mercoledì 22 ottobre 2008

Dottore, sto per morire?

Sdraiato sul divano, alle prese con i suoi corsi di latino e aramaico, porta la mano alla fronte, la tiene premuta qualche secondo e poi, sconsolato, emette uno starnuto che cambia il clima nella stanza. Pochi minuti dopo si trascina lentamente verso la cucina, dove si accende una sigaretta e riflette sul suo tragico destino. Ritorna ciondolando, riconquista la posizione supina e per una buona mezz’ora tira su con il naso, fino a quando la sua scatola cranica, credo, non viene completamente invasa dal muco. Un metronomo, in pratica, che scandisce il ritmo dei miei esercizi al pianoforte.

“Non potresti soffiarti il naso, per piacere?”, domando: Bach non si merita tutto questo rumore di sottofondo.
“Sono intasato”, risponde offeso, poi ricomincia ancora più forte, tant’è che ho paura che, di questo passo, finisca con aspirare il tappeto su cui poggia la mia sedia.

Perché mio padre è così: grande cervello, ma guai a prendersi un raffreddore. Non ho mai visto soffrire così neanche un malato terminale.
“Dopo cena prenderò un’aspirina e credo che poi andrò a dormire”
Aspetto la mia replica. Dovrei sostenerlo, in questo momento difficile. Portargli conforto. Avere il naso che cola è una tragedia: adesso ci sei, domani chissà.
“Papà, è solo un raffreddore!”
Mi guarda come un prigioniero può guardare il proprio aguzzino. Se i suoi occhi in questo momento potessero parlare, mi direbbero: “Solo un raffreddore?! Solo un raffreddore?! Tu non capisci niente!!!”. Ma i suoi occhi non parlano. Il suo naso, invece, emette dei gran suoni. Sento i suoi germi che mi prendono a schiaffi. Sento il suo naso che tira su, e su, e ancora più su. O che palle!!!

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