martedì 27 marzo 2012

Ufficiale: gentilomo



Lo so, non scrivo da giorni. Settimane. Mesi. Scusate, ero impegnato a soffiarmi il naso. Tuttavia, una settimana di permanenza a Londra ha risvegliato in me il desiderio di tediarvi. Perciò, mettetevi comodi, fate un bel respiro e, se avete fortuna, cercate un metodo più veloce e indolore per suicidarvi.

Venerdì sera. Di qualche tempo fa. Il ristorante spagnolo di cui varchiamo la soglia intorno alle dieci è concepito secondo il tipico algoritmo iberico tapas y topas che qui a Londra va per la maggiore: si spilucca qualcosa circondati da belle ragazze e cameriere carine. Tavoli liberi, neanche a parlarne. Decidiamo di ingannare l’attesa sorseggiando un bicchiere di buon vino. Davanti al classico dubbio amletico ‘Rioja o Ribera?’, recitato con maestria da una delle cameriere, Lord-enzo opta per il Rioja, anche se confessa che avrebbe preferito del vino rosso. Deve essere l’effetto del riscaldamento che, tenuto a un livello eccessivamente elevato, ha inaridito temporaneamente i campi neuronali del brizzolato più famoso del suo condominio. Mentre degustiamo, noto sulla parete opposta una mia foto in abiti da torero. Mi avvicino e l’identità si tramuta in forte somiglianza: a giudicare dall’espressione del suo volto, direi che il fotografo ha colto esattamente l’attimo in cui il toro gli sta estraendo chirurgicamente i testicoli con una poderosa cornata. E vi assicuro che io, lì, ho ancora tutto attaccato, anche se solo per fini decorativi.
Pochi minuti di attesa, che in quella sauna finlandese camuffata da ristorante si dilatano in modo perverso, e ci fanno accomodare. Quello che succede al nostro tavolo è poco interessante: io mangio e bevo tanto, Lord-enzo mangia tanto e beve tanto, V mangia poco e non beve nulla: stato terminale dell’indipendenza alcolica. A due tavoli da noi, Harry Potter del Missisipi ce la sta mettendo tutta per accoppiarsi con la babbana che gli siede di fronte, sfoderando un classico trucco del repertorio da maghetto: non dice una parola per tutta la cena, ma in compenso fa di tutto affinché il bicchiere della prosperosa ragazza sia costantemente pieno. Diversi bicchieri più in là la vediamo ondeggiare pericolosamente verso il bagno, sbronza. Barcolla, ma non la molla. Di fianco a me, invece, una pupa da copertina, che scopriremo presto essere metà svedese e metà cinese, scambia monosillabiche opinioni con un ragazzo franco egiziano che si diverte a essere in costante disaccordo prima con lei, poi con la popputa babbana e infine con se stesso. Io non ci sto! Lei, al contrario, ci sta eccome e lascia che la mano villosa del suo cavaliere la pratichi una ceretta epidermica sulla coscia. Poi, inaspettatamente, il franco egiziano ci rivolge la parola. Il suo orecchio francofono deve avere carpito qualche commento sessualmente esplicito che usciva dalle nostre bocche da circa mezz'ora. La solita trafila di convenevoli. Così, scopriamo che la bambolina di fianco a me è svedese con qualche spruzzata di cantonese. Lord-enzo, professionista della scivolata a gamba tesa, non si lascia sfuggire la ghiotta occasione:

"Suo nonno", indicando me, "è di Göteborg". Silenzio. Neuroni al lavoro. Dopo due minuti di orologio, lei mi domanda "Allora tu sei metà milanese e metà svedese?"

Una domanda pertinente, soprattutto dopo aver subito un elettroshock. Lasciamo i due concludere il rituale dell'accoppiamento, paghiamo e ce ne andiamo al Nam Long, due metri avanti. Adrian, babbuzzo pazzo grosso, il buttafuori che sembra essere uscito direttamente da The Snatch, ci fa entrare, dopo averci estorto i soliti cinque pound che, per il tipo di locale, sono assolutamente ingiustificati. Considerando però lo spettacolo a cui, se si è fortunati, si può assistere, sono soldi spesi bene. Tutto sommato.

Inizia il primo giro. Il riscaldamento. Quant'e bella giovinezza che si fugge tuttavia, del diman non c'è certezza, a parte il mal di testa. La nostra conversazione, pregna di argomenti elevati, che vertono dall'estetica delle escort che ci circondano al perché esista qualcosa piuttosto che il nulla e questo qualcosa ha un paio di bocce decisamente nichiliste, viene interrotta dall'ingresso di Adrian. Questo menhir dotato di arti e pollici - credo - opponibili si avvicina, molla un cinque a tutti e tre, procurandoci una scossa di grado sette della scala Richter, e ci sbiascica delle frasi in un inglese incomprensibile il cui unico vocabolo pronunciato in maniera intellegibile è 'shag', parola che eviterei di ripetere se dovessi mai trovarmi di fronte alla Regina per farmi autografare la tazza di Kate e William. Poi, scoppia a ridere e noi con lui, onde evitare qualsiasi rischio di frattura scomposta. Rizzi-goal, baldo e temerario, lo accomiata con un 'Adrian, vai a trovare X!'. Il fuck lo capiamo. Il resto si perde in una miscela di vocali e consonanti che ci lascia indifferenti, tetragoni ai colpi di ignoranza. Non ai suoi, purtroppo.

Secondo giro. Iniziamo a ragionare. Al bancone notiamo una ragazza che, indifferente alla marcatura a uomo dei due impomatati bellimbusti che la attorniano, sta cercando di ipnotizzare V. Sbattendo le ciglia, utilizza un sofisticato codice morse il cui significato è facilmente intuibile. Lord-enzo, con una mossa a sorpresa attualmente oggetto di severo studio alla commissione europea, sottrae la graziosa pulzella a un destino di noia con la camicia a righe, la impacchetta e la appoggia su un vassoio che io umilmente porgo a V. L'ereditiera australiana, almeno questo è quanto ci pare di avere capito da chiacchiere di circostanza, inizia la sua personale lotta contro i mulini a vento. A suo onore, le prova tutte: si passa la lingua sulle labbra; attorciglia una ciocca dei capelli sul dito; ondeggia il bacino; sorride ebete; si accarezza le gambe; gli fa un pompino. Normale routine. V, però, niente. Inamovibile. Colpito da omosessualità fulminante, si attacca a futili pretesti - ha le doppie punte e il colon irritato. E noi che già lo vedevamo a bordo di un trattore, nel nulla di un immenso podere australiano, birra, Gazzetta e un paio di koala che gli pendono dagli zebedei. Non ci possiamo credere. Non ci vogliamo credere. Tentiamo di persuaderlo e, con un faro, di illuminargli il cammino dell'eterosessualità. In risposta, la cecità più totale. Viene convocato l'ambasciatore italiano a Canberra. Incidente diplomatico. Subito attivate le pubbliche relazioni. Decenni di reputazione spazzati via da un momentaneo stato confusionale. Una tragedia nazionale. Un insulto a orde di italici babbuini in calore che hanno collezionato anni di umilianti rifiuti e per i quali farsi una bella scopata rimane tutt'ora un futuro che mai si fa presente. La domanda, perciò, era già nell'aria, e lei non fa altro che renderla udibile:

"Are you gay?"

Dopo traduco per chi avesse problemi con la propria sessualità.

L'uomo medio, posto davanti a un tale dilemma, reagirebbe battendosi il petto, colpendo la ragazza in testa con una clava e ritirandosi nella sua moderna grotta trascinandosela appresso. V no. Lui è un gentiluomo. O gentilomo, ancora da capire. La sua risposta è sintetica a priori: "No".

Proviamo ora a entrare dentro al cervello di una ragazza carina che è stata appena rifiutata:

"Sono una ragazza carina di solito sono i ragazzi che mi cercano e io esercito il mio potere di donna li rimbalzo faccio yoga non bevo mai un paio di volte all'anno oggi è una di quelle volte stasera sono ebbra e mi piace questo ragazzo o mio dio c'è un buco di 0,2 millimetri nel mio collant sono abbastanza carina? domani devo andare in palestra sono ingrassata mi piace questo ragazzo ma lui è omosessuale? o mio dio no non lo è allora sono brutta? devo mettere la crema mi stanno venendo le prime rughe o mio dio non sono abbastanza carina? o forse…"

E sì, perché l'orgoglio ferito ha un ultimo sussulto prima di stramazzare al suolo, come quei soprani all'opera che, colpiti mortalmente, gorgheggiano per venti minuti e a morire fa prima il pubblico che sbadiglia sprofondato nelle poltrone.

"Are you deeply in love?"

Che offesa. CHE O F F E S A. Io non avrei avuto esitazioni. Piuttosto, avrei confessato un'inesistente omosessualità. Ma V è un romantico. Un personaggio da Colazione da Tiffany. Un Harry Burns con l'accento fiorentino. Così, dopo aver congedato l'ombra di quella che, una volta, era una esuberante damigella australiana, ci siamo ritrovati a dover concludere la serata con un finto innamorato che, calatosi nella parte in perfetto stile Stanilslavskij, ormai ci credeva per davvero. E si è pure commosso, pensando a quanto lei le mancasse, ora che lui vive qui a Londra da più di un anno. Misericordia… Auguro a tutti una buona settimana!

p.s: Non sarei onesto se non dicessi che, il giorno dopo, V, nel tentativo di riacquistare il saluto da parte nostra, si è riscattato a spese della cameriera del ristorante spagnolo dove avevamo cenato la sera prima. Con onore, è ritornato nel gruppo degli italici babbuini in calore non praticanti. E io gli voglio ancora bene. Forse.

3 commenti:

Anita ha detto...

Mi sono imbattuta nel tuo blog per puro caso..
Non so chi sia, però potrei dire di essere infatuata dall’autore.
Se rispecchi almeno un po’ nella tua vita quello che scrivi, allora ti sposo anche tra un paio di gg…
spirito spiritoso a parte, complimenti

Anita ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
David A.R. ha detto...

Ti ringrazio :)