Suono di citofono."Chi è?"
"Io!"
Il portone si apre.
Ora, mi sapete dire chi è questo Io che tutti conoscono?
Suono di citofono.
Ieri, verso mezzanotte, prima di crollare sul letto privo di sensi, compio un gesto eroico: l’accensione del televisore. Con agilità da prestidigitatore muovo il pollice da un tasto all’altro, fino a quando la mia attenzione, piuttosto scarsa, decide di soffermarsi su Italia Uno. Trasmettono SNL: per i profani, Saturday Night Live, uno dei programmi comici di maggior successo, in onda da 33 anni sulla NBC, in seconda serata. Per darvi l’idea, sono passati dal SNL personaggi come Dan Aykroyd, John Belushi, Bill Murray, Eddie Murphie, Billy Cristal, Ben Stiller, Adam Sandler, Sarah Silverman, Will Ferrell, Tina Fey e molti altri. Qual è la sua peculiarità? Fa ridere. Fa ridere tanto. Si piange dal ridere. È commovente quanto si riesce a ridere. E ora torniamo a Italia UNO. Non abbiamo l’originale, ma una scialba, triste, deprimente versione italiana. Ora:
Sdraiato sul divano, alle prese con i suoi corsi di latino e aramaico, porta la mano alla fronte, la tiene premuta qualche secondo e poi, sconsolato, emette uno starnuto che cambia il clima nella stanza. Pochi minuti dopo si trascina lentamente verso la cucina, dove si accende una sigaretta e riflette sul suo tragico destino. Ritorna ciondolando, riconquista la posizione supina e per una buona mezz’ora tira su con il naso, fino a quando la sua scatola cranica, credo, non viene completamente invasa dal muco. Un metronomo, in pratica, che scandisce il ritmo dei miei esercizi al pianoforte.
“Che lavoro fai?”
Lo confesso, sono un bamboccione: vivo ancora a casa con i miei. E non me ne vergogno. I vantaggi sono innumerevoli: zero bollette da pagare, niente spesa, nessun vestito da lavare e stirare, cena in tavola alle otto in punto. Insomma, maggior potere di acquisto e più tempo libero. Però… perché ovviamente c’è un però. Anzi, più di uno. Non ve li elenco tutti, non ho intenzione di tediarvi. Ne citerò solo uno. Ieri sera. Ieri notte. Insomma, stamattina, ore quattro e dieci, il sottoscritto, dopo una serata dedicata ai vizi, gira la chiave nella serratura e fa il suo ingresso trionfale in casa. Il trionfo, manco a dirlo, aleggia solo nei meandri del mio cervello. Con passo alla John Wayne, supero agilmente l’anticamera, spalanco la porta e… una visione terrificante si presenta davanti ai miei occhi: la stanza in fondo al corridoio è illuminata da una flebile luce. In quella camera dorme mia madre. Ora, mia madre dorme con la luce spenta. Ergo, è sveglia. Ci sono due motivi per i quali può essere sveglia: il primo è che non si sente bene; il secondo è che non si sente bene, ma per colpa mia. A naso, opto per la seconda opzione e siccome tolto il dente, tolto il dolore, raggiungo la camera e faccio capolino con il mio bel faccino alcolizzato.
Ti ti ti ti, ti ti ti ti… Perché è così difficile svegliarsi la mattina? Quesito fondamentale. Ti ti ti ti, ti ti ti ti… No, oggi proprio non ce la faccio: adesso mi volto, spengo la sveglia e me ne sto sotto le lenzuola fino a mezzogiorno. Ti ti ti ti, ti ti ti ti… È che ho le palpebre appiccicate: inutile, non si vogliono aprire. Ti ti ti ti, ti ti ti ti… Poi tanto cosa ci vado a fare in ufficio? Per fissare lo schermo? Ti ti ti ti, ti ti ti ti… In genere non lo farei – sapete, i sensi di colpa, l’etica professionale -, ma in questo caso… solo in questo… Ti ti ti ti, ti ti ti ti… Certo che bruciarmi un giorno così, senza senso… Volendo, il senso lo si trova anche, però… Ti ti ti ti, ti ti ti ti… Sunday morning rain is falling/Steal some covers share some skin… No, la sveglia del cellulare no, eccheccazzo!!! Va bene, ho capito, mi alzo!!!
In ufficio calma piatta. È così da una settimana. Arrivo verso le dieci, accendo il computer e, come tutti i bravi impiegati, apro la posta. Per darvi un’idea: due settimane fa mi arrivavano circa quaranta, cinquanta mail al giorno. Neanche il tempo di respirare. Adesso dieci, forse quindici, e nessuna che contenga qualche richiesta di lavoro con scadenza immediata. Niente, il che rende problematico il trascorrere delle ore. Incomincio guardando fuori dalla finestra. Essendo all’ultimo piano di un palazzo di undici, godo di un panorama niente male. Certo, non sono a New York né in qualche località circondata da parchi, fiumi, monti e mari, ma il bello, volendo, si trova sempre. A fatica, ma si trova. Poi scrivo un post come questo, sperando che mi tenga impegnato per almeno una mezz’ora. Controllo la mia posta personale: due indirizzi, ottimo. Spedisco qualche sms, così, tanto per tenere in allenamento il pollice. Facebook, Messenger, Skype. Santa Trinità… Pranzo, caffè, Facebook, Messenger, Skype. E mancano ancora TRE ORE!!! Non ce la farò mai. iPod nelle orecchie… ahh, che male! Allora infilo solo le cuffie. Corriere della Sera, Haaretz, Ynetnews, Le Monde, Le Figaro, The New York Times. Prendo un foglio e ripasso l’ultima lezione di ebraico. Leggo gli annunci di lavoro. Arriva una telefonata. Mangio una banana. Mi alzo, prendo da bere, vado in bagno, faccio il giro lungo, torno. Sono le sei e mezza, che faccio? Facebook, Messenger, Skype. Facebook, Facebook, Facebook. Fai la giravolta, falla un’altra volta. Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra tromba. Fatemi andare a casa! Help, I need somebody, not just anybody. Le sette. In neanche sessanta secondi: spengo il computer, mi infilo la giacca, lo zaino, prendo l’ascensore, arrivo a pian terreno, esco, slego lo scooter, lo accendo, mi metto il casco, parto e alzo pure il dito medio all’automobilista che cerca di uccidermi con una manovra assassina. Domani spero di essere sommerso di lavoro. Amen.
La scuola mi fa schifo!!!
Questa è una storia vera. E se la verità per voi è solo un’eterna ricerca, consideratela almeno verosimile. La protagonista della vicenda è una gran bella ragazza che di mestiere fa la modella. La gran bella ragazza, che di mestiere fa la modella, è fidanzata con un mio amico. La gran bella ragazza, che di mestiere fa la modella ed è fidanzata con un mio amico, è francese. Di Parigi. Ora, dopo 18 mesi di fidanzamento, ha finalmente incominciato a scambiare qualche vocabolo in italiano. Niente male: molto meglio di Ranieri che, come dice quel gran simpaticone di Mourinho, in cinque anni nella piovosa Londra ha imparato a mala pena a dire Good Morning e Good Afternoon. Insomma, per capire, capisce. E per parlare, parla: qui iniziano i problemi. Sì, perché lei adora il succo di pompelmo. Questo non è un problema, anche se a me, personalmente, il succo di pompelmo fa schifo. Comunque… Lei adora il succo di pompelmo. Ora, se vi trovate al supermercato, girate tra gli scaffali fino a quando non riuscite a ghermire l’ambita preda. Se, al contrario, vi trovate in un noto locale milanese, non dovete fare altro che avvicinarvi al bancone: ogni vostro desiderio verrà esaudito. Ed è proprio quello che fa lei: due o tre passi, poi si protende in avanti, e quando ritiene di essere in prossimità dei padiglioni auricolari del barman, gli sussurra con voce sensuale: “Per piascere, an suco du pompino”. Il povero ragazzo è ancora là che si contorce dalle risate. D’altronde, che cosa avrebbe dovuto rispondere? “Mi spiace, signorina, ma per quello bisogna aspettare un po’”? Naaa!!!