lunedì 18 gennaio 2010

Sono garbage manager. Cioè? No, niente, faccio lo spazzino


Tra cinque miliardi di anni la Terra non ci sarà più. Qualcuno dice sei. Forse sette. In Svizzera sette miliardi di anni, tre giorni e cinque ore. Non manca poi così tanto. Ma neanche così poco, quindi potrebbero benissimo allungare la durata del mutuo. O no? Io, intanto, mi organizzo.

Questo non è un problema per lo scettico radicale. Lui pensa che neanche esista, la Terra. È tutto un sogno. Un inganno. Sì, però il mutuo lo paga pure lui.

L’altro giorno ho sentito una mia amica. Sono molto contento per lei, un’importante azienda americana le ha offerto un’ottima posizione. Quale? Be’, all’inizio non ci ho capito molto e credo neanche lei. Oggi qualsiasi ruolo all’interno di un’azienda ha il suo specifico nome in inglese. Tu sei lì, a colloquio, e il tizio ti sfodera fuori questo fichissimo, altisonante nome anglosassone. Sorridi, dici frasi di circostanza, stringi la mano e te ne torni a casa felice. Sono auannaghenuatzdeamerican manager. Chiami tutti gli amici per condividere il tuo straripante entusiasmo. Poi loro ti domandano:

“Sì, ma in pratica?”

Panico. Silenzio. Il punto di domanda ti avvolge e non ti molla fino al terzo, quarto, quinto mese di ufficio, quando finalmente sei in grado di spiegare per cosa diavolo ti pagano. E poi, quando davvero capisci fino in fondo, be’, allora è troppo tardi per tornare indietro.

Le aziende americane, e non solo, hanno la mania di infilare la parola “manager” dovunque. Country manager. Sales manager. Product manager. Project manager. Content manager. Coffe manager. Toilet manager. Affari. Carriera. Pensiamo tutti di essere chissà chi, di fare chissà cosa. Il nulla nulleggia, ma mica tanto. Poi, mentre camminiamo con il petto gonfio come quello di un tacchino ripieno, ci cade un vaso da dieci chili in testa. Rimaniamo lì, stecchiti. E ci ritroviamo poi sottoterra. Grazie al gravedigger manager.

L’altro giorno, a Davos, stavo scendendo giù per una pista. Maschera in testa. Il tizio davanti a me, sculettando a destra e a sinistra, mi alza un muro di neve. Perdo visibilità per qualche secondo, giusto il tempo di trovarmi sull’orlo del non ritorno. Curva di emergenza con freno a mano. E mi ritrovo disteso per terra, uno sci qualche metro più sopra. In quel momento ho capito davvero. Quando si dice che c’è chi cade sempre in piedi. Ecco, io cado sempre per terra come un sacco di patate, sbatto il culo, rotolo. Poi mi rialzo. Sempre. Con fatica. Ma cadere, cado. Tante, tante di quelle volte. Sarà sempre così. Dovrebbero inventare un airbag esistenziale.

Mi piacciono le donne. E mi fanno soffrire. Loro, invece, non s’offrono. A me.

Brunetta vorrebbe proporre una legge che obblighi i figli a uscire di casa a 18 anni. Questo è proprio scemo. A me pare davvero una crudeltà impedire ai propri figli di uscire di casa fino a 18 anni. Capisco il problema del bullismo e dei pedofili, ma la soluzione è un davvero troppo radicale. Talebano!!!

Mi si preannuncia una settimana difficile. Complicata. Vorrei sparire. Farmi piccolo piccolo piccolo. Come il ministro Brunetta.

Ho scoperto che sniffare le Air Max dopo averle indossate un’intera giornata può essere letale.

Cosa vuoi fare da grande?”. Non lo so ancora e non sono più così piccolo. Forse non saprò mai dare una risposta certa. Ma le risposte sono poche importanti, tranne quando le chiedi se vorrà sposarti. “E cosa vuoi fare da morto?”. Non ha senso? Sì, forse, ma perché, l’altra domanda ce l’ha? Auguro a tutti una felice settimana. Spero che abbiate più certezze, nella vita, di me.


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