lunedì 16 aprile 2012

Sogno di una notte di mezza stagione


Se c’è una cosa che odio è pulire il pesce. Sono troppo pigro. E le lische mi terrorizzano. Ogni assaggio di orata mi rimane in bocca due minuti, il tempo necessario per assicurarmi che nulla che non sia cibo commestibile andrà a conficcarsi proprio lì, nelle profondità della trachea, lasciandomi cianotico e, tendenzialmente, morto. Il Pigato mi aiuta a superare la fobia, la torta al cioccolato è la ricompensa per esserne uscito ancora una volta vivo. Per chi avesse l’intelletto ancora ottenebrato dalle fatiche digestive del dopo Pasqua, sono in Liguria. Sestri Levante, per la precisione, anche se l’informazione è del tutto irrilevante ai fini della storia. Ma si sa, sono una vergine, pignoleggio solo per il gusto di farlo. Il proseguo della serata altro non è che il prosciugare fertili bicchieri colmi di rum accompagnando la nobile attività con vacue parole che il libeccio disperde nei carrugi del paese. Alle due siamo a letto. Il proprietario di casa, il farmacista più bello di Milano – secondo una rigorosa classifica redatta dal farmacista stesso e che include, oltre a lui, cinquecento esemplari di escherichia coli –, se ne sta sdraiato, nell’altra camera, perso nel vuoto dei suoi pensieri. Io, invece, che espio le colpe della mia vita precedente, quando ero la dentiera di Martin Heidegger, condivido il talamo con il barattolo più pettinato di Milano che, ultimamente, si è lanciato in una nuova attività imprenditoriale sfociata nella pubblicazione di una rivista che, a mio modesto parere, diventerà il più importante caso letterario del 2012, Il corriere dei pingui. La prima edizione è dedicata alla crisi economica e all’inflazione del prodotto interno lardo.

Breve inciso sull’homo barattoleus pettinatus

L’homo barattoleus pettinatus lo si riconosce da una caratterista inconfondibile, unica e inimitabile: la voracità, declinata anche sui libri. L’unico momento in cui le sue mandibole riposano è quello al calar delle tenebre quando, prima di essere abbracciato da Morfeo, il nostro homo barattoleus pettinatus si dedica a una scorpacciata di lettura con conseguente indigestione di vocaboli. Il minimo di pagine consentito è cinquecento. Il massimo non è stato ancora stabilito, anche se si racconta che, in crisi di astinenza, venga fatto ricorso agli elenchi telefonici e alle istruzioni dei medicinali. Altra caratteristica: a volte fatica a distinguere tra ‘a letto’ e ‘ha letto’. L’afasia grammaticale e lo spostamento semantico inducono nell’homo barattoleus pettinatus uno stato catatonico, un’ eclissi sensoriale. Ovvero, poltrisce tutto il giorno sul letto imprimendo la sua sacra sindone.

Fine inciso sull’homo barattoleus pettinatus

Cullato dallo sfogliare delle pagine, abbandono le spoglie mortali per una fugace peregrinazione nel mai noioso e banale mondo onirico. I bulbi roteano. Iniziamo.

Primo sogno

Una buona prassi vorrebbe che, appena svegli, si annotasse su un taccuino il sogno appena fatto, pena l’oblio inevitabile della strampalata trama. Sempre che non siano le tre, quattro del mattino. In questo caso, ci si volta dall’altra parte e si riprova a dormire. Così, mi ricordo solo un particolare: io che vedo me stesso mentre dormo fischiettando. Potrà apparire una bizzarra associazione, ma sono convinto che ci deve essere un significato profondo. Metafisico. E comunque fischietto piuttosto bene.

Secondo sogno

In genere, i sogni erotici, li faccio ad occhi aperti. Circa ogni venti, trenta secondi. Questa volta mi è successo da supino. E addormentato. Purtroppo, causa contenuto indecente e trama decisamente piatta, sono costretto ad autocensurarmi. Mi risveglio con una gran voglia di fumare una sigaretta. E una vescica esplosiva, maledetto rum. Raggiungere il bagno non è impresa facile. Deve essere labirintite. Seduto sulla tazza del cesso, fisso il mio uccello depresso, ché l’eretta via era smarrita.

Terzo sogno

Sono in una classe affollata. Non riconosco nessuno, tranne una persona. La dottoressa Bailey, quella specie di Gabibbo nazista afroamericano che sevizia aspiranti medici in Grey’s Anatomy. È terrorizzata: deve esibirsi al pianoforte, ma trema come un malato di Parkinson prima di salire sul patibolo. Mi avvicino e mormora qualcosa. Sbiascico – sono alcolizzato anche nei sogni. Le infondo coraggio con delle finte di sopracciglio. Finalmente, si decide a suonare: il Preludio della seconda Suite Inglese in la minore di Bach. L’esecuzione è penosa. Con il mio tatto da caterpillar, glielo faccio notare. A sua difesa compare dal nulla il professore di musica, un omino con sparuti capelli ai lati e un irresistibile anche se non so perché pizzo brizzolato. L’esimio docente scaraventa per terra un cubo di Rubik, che si rompe, frantumandosi in centinaia di numeri. A quel punto esclama, scocciato: “La musica non è la cosa più importante della vita. Le più importanti sono il francese e i numeri primi!”. Mi sveglio con un senso di morte, ma forse è solo il cadavere che sta russando di fianco a me.

Non sono ancora riuscito ad arrivare a una interpretazione soddisfacente di questi sogni. L’ultimo in particolare. Freud direbbe che il cubo di Rubik rappresenta la sessualità, la musica il mio pene, i numeri primi il mio pene, il francese il mio pene e la dottoressa Bailey la castrazione del mio pene. I soliti sogni del cazzo. Io, però, non ne sono persuaso. Brancolo nel buio. Oltre la siepe. Rantolo mentalmente. E alla fine, l’unica cosa di cui sono certo, è che in questi 35 anni della mia vita ho passato più tempo a letto con i miei amici che con graziose rappresentanti dell’universo femminile. Non mi lamento. Sono la mia famiglia. Ma le coccole, se le scordano. Buona settimana a tutti!