lunedì 5 luglio 2010

La calza che benda perfettamente o la benda che calza perfettamente?

Delle ultime otto settimane, sei le ho passate viaggiando. Londra, Berlino, Londra, Interlaken, Milano, Berlino. Una volta l’aeroporto esercitava un forte fascino su di me. Rappresentava l’agognata vacanza. I ricordi adolescenziali legati all’Inghilterra. La scoperta delle capitali europee. Il mare della Grecia, l’ouzo, Israele con i suoi umori, odori e sapori. E le ragazze, incontrate, incrociate o seplicemente sognate. Fino a pochi anni fa, ancora, quando vedevo un aereo sorvolare il cielo meneghino, pensavo a quei fortunati che, con le loro cinture di sicurezza ben allacciate, abbandonavano, almeno per un periodo, il fardello della logorante quotidianità. E li invidiavo. Me ne stavo lì, con la testa all’insù, fantasticando. Nell’attesa, quella cara a Leopardi.

Ora, invece, mi viene in mente solo una schiera di uomini d’affari incravattati, seduti al loro posto, bocca aperta, testa penzolante, la 24 ore sotto il sedile e il trolley da viaggio nero stipato insieme a un centinaio di altri trolley neri, tutti uguali. Benvenuti nel mondo degli adulti.

Così, tanto per cambiare, martedì scorso mi ritrovo a Malpensa – ero a Milano per un fantastico fine settimana a base di estrazione di dente del giudizio –, in attesa di imbarcarmi sul volo diretto a Berlino. Volo delle nove e dieci di sera, giusto il tempo di atterrare, prendere un taxi, fare il check in in albergo e infilarsi a letto. Una meraviglia. Comunque, cena che prevede insalatona e bicchiere di vino rosso, il tutto condito con un salatissimo conto di oltre trenta euro che mi fa capire che, forse, il dente del giudizio mi sarebbe tornato utile ancora per qualche giorno. Poi, attesa. Mi rimbambisco di notizie di gossip urlate da un paio di televisori che nessuno, intorno a me, ascolta. Sembra che quell’attrice reciterà in quel film. Quell’altra, invece, pare di no. Il bellimbusto ha l’unghia incarnita: me ne dispiaccio e mi domando come sia potuto capitare. Una tedesca sulla ventina, vestita con poco o niente addosso, urla come la peggio delle pescivendole pensando di essere divertente. Infatti lo è, almeno nella mia fantasia, quando un’incudine di cinquanta chili le cade in testa, trasformandola istantaneamente nella miniatura di se stessa in scala uno quaranta. Visto che la fantasia non riesce facilmente a tramutarsi in realtà, le compro due branzini e un’orata. Cinque minuti prima delle nove ci imbarcano. Posto rigorosamente sul corridoio, così posso allungare una gamba e, nel caso, procedere a operazioni di svuotamento vescica senza dover saltare sopra corpi inerti colpiti da narcolessia fulminante. La mia vicina, da cui mi separa un sedile, è di una bruttezza rara. Non penso di aver mai visto una donna così brutta nella mia vita. Anzi, non credo proprio che esista una donna così brutta , e in effetti forse sono ancora gli effetti dell’anestetico. Mi saluta, poi guarda fuori dal finestrino. Forse vuole suicidarsi fissando la sua immagine riflessa. Dopo la solita pantomima sulla sicurezza, l’aereo ingrana la quinta e decolla. Lo ammetto, non mi abituerò mai: ogni volta che il mio culo si alza dal suolo, provo sempre quella entusiasmante sensazione di morte imminente. Intanto, noto dei movimenti alla mia sinistra. La vicina si leva le scarpe. La comodità prima di tutto. La vicina si toglie pure le calze. Facciamo prendere aria alle estremità inferiori, ossigeniamo gli alluci. La vicina prende le calze, le annoda tra di loro e si lega la benda improvvisata sugli occhi. Neanche MacGyver sarebbe mai arrivato a tanto. A metà viaggio me la ritrovo che russa sdraiata su due sedili, bocca spalancata in una imitazione mal riuscita dell’Urlo di Munch, la testa appoggiata alla mia gamba sinistra e quelle cazzo di calze pregne di microbi e odori annodate sempre intorno agli occhi. Oh, Dio, ti prego, fammi perdere i sensi. Ora! A questa scena a dir poco orripilante pone fine, prima dell’atterraggio, una delle hostess, che sveglia il cadavere roncopatico utilizzando, se non ricordo male, un defibrillatore.

Un’ora più tardi, spengo la luce della camera d’albergo e ripenso alla vicina, all’aereo, all’aereo e alla vicina e mi torna in mente il volo di ritorno da Mykonos del 2001, quando la ragazza seduta accanto a me, fresca di recente Nobel, mi chiese: “Ma gli aerei per decollare utilizzano una pista in salita?”. Eh, certo… Buona settimana a tutti!


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