martedì 13 luglio 2010

Vodka Redbullshit

Sapete cos’è lo Zuri Fäscht? Neanche io, almeno fino a settimana scorsa. Il sito ufficiale parla di “Das Fest der Feste”, che non traduco per rispetto verso i vostri neuroni. È considerata la più grande festa popolare della Svizzera, dopo la sagra del Bratwurst e l’Heidi Swiss Festival, dove se prendi la roba giusta, ti sorridono i monti e le caprette ti fanno ciao. In Italia, invece, visto l’ultima manovra, della bella roba te la devi prendere comunque, visto che i risparmi ti fanno ciao, i politici ti incaprettano e al massimo ti sorride Tremonti. Ma non divaghiamo troppo. Insomma, prendete la fiera degli obei obei, aggiungetele concerti, discoteche all’aperto e fuochi pirotecnici per le strade, le piazze e le zone lacustri della città – Zurigo, non Milano – e capirete che cos’è lo Zuri Fäscht. Voci di corridoio mormorano che due milioni di persone siano affluite tra venerdì e domenica: stranieri, boscaioli, montanari, banchieri, contadini, paesani, tronisti, la carica dei 101, il gatto, il topo e l’elefante, solo che non… che non si vede un cazzo, perché la gente scorre come un fiume in piena, si accalca dovunque e rende impossibile qualsiasi movimento. Se starnutisco, sono quelli accanto a me che si soffiano il naso. Aggiungo che io odio la folla. Non mi piace il contatto ravvicinato con le persone, soprattutto con quelle che non conosco. Per questo non amo le manifestazioni. Per questo vado sempre più raramente a un concerto rock. Per questo non partecipo alle riunioni di condominio. Però… però non potevo non andarci. L’integrazione. Obbligata, visto che tutti i locali della città erano chiusi per l’occasione, e io non avevo nessuna intenzione di rimanermene in casa ad aggiornare lo status di Facebook.

Incominciamo da venerdì sera. Dopo una succulenta cena con il mio vicino annaffiata da ottimo vino francese e qualche bicchiere di rum e cola – cena che si svolge fuori, in balcone, con la luce estiva che si affievolisce, piano piano, una leggera brezza a smorzare l’insolita afa. Tutto perfetto, ci vorrebbero solo un paio di tette in più ad allietare il simposio –, decidiamo di raggiungere L di L&L, capocannoniere dei mondiali di… ecco… capocannoniere. Già vagamente alticci, ci facciamo trasportare dalla massa di gente riversa nelle strade. Dopo i tipici salamelecchi, ci muoviamo in direzione del tunz tunz. Ed eccoci arrivati, una discoteca a cielo aperto, Timo Maas alla console e di fianco a me una signora sopra la cinquantina che, con la grazie di un ippopotamo, si esibisce in movimenti scoordinati che difficilmente qualcuno oserebbe definire ‘ballo’. Qualcuno sobrio, intendo. Le faccio due piroette davanti, mi libro in aria e atterro al bancone degli alcolici.

“Dreimal Cuba Libre, bitte”, ordino gentilmente alla graziosa fanciulla che si avvicina con aria interrogativa. Purtroppo, l’aria interrogativa sembra non volerla abbandonare.

“Dreimal Coca und Rum, bitte”. Specifichiamo che non si sa mai. La sua espressione denota il dubbio scettico per eccellenza mischiato a dell’ottusità di un certo spessore.

“Wir haben keine Rum, entschuldigung”

Cosa? E quella bottiglia di Bacardi cos’è? Gliela indico. Lei la osserva, stupita, ma il suo encefalogramma rimane piatto. Po,i va a consultarsi con l’esperta di alcolici della zona, con cui confabula per un paio di minuti. Forse un paio di ore. Ignoro cosa si siano dette, fatto sta che ritorna da me reggendo tre bei bicchieroni pieni di coca e rum. Brava, adesso puoi tornare a servire le spume.

Vi risparmio il proseguio della serata, tanto basta che aggiungete il numero di bicchieri e sapete all’incirca come è andata. Così, passiamo direttamente a sabato. Verso mezzanotte, satollo di pizza e del solito paio di birre medie, mi incontro con alcuni amici, pronto a godermi un’altra nottata a base di musica elettronica. Tunz tunz tunz. Trema la terra e tremano pure i miei padiglioni auricolari. Davanti a noi, un prato invaso da zombie che muovono in aria le mani e oscillano pericolosamente a ogni battito sparato da casse grosse come condomini. Qui urge trovare una soluzione. Sono il signor alcol, risolvo problemi. Mi avventuro verso il bar con cautela, stando ben attento a non calpestare i corpi esanimi che minano il terreno. Finalmente, raggiungo il mio obiettivo. Attendo con pazienza il mio turno.

“Einmal Vodka Redbull, bitte”

Questa volta la ragazza addetta alla produzione di intrugli pare andare sul sicuro. Afferra una bottiglia di Smirnoff – che schifo fa la Smirnoff?! – e ne versa un goccio nel bicchiere pieno di ghiaccio. E quando scrivo ‘un goccio’, lo intendo per davvero. Se ci sputo, riesco a riempirlo molto di più, il bicchiere. Poi, annaffia il tutto con una cascata di Redbull. Appoggia il succo di frutta sul bancone e cerca di estorcermi 14 franchi. La guardo sbigottito. Guardo il bicchiere, e lo sbigottimento non fa altro che aumentare.

“Io veramente avevo chiesto una vodka redbull, questa cos’è? Vodka Redbullshit?!!”

Mi sarebbe piaciuto dirlo. Sarei stato osannato dalla folla, portato in trionfo sul palco e attaccato a una flebo di sei litri di Belvedere. Invece, non ho proferito parola e sono tornato in mezzo al prato, alla musica frastornante, ai fattoni frastornati. Lì, solo in mezzo a tutti, il succo di frutta in mano e il mio viso, afflitto, provato, una maschera di mestizia.

Questa storia mi ha insegnato una cosa. Una cosa importante. Una grande lezione di vita. Solo che non mi ricordo più quale, perché i cocktail successivi hanno fatto il loro sporco lavoro. Buona settimana a tutti!!!

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