lunedì 13 ottobre 2008

Il lavoro debilita l'uomo. Il non lavoro anche peggio...

In ufficio calma piatta. È così da una settimana. Arrivo verso le dieci, accendo il computer e, come tutti i bravi impiegati, apro la posta. Per darvi un’idea: due settimane fa mi arrivavano circa quaranta, cinquanta mail al giorno. Neanche il tempo di respirare. Adesso dieci, forse quindici, e nessuna che contenga qualche richiesta di lavoro con scadenza immediata. Niente, il che rende problematico il trascorrere delle ore. Incomincio guardando fuori dalla finestra. Essendo all’ultimo piano di un palazzo di undici, godo di un panorama niente male. Certo, non sono a New York né in qualche località circondata da parchi, fiumi, monti e mari, ma il bello, volendo, si trova sempre. A fatica, ma si trova. Poi scrivo un post come questo, sperando che mi tenga impegnato per almeno una mezz’ora. Controllo la mia posta personale: due indirizzi, ottimo. Spedisco qualche sms, così, tanto per tenere in allenamento il pollice. Facebook, Messenger, Skype. Santa Trinità… Pranzo, caffè, Facebook, Messenger, Skype. E mancano ancora TRE ORE!!! Non ce la farò mai. iPod nelle orecchie… ahh, che male! Allora infilo solo le cuffie. Corriere della Sera, Haaretz, Ynetnews, Le Monde, Le Figaro, The New York Times. Prendo un foglio e ripasso l’ultima lezione di ebraico. Leggo gli annunci di lavoro. Arriva una telefonata. Mangio una banana. Mi alzo, prendo da bere, vado in bagno, faccio il giro lungo, torno. Sono le sei e mezza, che faccio? Facebook, Messenger, Skype. Facebook, Facebook, Facebook. Fai la giravolta, falla un’altra volta. Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra tromba. Fatemi andare a casa! Help, I need somebody, not just anybody. Le sette. In neanche sessanta secondi: spengo il computer, mi infilo la giacca, lo zaino, prendo l’ascensore, arrivo a pian terreno, esco, slego lo scooter, lo accendo, mi metto il casco, parto e alzo pure il dito medio all’automobilista che cerca di uccidermi con una manovra assassina. Domani spero di essere sommerso di lavoro. Amen.

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