lunedì 18 ottobre 2010

Un fastidioso silenzio

Mi piace il silenzio. Come il tempo, anche il silenzio, sopraffatto dalla cacofonia del quotidiano, è diventato ormai un lusso: le nostre città sono diventate un vociare continuo, una fucina di decibel che non si ferma mai. E se questo già non bastasse, ci si sono messi pure quei maledetti quattro corvacci grassi come maiali – ma come fanno a volare?!! – che con il loro funereo ‘cra cra cra’ ammorbano quel momento della giornata in cui i miei parametri vitali rasentano lo zero e necessitano di un’assoluta assenza di rumore che altro non fa che eccitare i miei istinti omicidi: il risveglio. ‘Cra cra cra!’. ‘Cra cra cra!’ ‘Cra cra cra!’. Ogni volta, con gli occhi ancora chiusi a doppia mandata, incollati, muovo la mano nella vana ricerca di un fucile a pallettoni. Una bomba a mano. Qualsiasi cosa possa servirmi a eliminare i tenori piumati da un mondo crudele e indifferente. Ore dopo, rinsavito, mi vergogno amaramente di pensieri così abominevoli. Le armi da fuoco lasciamole ai soldati, ai poliziotti e ai miei amici che così sanno farmi capire quando il tempo concessomi per le battute è terminato. Meglio una bella fionda: d’altronde, io mi chiamo David e vi assicuro che quei panzerotti alati sono davvero enormi, altro che Goliath. Perciò, mi rimane un solo posto dove poter godere appieno del silenzio e rigenerare il mio logorato spirito. Lo spogliatoio della palestra. Oltre, c’è solo il cimitero. Perché qui, a Zurigo, il boudoir è un tempio sacro. Appena varcata la soglia, te ne stai lì, immobile, colpito dalla ieraticità del luogo. Calma. Quiete. Pace. Tutto così lontano dall’atmosfera che si respira in Italia: gente che urla, canta, battute e battutacce e i discorsi che vertono tutti sempre sullo stesso argomento tanto caro al maschio italico medio. E non sto parlando del calcio. A Zurigo, invece, non vola una mosca e se volasse, verrebbe sicuramente multata per disturbo della quiete pubblica. Qui, la gente è muta. Bisbiglia al massimo. Si sente solo lo scrosciare dell’acqua delle docce, ricordo forse delle cascate di Schaffhausen. Ammetto che la cosa, a volte, possa inquietare. Mi guardo intorno e scruto queste salme in pantaloncini e scarpe di ginnastica alla ricerca di una risposta. La domanda, però, mi sfugge. Quando poi sono scosso dai tremiti dell’horror vacui, fischietto garrulo, provocando violente tempeste emozionali tenute a bada solo dalla proverbiale educazione elvetica. Non che le cose cambino particolarmente nello spogliatoio della piscina, quella di Oerlikon, la più importante della città, dove si svolgono le gare ufficial, dove si possono incrociare i nuotatori della nazionale, dove tutti i vostri sogni possono diventare realtà e allora, forza, gente, chiamate, alle prime 100 telefonate in omaggio il manuale su come diventare una testa di cazzo svizzera sniffando raclette per tre giorni. A Oerlikon si allenano molte squadre agonistiche e master. Finita la tortura in acqua, quando vedi queste ciurme di baldi giovanotti uscire con la lingua di fuori, il fiatone e il tipico colorito violaceo che segnala esplosione imminente, pensi, bene, adesso inizia il divertimento. Invece, niente. Sì, c’è un vociare più sostenuto e scappa pure qualche risata, ma il livello dei decibel è ancora risibile. Niente a che fare con quello che succede a Milano, quelle rare volte che riesco ad allenarmi con la mia cara, affezionata squadra. Non ci sono parole per descrivere l’uragano sensoriale che si abbatte in quella zona compresa tra docce e armadietti. Posso solo dire che, se in quel momento qualcuno di voi aprisse la porta per dare una sbirciata, perderebbe istantaneamente fiducia nel genere umano e si ritirerebbe nella più sperduta delle grotte, in un eterno e funereo silenzio. E siamo così tornati da dove eravamo partiti, in questo eterno ritorno dell’uguale, che, come direbbe Nietzsche, mi ha rotto l’escatologico. Mi piace il silenzio. Però, fatelo almeno un urlo in quel cazzo di spogliatoio, zombie! Buona silenziosa settimana a tutti.

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