mercoledì 19 ottobre 2011

Bach, Beethoven e l'iPodista alcolizzato

A volte bisognerebbe prendere delle decisioni. Per esempio, l'altra sera, quando le parole hanno incominciato a sciogliersi sulla lingua dando alle papille gustative quel tipico sapore dell'ubriacatura, avrei dovuto accomiatarmi e andarmene spedito a casa. Purtroppo, anche i pensieri erano sbiascicati. Così, mi sono tenuto impegnato fino alle prime ore del mattino alternandomi tra la pista da ballo e il bancone del bar. Alla fine l'unica cosa che riuscivo a muovere ancora con una certa classe era la mano, che scandiva il tempo di un'invisibile orchestra, battere e levare. E a un certo punto sì che mi sono levato dalla circolazione. Ho ritirato la giacca e, a gambe lunghe ma non particolarmente distese, mi sono avviato verso casa che la dritta via era smarrita. Un percorso in obliquo. E' stato allora che mi sono accorto che il mio iPod non era dove avrebbe dovuto essere. Al suo posto, nella tasca interna del giubbotto, dei fazzoletti di carta. Ho provato a infilarmeli nelle orecchie, ma non ha funzionato. "Cazzo, mi hanno rubato l'iPod", il mio primo pensiero, neanche particolarmente acuto, postato subito su Facebook con un giro di parole che Shakespeare mi avrebbe sicuramente invidiato, se solo avesse ingerito la mia stessa quantità di vodka. Più che altro, in quel momento, mi sentivo il personaggio di una tragedia: il 'Mac-beth'. La vita non è altro che un'ombra che cammina senza il mio amato iPod! Il desolante sconforto è durato solo il tempo di un breve e agitato sonno gravato da penosi dolori lombari che mi hanno ricordato il motivo per cui ho scritto una tesi di laurea contro lo scetticismo radicale. Quella è gente che non ha mai sofferto di mal di schiena, fidatevi. Una telefonata mi ha risollevato il morale. Niente furto, il prezioso contenitore musicale è stato ritrovato in stato confusionale nell' appartamento in cui, la sera prima, si era svolta la festa. Pare stesse riproducendo canzoni di Al Bano, contribuendo così alla perforazione dei timpani del vicinato. Lieto fine da commedia americana, catarsi aristotelica, scrivo il post. Tutta la vicenda, in realtà, mi ha fatto proprio venire in mente il cinema. L'effetto colonna sonora dell'iPod sul nostro quotidiano. Steve Jobs, imprenditore sicuramente geniale e visionario, non ha fatto altro che portare avanti e perfezionare, grazie anche alle tecnologie sempre più sofisticate, l'idea - quella sì geniale - commercializzata nel 1979 dalla Sony. Il walkman. Per la prima volta le persone avevano la possibilità di portarsi in giro la musica che amavano. E rompere le palle alla gente tenendo il volume posizionato sempre su dieci. Passeggiare in campagna sentendo la sesta di Beethoven. Commuoversi davanti a un tramonto mentre Paul McCartney ti canta 'Yesterday' proprio dentro la membrana timpanica. Che scene orribilmente melense. Effetto colonna sonora. Per questo ho sempre invidiato i personaggi dei film. Eccoli lì, che si stanno per baciare, e intanto il dolby surround spara una fucilata di archi che farebbe nascere della passione amorosa anche per uno scarafaggio. Be', magari uno scarafaggio con due belle tette. L'attrice apre la porta. La porta cigola. Musica seriale contemporanea: o dietro c'è l'assassino, o il vicino che ti dice che Pierre Boulez gli ha rotto i coglioni. La vita reale è diversa. Ascolto il concerto di Bach per due violini, archi e basso continuo in re minore e mi vedo arrivare un tizio con tre piani di capelli che sputa con veemenza per terra, corrodendo il marciapiede. Frank Sinatra ce la mette tutta con il suo tipico stile da crooner, ma invece di ballerini che spuntano dal cielo planando con degli ombrelli e che iniziano a ballare, là, su quella panchina, c'è un tizio con un impermeabile. Con questo sole?! Non funziona. Sarebbe bello, però, avere una colonna sonora per i vari momenti della giornata. Ti svegli e parte 'Il mattino' del Peer Gynt. O la marcia funebre di Chopin, visto che oggi è lunedì. Entri in ufficio con la cavalcata delle Valchirie. Effetto scena assicurato. Arriva il capo, attacco della quinta di Beethoven: ta ta ta ta!. Vai a correre, secondo movimento della nona di Beethoven. Energia, energia. Vuoi conoscere una ragazza? Con Nimrod di Elgar, dall'Enigma Variations, i preliminari li salti direttamente. Apro parentesi: perché in discoteca non mettono più i lenti? Lancio una campagna a favore del ripristino del lento in discoteca. La vita era più facile. Lento è meglio. Mi sembra uno slogan perfetto soprattutto per la lega a supporto delle lumache. Invece, ora, durante l'approccio amoroso, bisogna avvicinarsi il più possibile alla persona scelta come povera vittima - cosa già non facile, soprattutto se lei è fidanzata - e incominciare a urlarle nell'orecchio con tutta la forza che si ha, sperando che riesca a sentire qualcosa in mezzo alla cacofonia che esce dalle casse e che qualcuno ha definito 'musica elettronica'. Di solito i primi dieci minuti sono uno scambio reciproco di 'Eh?':

"Ciao!"
"Eh?"

Andiamo bene… Qui a Zurigo si dice 'Grüezi' e se non lo scandisci forte e chiaro, sembra che stai solo cercando di espellere le corde vocali dalla gola.

"Di dove sei?"
"Eh?"

"Mi chiamo David"
"Eh?"

Certo, anche lo scarso quoziente intellettivo, a volte, può causare incomprensione. Se poi è quasi inesistente:

"Scusa, non ho capito il tuo nome?"
"Eh?"
"Ah, bello. Molto particolare". Molto

Ma oggi sono ottimista. A volte scatta un secco 'no' preventivo che, come qualcuno ha detto, è il miglior contraccettivo esistente, e ti tocca ritornare al via ma senza nemmeno ritirare le ventimila lire. Niente ballo. Niente di niente. Perciò, rivoglio il lento. Non ho più voce. E udito. Chiusa parentesi.

Torniamo al cinema e alla musica. Avrei sempre voluto essere uno dei personaggi dei film di Woody Allen, dove i dialoghi e le azioni sono accompagnati da un pezzo dopo l'altro di musica jazz. Come sarebbe diversa la vita se, al primo appuntamento con una ragazza, ci fosse un coro greco a cantarci una canzone, come succede a Mira Sorvino e Michael Rapaport in 'La dea dell'amore'. Risparmieremmo un sacco di fatica. Perché invece la vita, quella vera, è faticosa, dura, meravigliosa eppure terribilmente spietata. E i dialoghi sono imprecisi, sfumati, spesso banali. Noiosi - stavo dando la definizione di 'meeting'? Le parole giuste, quelle non ci sono mai. Rimaniamo con quelle sbagliate e ce le portiamo dietro come un fardello. Rimaniamo con un ottativo, un avrei voluto, un avrei dovuto e quando ci voltiamo indietro, quei ricordi, impressi dentro di noi, come Euridice svaniscono nel nulla, lasciando un vuoto, un senso di amarezza e profonda malinconia. Per questo mi piace l'arte. E il cinema. Lì, tutto è perfetto. La nota giusta. La frase impeccabile. La fotografia eccelsa. Quel sedere incredibile. Niente da calibrare, niente da aggiungere o da togliere. La nostra vita, invece, è imperfetta. Noi, nostro malgrado, siamo imperfetti e dobbiamo imparare a convivere con questa imperfezione. Io già lo faccio. Tutti i fine settimana, salute. Buona imperfetta settimana a tutti!


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