martedì 4 novembre 2008

Un racconto mai inviato

L'avevo scritto per il concorso di "Italians", forum del Corriere della Sera moderato da Beppe Servergnini. L'ho tenuto lì, e ho aspettato. Il termine ultimo per inviare il racconto era il 31 ottobre. Il 30 mi decido... niente, errore tecnico, non riesco a inviarlo. Aspetterò. Il giorno dopo, idem. Così, il racconto è rimasto sul mio desktop. Pazienza, lo pubblico qui e chissenefrega.

L'accendino


“Fortuna che ha smesso di piovere”, penso, mentre lentamente mi trascino su per le scale della stazione di Mehringdamn. Fa un freddo cane qui a Berlino: sei la minima, quattordici la massima. I meteorologi l’avevano previsto: ondata di gelo proveniente dalla Siberia. La città è un enorme tinello buio e umido. “Wie spät ist es?”, domando a un ragazzo con una faccia più addormentata della mia. “Che ore sono?” “Le undici e mezza”. Di già? Tiro su il cappuccio della felpa, alzo il bavero della giacca e mi incammino. Non sono più una persona, ma due occhi che spuntano in mezzo a strati di vestiti inzuppati. Poche persone lungo la strada: qualche ciclista, dei giapponesi che scrutano l’entrata di un night e tre tizi che discutono davanti a giganteschi boccali di birra. Volto l’angolo e mi accendo una sigaretta. Non c’è nessuno, una strada fantasma. Sento dei passi dietro di me. I passi si avvicinano. Aumento l’andatura. I passi si fanno più rapidi. Sento il cuore che rimbomba, pum, pum, pum. Non me ne accorgo, ma sto correndo. “Hey!”, grida una voce profonda, cavernicola. Io non mi fermo. Resisti, sei quasi arrivato. Metto le mani in tasca: dove sono le chiavi? Ah, eccole… Avanti, avanti, ancora avanti. E poi? E poi sono per terra, inciampato nella stringa slacciata della mia scarpa. Attendo. Una goccia di pioggia si stacca da una foglia, atterrandomi sopra il naso. L’ombra della mia fine si allunga minacciosamente sopra di me. Eccolo. È enorme e mi fissa con occhi vitrei. Ha il fiatone: dalla sua bocca esce vapore che si dilegua come nuvole sospinte dal vento. Mi tende il braccio. Nella mano nasconde qualcosa. “È tuo questo?” La mano si apre, mostrando un accendino rosso. Proprio come il mio. Controllo nella tasca della giacca: niente, deve essermi caduto prima. “Ja, danke schön”. Il tizio mi aiuta a rialzarmi. Il mio culo è completamente bagnato. Il tizio sorride, saluta e se ne va. Lo guardo mentre si allontana. Sono proprio uno stupido. Davvero.

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