lunedì 15 novembre 2010

Californicazione

Come è possibile che alle nove e mezza di un assolato e insolitamente mite sabato mattino zurighese il supermercato sia già un crocevia di persone? Non ho una risposta. Invece, ho un’altra domanda, ed è la vostra: come è possibile che alle nove e mezza di un assolato e insolitamente mite sabato mattino zurighese tu sia in un supermercato a fare la spesa? Bene, la risposta ce l’ho. Jet lag. Concedetemi un po’ della vostra attenzione e vi spiego come sono andate le cose.

Tutto ha inizio il 30 ottobre, quando dal finestrino dell’aereo Zurigo diventa sempre più piccola fino a diventare una mappa in scala. Sono certo che quel puntino in fondo è lo Zukunft. Mi attendono 12 ore di viaggio. Questo è il tempo che occorre per percorrere la migliaia di chilometri che mi separano da San Francisco. Come avrete capito, a meno che sulla vostra zucca non sia atterrata un’incudine di duecento chili, trasformandovi istantaneamente in una versione ebete di un euscherichia coli, sono diretto negli Stati Uniti. Quelli d’America. La mia prima volta nella terra dei padri pellegrini. Dire che sono emozionato non rende l’idea. Mi attende una settimana in California per quello che, sembra, trattasi di lavoro, e una di vacanza in quella città di cui, bene o male, so già tutto, essendo cresciuto con i film di Woody Allen. Ma andiamo con ordine.

Attenzione, questo post può nuocere gravemente alla vostra salute mentale.

Per i miei genitori, se mai sventuratamente dovessero imbattarsi in questo scritto: tutto quello che scriverò è privo di ogni fondamenta. C’è un nano antisemita che sotto la minaccia di una visione forzata di un intero anno di Uomini e donne mi costringe a scrivere fesserie contro la mia volontà. Amen.

Il benvenuto

Sulla strada per San Jose. Io e il mio collega D. Alla Hertz, dopo aver esordito con “Ci piace il football americano!” commentando tutte le bandiere esposte con scritto “Go Giants”, notoriamente una squadra di baseball, ci rifilano un navigatore ubriaco che funziona in differita. Lo stesso di Cristoforo Colombo. Arriviamo all’hotel verso le sette di sera, solo dopo aver circumnavigato le Indie. Lasciati i bagagli in stanza, andiamo a cena e decidiamo, per evitare di svegliarci nel mezzo del cammin di nostra vita con gli occhi sbarrati, fissi sul soffitto, di fare serata. Così, finito un caffè decisamente allungato, ci infiliamo nel locale di fianco per vivere l’esperienza di una vera festa di Halloween americana. Purtroppo non abbiamo nessuna maschera, ma sembriamo due zombie quindi il problema non si pone. Mentre sorseggio faticosamente il mio coca e rum, Cat Woman e Britney Spears in versione porno si accomodano sul divanetto davanti a me. Cat woman, dotata di un paio di protuberanze che non passano inosservate, decide che io sono l’uomo della sua vita e tenta il primo approccio con un semplice e sempre valido “Hello”. Io, narcotizzato dal viaggio e dal fuso orario, tento un accenno di saluto con il capo e non spiccico parola. Ho visto dei benjamin ficus fare figure migliori. Cat woman decide che non sono più l’uomo della sua vita e va a fare le fusa a Batman. D mi guarda esterefatto e pure Robin. Capisco la delusione cocente e realizzo che se voglio vincere la narcolessia e avere un minimo di interazione mi serve qualcosa di più forte: una sniffata di calzini e una vodka red bull. Così, qualche bicchiere più tardi, ci trasferiamo nel fighetto bar dell’hotel, ritrovo di tira tardi della zona, tediosi uomini d’affari in giacca e cravatta e ragazze in tacco 15 tirate a lucido. Con noi, due pupe che ci siamo trascinati dietro. La pupa dominante, colpita da tempeste ormonali, mi fa capire che sarebbe interessata a vedere la mia collezione di gesuiti euclidei. Investito da un improvviso attacco berkeleyano, titubo e perdo fiducia nell’esistenza della materia. Lei, seguage della scuola del dottor Samuel Johnson, si avvicina e mi sussurra “Solo sesso, però”, confutando così il mio universo ideale.

Per farla breve, ho dovuto sacrificarmi. L’integrazione impone l’accetazione di usi e costumi locali e a me piace integrarmi. E il giorno dopo, più che altro disintegrato, camminavo su e giù per le strade di San Francisco. Distrutto. La strategia per vincere il jet lag è stata un fallimento, ma almeno i miei sbadigli hanno assunto un significato del tutto inaspettato. Bene, direi che per oggi può bastare. I prossimi post saranno tutti dedicati alle mie due settimane di viaggio. Sono le tre del mattino. Proverò andare a dormire. Probabilmente non ci riuscirò. E i miei sbadigli, domani, saranno i soliti sbadigli di un monotono lunedì come tanti altri. Auguro a voi una buona settimana e a una persona a cui voglio molto bene una guarigione completa, sperando che presto possa tornare a casa e vedere la cartolina che, questa volta sì, mi sono ricordato di spedire. Ciao.


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