martedì 14 settembre 2010

Zio si nasce, non si diventa

Tre settimane di vacanza. Molte o poche, questione di punti di vista. Al mio ritorno mi sono portato dietro una valigia piena di sbadigli. Dormire non è stata di certo l’attività più praticata. Tre settimane di vacanza. Il mio taccuino è pieno di appunti, di storie da raccontare e di fatti che, forse, è meglio non vengano troppo pubblicizzati. Davanti al foglio bianco, crocevia di ansie pseudo letterarie ed euforie creative, mi domando da dove iniziare, quali ricordi trasformare in parola. Non devo attendere molto. Mercoledì 18 agosto. Una vita fa, ma a me sembra molti di più - sarà l’aria estiva e vacanziera che si respira tutto l’anno a Zurigo. Ibiza, meta scelta scrupolosamente con l’intenzione di rilassarmi dopo dodici giorni di pazze feste a Tel Aviv. Città di Ibiza, meta scelta scrupolosamente con l’intenzione di infilare qualcosa nello stomaco e lanciarsi poi in pista, su le mani fino alle otto del mattino. Per chi non lo sapesse o avesse fatto ultimamente un frontale con il Frecciarossa, perdendo temporaneamente l’uso dell’emisfero sinistro del cervello, Ibiza e Zurigo non sono esattamente simili. A Ibiza si parla spagnolo – o catalano –, c’è il mare e gli orari sono quelli tipici mediterranei, cioè niente cena prima delle undici e mezza. A Zurigo, invece, si parla qualcosa che dovrebbe essere una lingua, anche se, secondo il mio modesto parere, assomiglia di più a una serie di sputi gutturali, il mare sembra non ci sia e gli orari sono quelli tipici della svizzera tedesca, cioè a letto senza cena dopo le nove e mezza, anche se hai fatto il bravo tutta la settimana. E infatti eccoci seduti a tavola a mezzanotte e mezza mentre ordiniamo in un tipico ristorante francese che nella carta dei vini ha solo quelli spagnoli. La globalizzazione. Vi chiederete, eccoci seduti chi? Come sapete, però, i nomi degli amici, nei miei post, non li rivelo mai, non per una questione di privacy, ma semplicemente perché conoscere una persona che scrive robe del genere è già motivo di onta, meglio non perseverare – che è diabolico – con la gogna mediatica. Vi basta sapere che la compagnia è quella delle migliori e delle più pazienti, visto la tolleranza a una settimana di mie battute continue. Poveri, vi voglio bene. Verso le due, satolli, alziamo i nostri reali culi e decidiamo di andare a berci una schifezza, cosa che facciamo senza troppa fatica, non senza prima essere passati per la zona omosessuale della città, pieni di simpatici individui travestiti da marziani in lattice che amano prendere a frustate il didietro dei baldi giovanotti di belle speranze. Il popò mi duole ancora. Terminati brindisi e chiacchiericcio, siamo pronti ad affrontare il vero scopo della nostra peregrinazione notturna: trovare i biglietti per l’Amnesia, tempio dedicato al ballo – o meglio, movimenti a caso indotti da abuso di dopanti che solo a volte, per congiunzioni astrali particolari, rispecchiano il nome con cui vengono chiamati - che conta migliaia di adepti. La serata si chiama La Troya – nessun riferimento alle rispettabili professioniste del settore – ed è internazionalmente conosciuta perché alle sei, nella sala principale, chi vuole e non si lava da settimane può usufruire dell’ottimo servizio di schiuma sparata a chilate da un paio di cannoni. Insomma, roba da intellettuali. Così, per non perderci anche noi la nostre dose di Badedas mattutino, ci mettiamo alla ricerca del Santo Graal del discotecaro. Che troviamo, passando tra i vari locali pre tunz tunz della cittadina. Infatti, notando il tipico atteggiamento dell’esploratore, vengo avvicinato da un ragazzo dal marcato accento lombardo.

Giovane: “Italiano?”
Io: “Sì”
G: “Ah, di dove?”
Io: “Di Milano”
G: “Ah, Milano, tantarrobba!!!”

È un topos. Lo trovi anche sul vocabolario, “Milano, definizione: tantarrobba”. Finchè ce n’è.

G: “Io sono di Cinisello”. Cos’è non lo fanno entrare a Milano? “No, io Milano? Mai vista. Non ho il timbro per entrare”. D’altronde, è sempre un problema. “Eh, no, volevo, ma mi è scaduto il bollo del passaporto”.
Io: “Stiamo cercando i bilgietti per l’Amnesia”

Il futuro premio Nobel – per come ha pronunciato tantarrobba – ci fa segno di seguirlo, scende le scale del locale accanto e urla come un pescivendolo al tizio pingue e barbuto seduto dietro a un bancone:

Oh, zio, ti mando giù cinque zii, sono amici, dagli i biglietti per l’Amnesia!”

Ci ho riflettuto un attimo e sono giunto alla conclusione che è bello essere degli zii. La ziitudine è una proprietà importante e ci rende tutti fratelli. Essere zii ci rende fratelli anche se il fatto di essere fratelli non ci rende per forza degli zii. Per esempio, non è detto che vostro zio sia uno zio. Magari, invece, vostro cugino lo è. E agli zii piace Milano perché c’è tantarrobba. Bella zio. E così, noi cinque zii, siamo scesi, abbiamo fatto l’acquisto, ci siamo scolati cinque shot offerti dallo zio ma solo perché siamo degli zii, abbiamo raggiunto la macchina, siamo partiti in direzione Amnesia, abbiamo trovato il parcheggio degli zii, siamo entrati e ci hanno lasciato passare per l’ingresso del privè perché lo zio aveva visto che eravamo degli zii e quando ha capito che venivamo da Milano deve aver sicuramente pensato “tantarrobba”. E, dentro, sì che ce n’era, di robba. Tanta. Che ballava con micro bikini sculettando a destra e a sinistra. Ho cercato di capire, inutilmente, se erano delle zie. Forse no. Poi, quando la gente in pista ha finito con le abluzioni, ci siamo diretti verso l’altro lato del privè. Da lì si dominava una pista completamente diversa. Piena di uomini grandi e grossi gonfiati con l’aria compressa e semi nudi. Forse loro erano degli zii. Quando li ho visti però tutti appiccicati con le lingue che mulinavano all’impazzata, mi sono reso conto che c’era ben poco dello zio, molto più della zia. Alle sette e un quarto si è spenta la musica e si sono accese le luci. Come dire, andate a casa che è meglio.

Il risveglio, sei ore dopo, ha un che di traumatico. Mi trascino verso il bagno, piscio, e mi guardo allo specchio, la faccia scavata, le occhiaie, i capelli arruffati e lo sguardo decisamente ottuso. Profondamente ottuso. Alla mia età mio padre aveva due lauree in tasca e e due figli a casa, io ho solo un gran mal di testa post sbronza. Poi, però, continuando a guardare, è incominciato a cambiare qualcosa dentro di me. Ho incominciato a capire. E alla fine, come un fulmine che squarcia il cielo, l’illuminazione è arrivata: “Minchia”, mi sono detto “ma come faccio a essere così zio?!!”. Buona settimana a tutti, zii, e tantarrobba!

p.s: un saluto speciale ai coinquilini di Ibiza, era da tempo che non ridevo così tanto. Almeno da quando non mi sono rimesso a seguire la politica italiana...

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