giovedì 7 aprile 2011

L'importante è partecipare


Quando avevo sei anni i miei decisero che era giunto il momento di farmi praticare qualche attività sportiva. Da parte mia l’entusiasmo fu minimo. Avevo già le idee chiare e sapevo che volevo diventare un alcolizzato. Altro che sport. Mio padre avrebbe voluto che diventassi un rugbista. Mia madre un dottore, ma visto che i libri di anatomia pesavano troppo e soffrivo già allora di scoliosi, scelsero una via di mezzo e mi sbatterono in piscina a imparare i rudimenti del nuoto. Odiavo nuotare. Pesavo venti chili e pativo il freddo. Tremavo come quei chihuahua da borsetta che sembrano sempre prossimi al collasso. Tre anni più tardi papà, convertito alle filosofie orientali dopo aver visto in televisione un feroce combattimento tra Kato e l’ispettore Clouseau – era lui che compose ‘Il cielo in una stonsa’? – mi iscrisse a un corso di karate. Odiavo il karate. Non riuscivo mai ad allacciarmi la cintura e durante il saluto c’era sempre qualche criminale che impestava l’aria con letali flatulenze. Da allora ne è passato di tempo. Del karate mi è rimasta una certa impostazione marziale che si nota soprattutto quando sferro attacchi mortali contro le zanzare e trangugio beveroni alcolici. Sono cintura nera di cuba libre. Il nuoto, invece, non l’ho più abbandonato. Fare trenta volte cento metri mi infonde quella incredibile sensazione di nullità esistenziale che posso ritrovare altrimenti solo in qualche trasmissione televisiva. Questo, però, non è l’unico vantaggio che deriva da un’attività concettualmente complessa come quella del fare avanti e indietro in una vasca generalmente riempita d’acqua – senza, la virata diventa un ostacolo insormontabile. Per esempio, l’altra sera. Sono a una festa, impegnato in un’amabile conversazione con una graziosa signorina. A un certo punto, e non chiedetemi il perché, la graziosa signorina poggia la sua graziosa manina sul mio braccio. D’altronde, la gente fa un sacco di cose senza una ragione apparente. C’è chi ascolta Al Bano, che musicalmente parlando sarebbe meglio si chiamasse Al Bando – certo, de gustibus non disputandum est, ma a volte sputandum sarebbe meglio. Vero anche che una volta ho ascoltato un pezzo di Stockhausen che mi ha provocato una gastrite per un mese. Comunque, la signorina, tastandomi l’arto, rimane colpita dalla tonicità muscolare. Che pepita! Io gonfio il petto, bullandomi da vero vanesio:


“Nuoto”. Tipo sintetico a posteriori. “Ah... be’, io non faccio sport, però anche il mio braccio è piuttosto muscoloso.”. Un dialogo filosofico degno dell’Accademia platonica. “Faccio le seghe a mio marito”. Scusatemi il francesismo. E pure il marito. Sul momento, applico il metodo dello scetticismo radicale: questa conversazione non è mai avvenuta, il mondo non esiste, lei non esiste e io sono solo un cervello – poco sviluppato – in una vasca. Una vasca da cinquanta metri, e questa è una allucinazione provocata da una serie massimale di 100 metri stile libero. Superato il trauma iniziale, passo alla fase analitica. Se ci fosse del vero, io dovrei avere avere un braccio da culturista. Supponiamo, però, che l’enunciato sia dotato di senso. Intanto, vorrei capire se lo sfregamento della parte intima maschile possa essere considerata un’attività sportiva a tutti gli effetti. Se sì, allora dobbiamo porci subito alcune domande: come raggiungere determinati risultati? Quante volte bisogna allenarsi? Che influenza hanno le dimensioni sulla performance? Qual è il metro di giudizio che si dovrebbe applicare a un’ipotetica competizione? Il porno è doping? Potremo presto vedere la masturbazione alle Olimpiadi? (se hanno ammesso il curling...) L’importante è partecipare? E perché l’essere piuttosto che il nulla? Come vedete, la questione è piuttosto intricata. Non è stato facile continuare la serata. La potenza evocativa di quella frase, sussurratami all’orecchio, non mi ha dato pace. Sono andato a ballare, ma non riuscivo a liberarmene. Ho conosciuto una ragazza e le sue papille gustative, ma non riuscivo a liberarmene. Mi sono fatto una lavanda gastrica di vodka, ma non riuscivo a liberarmene. Ho preso l’autobus per tornare a casa insieme a un mio collega con cui ho discusso del più e del meno, anche se non in questo ordine, ma non riuscivo a liberarmene. E allora, varcata la soglia del mio appartamento, ho preso una decisione. A due mani: nel dubbio, alleniamoci. Buona settimana a tutti!


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