessa, l’altro no; tutti e due confessano; non confessa nessuno dei due. Quindi, nessuno confessa, non succede niente. Se tutti e tre ammettono la loro debolezza, scatta lo sguardo assassino. La bionda, naturalmente, sentendosi osservata da tre maniaci, se ne va. Sembra la perfetta situazione di equilibrio. C’è da dire che la sfinge non ottiene mai il risultato, è tutta una questione psicologica interna al suo cervello mummificato. Potrei continuare, ma non ci capisco più niente. Vi consiglio, se volete saperne di più – la teoria dei giochi - una lettura di uno degli autori citati prima. Se invece siete interessati alla sfinge e il vostro cervello è stato bollito in un pentolone con patate e carote da una tribù di cannibali, allora vi consiglio di continuare a immergervi nella vacuità demenziale dei miei post.

Avevamo lasciato L di L&L alle prese con la girellite. L’altro L di L&L alle prese con i tagliafuori. Il sottoscritto alle prese con… un cuba libre. Fallo girare, dai David fallo girare, fallo giraaare, dai David fallo giraaare! Il guppo si ricompatta. Mr. X, sempre più pazzo, cammina sul soffitto - spider pig, spider pig -, salta, rotola, scompare dentro al seno di qualcuna. O qualcuno, non so. Noi conquistiamo terreno. Spazio vitale. Ci dimeniamo come tarantolati. L’alcol e la musica sparata a mitragliate di decibel ci procura una lobotomia istantanea. Sorridi e il mondo ti sorride. E lì, in quel preciso istante, ci accorgiamo della presenza di una nuova tipologia di sfinge, ancora più inquietante: la sfinge osmotica.

Che cos’è l’osmosi? Cito da Wikipedia: “Il termine osmosi indica la diffusione del solvente attraverso una membrana semipermeabile dal compartimento a maggior potenziale idrico (concentrazione minore di soluto) verso il compartimento a minor potenziale idrico (concentrazione maggiore di soluto), quindi secondo il gradiente di concentrazione.”. Chiaro? Be’, la sfinge osmotica funziona pressappoco allo stesso modo. Prima di tutto, individua la ragazza da puntare – a me gli occhi. Poi, una posizione in cui stabilirsi. Sia chiaro, non una posizione qualunque. Il bel tenebroso fighetto dei Grigioni va alla ricerca di un individuo o di un gruppo di individui che ritiene particolarmente brillanti. In questo caso la parola ‘brillante’ significa che la persona in questione non deve ricorrere all’ipnosi per conquistare la donzelletta, è dotato di una certa parlantina assassina e ha un grado di molestia che in genere viene misurato con la scala Richter. Inutile dirvi che, da queste parti, ‘brillante’ è spesso sinonimo di italiano. Non parlo di me, perché se no userei la parola genio supremo dell’universo. Dovrei ricordarlo a mia madre che ogni tanto mi epiteta con un sonoro ‘coglione’. Ma deve essere un affettuoso sinonimo, ne sono certo. Insomma, la sfinge osmotica si avvicina lentamente alla fucina di talenti ormonali e, quando ritiene di avere raggiunto la distanza minima necessaria per assorbire la giusta dose di testosterone canalizzata, si ferma. Immobile. Da quel momento in poi diventa la tua ombra. Si muove come te. Parla come te, solo con accento tedesco. Diventa più te di te. Sempre alla distanza minima necessaria. Che significa circa una decina di centimetri dietro o a lato. Inquietante. Il problema è che non può allontanarsi dalla zona. Se lo fa, diventa di nuovo una sfinge qualunque. Allora rimane lì, dove ti trovi. Ti segue. È un potenziale conquistatore, ma lo rimane in quel concetto tanto caro ad Aristotele. In pratica, continua a fissare la sventola da lontano come una moderna Medusa pietrificatrice. È un cane che si mangia la coda. L’eterno ritorno di se stesso. La sfinge intrappolata per sempre nel suo quesito. Fino alla chiusura del locale, quando le luci si accendono e non rimane che l’ultima sigaretta da fumare prima di infilarsi in un taxi e fare ritorno alla propria dimora, accompagnati dalla malinconica sensazione che lo struggente desiderio di fermare l’attimo e rendere eterno quell’istante, inevitabilmente, ti lascia, perché l’adesso è già passato e domani, come sempre, è un altro giorno. E io? Io vago senza meta per le silenziose vie di Zurigo, cercando il senso della vita e, soprattutto, la strada di casa. Nel tumultuoso vortice, L di L&L non si è accorto e ha fatto girare pure me. E sì, ho la girellite. Buona settimana a tutti!


lunedì 3 maggio 2010

La sfinge che finge: dalla girellite alla teoria dei giochi

Qualche post fa avevo tentato di descrivere il fighetto zurighese classificandolo in base alla tipologia di comportamento tenuta durante l’approccio con l’altro sesso. Grazie all’aiuto del dottor L di L&L, esimio studioso di comportamenti sociali notturni, ero riuscito a individuare due macrogruppi principali, la sfinge e il serial killer. Pensavo di essere già vicino al Nobel, ma, purtroppo, non avevo ancora fatto i conti con un fighetto zurighese che non era stato ancora catalogato, la sfinge osmotica, e con un fenomeno di assoluta rilevanza a cui ho potuto assistere solo settimana scorsa: l’interazione tra sfingi.

Prologo

Intorno alla mezzanotte di un tranquillo venerdì zurighese i nostri eroi – L di L&L, Fürst von Zukunft, l’altro L di L&L, Duca di Valman, il nostro amico Mr X, blasonato già di suo, e il sottoscritto, D.A.R., Marquis de Amber – fanno il loro ingresso trionfale in un locale popolato da nani, ballerine, casalinghe disperate e meno, sigarette sempre accese e bicchieri mai vuoti. Entrare non è affatto complicato, visto che nella mano stringiamo il nostro passpartout, una fototessera di L di L&L, Fürst von Zukunft, che, come il ritratto di Dorian Gray, mostra i segni della decadenza fisica e morale di L&L , mentre l’originale continua ad emanare fascino brizzolato da ogni poro. La fototessera, infatti, ci viene sequestrata dalla guardarobiera che subito provvede ad applicare una taglia sulla testa del nostro compagno di avventura. Lui, però, impegnato nella girellite, ovvero nell’antica arte di prendere per mano una ragazza esteticamente interessante – vedi anche alla voce ‘bella figa’ – e di farla girare fino a quando non

1. Le crescono le tette
2. Inizia a cantare uno jodel
3. Risolve il problema della fame nel mondo

non sembra preoccuparsene più di tanto – vorrei fare notare che a Zurigo, dopo la grande notte in coda al Sechseläuten (si celebra la fine dell’inverno), si sono presentate all’UniversitätsSpital numerose indigene colpite dalla sindrome della girellite. Ma è solo un caso.

Comunque, mentre L di L&L si esercita nell’arte di cui sopra, l’altro L di L&L viene relegato in uno spazio di due centimetri quadrati dai soliti tagliafuori cittadini, preoccupati più di mantenere lo status quo di galli del pollaio che di entrare in medias res – d’altronde, come mi disse mio cugino anni fa nel suo italiano maccheronico ma efficace, togliendosi la maglietta ed entrando in un privé affollato di omosessuali unicamente per cercare di ghermire la preda dotata di davanzale di tutto rispetto, “Chi non entra in acqua non mangia pesci” (da leggersi con accento israeliano) -; Mr X, invece, che è quello tranquillo, salta sui divanetti, urla, si dimena e controlla la pressione dei pneumatici a una locale. Ed è in quel momento che la vedo. Lei, la ragazza più bella che abbia mai visto negli ultimi cinque minuti. Appoggiata al bancone è un vero spreco, meglio sarebbe appenderla al Louvre. O fissarla al letto di casa mia, come si preferisce. Alta. Bionda. Carrozzeria perfetta a cui, io, tuttavia, vorrei fare una bella revisione. Una Barbie più Barbie della Barbie – un po’ come nell’imitazione di Mourinho fatta da Crozza, “Io sono più George Clooney di George Clooney”. E a me non dispiacerebbe essere il suo Ken. Yes we Ken. Mentre questi nobili pensieri echeggiano nella mia grotta cerebrale, tre manichini svizzeri con camicia inamidata incorporata, bicchieri in mano, vanno a occupare lo spazio che separa la dea dell’amore dal sottoscritto. Li ho riconosciuti subito. Sono tre sfingi. Ora, la dinamica di interazione del gruppo è piuttosto interessante. Conosciamo ormai perfettamente il comportamento della sfinge solitaria. Qui le cose cambiano. Si parla di psicologia cognitiva. Di teoria dei giochi. Von Neumann e Nash – quello di Beautiful Mind, per chi pensasse che sto parlando di malattie inguaribili. Purtroppo, il tempo dedicato a questo post, compreso, ne sono sicuro, la vostra pazienza di lettori, è terminato. Perciò, nel post di settimana prossima tratterò ancora di sfingi e di quel caso particolare di teoria dei giochi noto come Il dilemma del prigioniero. Buona settimana!

To be continued