lunedì 6 giugno 2011

Svengo anch’io. No, tu no


Quello che sto per raccontare è la storia di un dramma personale. Un crollo esistenziale. Un cedimento ontologico. Perché, a volte, la pressione si fa sentire. Quando è troppa. O quando è troppo poca.

Giovedì 2 giugno. Zurigo. Qui è vacanza. Se qualcuno si domandasse come mai nella città elvetica si celebra la festa della repubblica italiana, avrebbe tutta la mia comprensione. E pure quella di alcuni specialisti in malattie mentali. Inutile lamentarsi poi che quel camice bianco è troppo stretto. Pare si tratti di Ascensione, o qualcosa del genere. E per uno che sale verso l’alto, ce n’è sempre qualcun altro che discende verso il basso. Sempre di più. Una legge del contrappasso mal distribuita. Ma andiamo con ordine. La giornata inizia, con calma, verso le due del pomeriggio, un orario a partire dal quale ai miei occhi è concesso di aprirsi e iniziare gradualmente ad abituarsi alla luce diurna. Che non c’è, perchè il tempo tende all’orripilante. Incurante dell’effimero, qualche ora dopo raggiungo le sorelle DgF e babbuzzo per un aperitivo in riva al fiume. Ed è il risveglio della natura.

“Guardate, là, la poiana!”. E la poiana plana, plana.
“E le rondini, avete visto le rondini?”. E se in Italia una rondine non fa primavera, qui la speranza non viene affidata nemmeno a uno stormo.
Cra, cra! Cra, cra! “Oh, che melodico gracchiare: li sentite i corvi?”. I corvi torvi.

E poi le tortore, i piccioni, i passerotti, l’airone immobile da ore, ancora stordito dalla sbornia della sera prima. Un’aviazione di pennuti che in pochi minuti trasforma il sottoscritto in un campo minato di merda. Io amo la natura. In padella. E visto che siamo in tema di cibo, vi dirò che il desco serale, più tardi, viene consumato a casa di DgF, quella svizzera: un’abbondante e saporita spaghettata accompagnata da vino, vino, vino e poi... birra, vino, vino, caffé, ammazzacaffé, vino, vino e... e grandi aspirazioni. Poi, tutti fuori, perché aspiriamo così tanto che il Futuro ormai ci attende. E le aspirazioni non finiscono qui. Aneliti... di sostanza. Il Futuro ci apre la porta e imprime il suo inconfondibile timbro sulle nostre mortali membra. Un giro di cuba libre per curvare lo spazio tempo. Da fessure sempre più ristrette osservo nugoli di persone, bicchieri mezzi vuoti – sono un romantico pessimista –, mozziconi che ardono. Le voci si disperdono, i rumori si amplificano, la musica mi avvolge. E non è l’unica, perché tutto a un tratto sento che qualcos’altro avvolge parti di me. Il mio stomaco. Il mio Io più profondo. Una metamorfosi che, non avendo l’esperienza alcun effetto su di me, si avvicina molto di più all’asino di Apuleio che allo scarafaggione kafkiano. Conscio di un possibile, mi avvicino al banconee appoggio il mio drink. Respiro profondamente prima di immergermi nelle tenebre dell’ineffabile. L’oscurità mi ghermisce. Una sensazione di pace straordinaria. Un sogno, lunghissimo, di cui non ricordo più nulla. Forse una visione. Niente tunnel, luce o cazzate new age. Un’esperienza piuttosto anomala. Inquietante e, allo stesso tempo, rasserenante. Come la Verklärte Nacht di Schönberg. Riapro gli occhi. Se ho esalato l’ultimo respiro, mi ritrovo di nuovo nel Futuro. Ma un Futuro eterno è senza senso, e a giudicare dalla mia posizione a gambe all’aria e dall’espressione preoccupata degli amici che guardano dall’alto il novello Lazzaro resuscitato, direi che mi toccherà andare i lunedì in ufficio ancora per un discreto numero di anni. Prendendo appunti dal loro racconto, avrei perso i sensi per circa un minuto. In questo minuto, babbuzzo mi ha schiaffeggiato energicamente e, già che c’era, mi ha pure limato due molari. Qualcuno si è fatto fare un paio di foto ricordo. Qualcun altro, invidioso, ha provato a sniffarsi i calzini per ottenere lo stesso effetto. Finito lo spettacolo, il tizio della sicurezza mi offre un bicchiere d’acqua e mi accompagna fuori a prendere una boccata d’aria. A quest’ultima, però, preferisco una boccata di nicotina, che sarà meno sana ma mi allevia due o tre minuti di noia esistenziale. Seduto sul marciapiede, ancora disorientato, penso alla repentinità con cui l’essere umano può varcarequella soglia continuamente procrastinta. E il pensiero genera angoscia. Perciò, appena rimembro il corretto utilizzo degli arti inferiori, rientro, raggiungo la pista e mi lancio in danze scaramantiche fino alle tre e mezza del mattino. Perché sì, la nostra vita è fatta così: un giorno siamo qui. E il giorno dopo... E il giorno dopo, chi lo sa. Io, per precauzione, me ne sto già qui. Nel Futuro. Salute e buona settimana a tutti! Io me ne vado a Barcellona, pare che debba partecipare a un evento aziendale. Lo slogan dell’evento? “Svenite tutti qui: vi aspettiamo”. Bello, no?

p.s: sono tre giorni che ho male al fondo schiena. Ma in quel minuto di incoscienza... ecco, se qualcuno lo sa, non me lo venga a dire. Occhio non vede, cuore non duole. Duole altro


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